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L'intervista

Sicilia secondo me, il cantautore Carlo Muratori: “Questa è una terra che conviene al sistema”

«La classe dirigente politica e burocratica è stata una sciagura. Siamo una massa di voti in vendita al miglior offerente»

Di Marinella Fiume |

Se dovesse con pochi aggettivi definire la Sicilia e i Siciliani quali adopererebbe? «Le risponderò consigliandole titoli di mie canzoni. Facciamo un’intervista multimediale. La Sicilia ha la stessa luce, gli stessi tagli e le stesse ombre di cui si illumina un palcoscenico teatrale; è un teatro ed è troppo forte per i siciliani la tentazione di esibirsi. Le scenografie sono impareggiabili e i copioni di vario genere. Dalla commedia plautina alla tragedia greca; dal teatro dell’assurdo al vaudeville. Dalle mie parti, per placare gli animi, si dice “Finiscila ‘i fari a trageria”. Tutto ci riconduce allo spettacolo; le passeggiate al corso principale del paesino, le silenziose e languide taljate, la prorompente gestualità, i cortei ai funerali e le processioni religiose, le urla al mercato del pesce, perfino i peggiori delitti, le auto-bomba, le ammazzatine (al netto dell’obbrobrio del sangue) rispondono a precise scelte spectaculari. A volte gli esiti artistici sono apprezzabili. Interpretazioni magistrali, da consumati grandi attori; altre volte la scena è dei guitti, dei pagliacci, delle mezze comparse, dei sautafossa. Il paradosso scenico, degno di un allestimento d’avanguardia, consiste invece nell’essere contemporaneamente attori e spettatori della stessa commedia, della stessa tragedia. Si applaude e si fischia se stessi, come davanti ad uno specchio rotto che riproduce mille volte la propria immagine. Ci si compiace aggratis, senza sbigliettamento, col teatro pieno solo… di attori. Condannati ad una trageria perenne. Tragiriaturi (brano consigliato Il Sipario- da La Padrona del Giardino 2008)». Ho letto in un suo articolo su Le Fate – perché si è impelagato anche nell’impresa di fare una rivista d’arte e cultura – un elogio della disobbedienza: «una disobbedienza pacifica ma decisa; sorridente ma irremovibile; alla politica, ai telegiornali, ai padri ed alle madri, alla destra e alla sinistra, alla religione, perfino». Eppure si dichiara campione di sicilitudine e i siciliani non mi sembrano proprio così disobbedienti… «Non sono campione di niente. Piuttosto mi sento un orfano della terra che amo e alla cui conoscenza ho dedicato gli anni migliori della mia vita. Mi sento un clandestino, un rifugiato politico. Sulla disobbedienza penso sia solo un punto di vista. Devi essere un tipo molto ubbidiente per permetterti la disobbedienza. Quanto più obbedisci ai tuoi valori, ai tuoi sogni, ai tuoi desideri tanto più diventi disobbediente verso tutti quelli che si oppongono alla tua visione. Ma devi avere coscienza del tuo pensiero per difenderlo contro tutti. Devi essere uno spirito libero. I siciliani dovranno lottare ancora a lungo per la loro libertà. La storia li ha consegnati da un signore all’altro, da un padrone all’altro. La classe dirigente, sia politica che burocratica, è stata una sciagura per quest’Isola. Il popolo, la gente semplice, ha dovuto rispondere solo all’esigenza primaria del sopravvivere, dell’adeguarsi al monarca di turno. Cosa vuoi disobbedire in questo stato?! Gli hanno cambiato sempre le carte in tavola, e appena la gente ha cercato di trovare le risposte ai propri bisogni, gli hanno cambiato le domande. (brano consigliato: Turi nun parrò – da Plica Polonica 2001)». Tra eruzioni laviche e terremoti (penso al suo Dies Irae, la Cantata di li rujni) la Sicilia ne ha di sciagure da raccontare, è questo che rende pessimisti i siciliani? «Dalle sciagure naturali questa terra è sempre risorta più bella e superba che pria. Pensiamo al meraviglioso barocco che tutto il mondo ci ammira. È il figlio del terremoto più devastante della storia, quello del 1693, con migliaia di morti e distruzioni. Non  è questo a spaventarci. Le sciagure vere per questa gente sono state di natura politica e sociale. Almeno dall’unità d’Italia, abbiamo conosciuto solo sopraffazione e ingiustizie. Abbiamo percepito lo Stato come un patrigno distante e sordo. Rimane un gusto amaro a vedersi sempre discriminato, a dover sudare il triplo per avere quello che altrove è un diritto. Però non parlerei di pessimismo. Piuttosto della malinconia insulare dei “sud” del mondo, un’amabile saudade che intenerisce l’animo più che rattristarlo. Quella caratteristica che gli organizzatori dei concerti detestano: “Maestro, stasira facemuli quattru cosi allegri…” (E sugnu talianu – da Sale 2015). La storia dell’Isola è storia di sconfitte, di bastonate, di batoste vere e proprie, di chi è la colpa secondo te, di un potere cieco ai veri interessi del popolo e pronto al compromesso con il vincitore o di un popolo che si incazza, fa le sfuriate ma dopo, come si dice dalle nostre parti, “si accrasta”? «Se si vuole il riscatto di quest’Isola e della sua gente si dovrà puntare necessariamente e seriamente alla sua libertà. Questo vuol dire opportunità di lavoro per tutti, studio, sanità, servizi, meritocrazia. Libertà anche di disobbedire. Ma si vuole veramente emancipare la nostra gente dal deputato di turno, dall’onorevole baci e abbracci? Non lo so, non credo. Questa è una terra che conviene al sistema. Così com’è. Bacino di voti manovrabile a piacimento. Ci prendono in giro definendoci laboratorio politico della nazione. Ma quannu mai! La verità è che per il momento siamo una massa di voti in vendita, al miglior offerente (b. c. FABBRICO – da La Padrona del giardino). I Siciliani si lamentano sempre dei politici ma continuano a votare sempre gli stessi, anche i collusi con la mafia, Sciascia diceva che la Sicilia è irredimibile, ne convieni? Io scrivo canzoni e non mi occupo di politica politicante. Come autore mi nutro di sogni, di visioni e talvolta anche di pre-visioni. Vedo un futuro eccellente per quest’Isola. Fra dieci, cento, mille anni. Non lo so. Ma sarà così. Bisognerà avere pazienza e fiducia che passi questo tempo ostile per il sud e la Sicilia. I segnali che leggo vanno tutti nella stessa direzione. Questo gap nei confronti del nord e di altre realtà sarà proprio la nostra forza. La gente cercherà questa diversità. La nostra stranezza diventerà ricchezza. Me lo dice in sogno mio nonno, bracciante agricolo, emigrato in Argentina; me lo dice mia nonna sarta “maiscia” di ricami, vissuta 103 anni, che soleva dirmi “ma di chi cosa avissi a moriri ju??”; mio padre scultore e artista del legno, che sapeva Dante a memoria e cantava Modugno mentre faceva la mobilia per gli sposi; me lo dice mia madre, che vendeva pane, pasta e companatico a credenza. Di loro mi fido  (b. c. D’amor e di pazienza – da Sale). Qual è in Sicilia il tuo luogo del cuore? «L’entroterra lo preferisco alla marina. Ammiro l’intelligenza esplosiva dello zolfo piuttosto che quella corrosiva del sale. Pur essendo un amante del mare soffro disagi a vivere quei luoghi. Dal mare sono arrivati tante lusinghe e tentazioni malefiche. Sul mare ci abbiamo piazzato senza pietà i pontili per le petroliere, le seconde case abusive, gli scarichi non autorizzati, e tanto casino. Quel sale ha corroso pure la nostra memoria. Si è dimenticato in fretta chi siamo e da dove veniamo. L’entroterra custodisce come uno scrigno magico la nostra meraviglia. Il tempo si gode la sua lentezza e la gente parla una lingua antica, fiera. Intona melodie autentiche su ritmi scalzi, che si possono ancora danzare come trecento anni fa. Quello è il futuro della nostra terra. Per quel tempo avremo in Regione l’assessorato alla Gioia, quello alla Fraternità, l’assessorato all’Amore; i musicisti, gli artisti e i poeti saranno gli unici parlamentari, e io sarò il Presidente con la chitarra. Lo spopolamento sarà un lontano ricordo. Finalmente si capirà quanto conviene restare (Restu ccà – da Canti e Incanti 1994)». Perché non hai mai lasciato la sua terra malgrado le sirene del successo parlino meglio con accento continentale? «Perché sto aspettando quel futuro di cui parlavo prima. Non vorrei che arrivi proprio mentre io sono fuori. Sai che sfiga! A parte gli scherzi, quando per me avrebbe avuto un senso lasciare la Sicilia non c’è stato il coraggio e la determinazione per farlo. Ed ho sbagliato. Adesso sono convinto che mi avrebbe sicuramente giovato. Lasciare questa terra, per poi tornarvi dopo qualche anno, è un consiglio che dò a tutti i giovani che si occupano di musica e di spettacolo. È importante procurarsi uno sguardo distante dalla propria terra. Aiuta a metterla a fuoco e a conoscersi meglio. Ora è passato il momento opportuno… ma non è ancora detto (Stella Maris – da Stella Maris 1996)».  

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