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Platimiro Fiorenza, a Trapani vive l’ultimo maestro dell’oro rosso
Trapani – Con il capo chino e gli occhi attenti e vivaci dietro le lenti, il maestro Platimiro Fiorenza se ne sta per gran parte della giornata dietro il suo banchetto di artigiano, in fondo al negozio che guarda la villa Margherita, nel centro della città. Raramente alza lo sguardo e segue le mani che trafficano sapienti con piccoli arnesi; accanto a lui, ogni tanto, siede un giovane apprendista, anche lui chino sul banchetto. La sua postazione di lavoro è una piccola bottega dentro il negozio dove sono esposte, nelle vetrine illuminate, le creazioni di oggi e del passato. L’andirivieni di clienti non distoglie la sua attenzione dal lavoro di maestro corallaio, ultimo rimasto a Trapani, artista che cesella i minuscoli preziosi e delicati rametti di oro rosso e che non dimentica di essere anche scultore, pittore e poeta. «L’ultimo vero curaddaru fu mio padre Pasquale – scrive la figlia Rosadea nella tesi di laurea che scava a fondo il corallo dalle origini a quando diventa antica arte trapanese -. Mio padre aveva una bottega nella via colonnello Romei ed era orafo corallaio come la maggior parte dei vecchi orafi. Fu proprio mio padre ad avviarmi alla lavorazione del corallo. A 7 anni spianavo le prime spole di corallo e ho passato quasi tutta l’infanzia nella bottega dove si costruivano anche gli arnesi per la lavorazione».
Nato nel 1944 il maestro Fiorenza vive gli anni del dopoguerra ad apprendere quello che una volta era solo un lavoro e viene notato si da giovane dallo scultore Domenico Li Muli che diventa il suo maestro. La sua “mano” delicata e precisa e la maestria nell’intaglio lo portano presto lontano: agli inizi degli anni ‘70 a Milano collabora con Giò Pomodoro e partecipa a mostre collettive e personali a manifestazioni artistiche, a concorsi internazionali tra i quali “The Asward Diamond” di New York e le sue opere si fanno strada tra i collezionisti e gli intenditori non solo siciliani.
Tra i tanti premi vanta il prestigioso riconoscimento conferitogli dall’Unesco, entrando a far parte del Registro delle eredità immateriali della Sicilia, nel “Libro dei tesori umani viventi” e nel giugno scorso, a Milano gli assegnano il riconoscimento di “maestro d’arte e mestiere“ promosso dalla Fondazione Cologni dei Mestieri d’Italia.
Un lungo elenco di attestati ricevuti in Sicilia e in Italia lo accompagnano fino all’ultima partecipazione alla mostra, inaugurata nei giorni scorsi a Vicenza al Museo del Gioiello nella Basilica Palladiana (e che si chiuderà il 17 marzo), dal titolo “I gioielli del potere: corone e tiare” , dove tra i preziosi manufatti, simbolo di un potere politico e sociale, economico ed affettivo, e segno dell’eccellenza dell’arte orafa, tra cui una tiara realizzata per il soprano Ghena Dimitrova ne “La Gioconda” di Amilcare Ponchielli, c’è una preziosissima corona in oro, argento, corallo e diamanti di taglio rosa, esposta insieme ad altre due tiare realizzate in oro e corallo del maestro Platimiro Fiorenza
Schivo, noncurante della notorietà, sembra che non voglia sottrarre tempo prezioso alla sua manualità e dirotta l’interlocutore verso la figlia Rosadea che da qualche anno lo supporta nell’opera di conoscenza e di divulgazione della sua arte e cura le tante iniziative raccolte dentro il più ampio progetto “RossoCorallo”, nato nel 2012. «L’idea – dice Rosadea – è quella di divulgare l’opera di mio padre oltre i confini dell’isola e soprattutto farla conoscere alle nuove generazioni». Rosadea conserva un certo pudore a parlare del padre artista tanto che nella tesi di laurea solo nell’ultima pagina svela il rapporto di parentela ma le brillano gli occhi quando lo definisce «innamorato cantore e poeta del corallo che con gioia accoglie le “creature” originate dalla sua anima prima ancora che dalle sue mani».
«Grazie al progetto e all’opera di mio padre che non smette mai di lavorare – dice ancora Rosadea – desideriamo che questo grande bagaglio artistico e culturale che per secoli ha caratterizzato il nostro territorio non si disperda; è inscindibile il rapporto tra Trapani e la tradizione del corallo e le iniziative che abbiamo fino ad oggi messo in campo e che continueremo a portare avanti in diversi ambiti e ambienti, vogliono fare luce sull’attività e promuovere questa arte che sta andando perduta». Trapani non può perdere questa tradizione dimenticando che i grandi maestri corallai fin dalla seconda metà del ‘500, con le loro opere l’hanno reso famosa in Europa e una pregevole testimonianza è custodita in una sezione del Museo regionale Agostino Pepoli. In quel periodo la produzione artistica si rivolgeva essenzialmente alla creazione di oggetti sacri e di culto, statuine di santi e Crocifissi, prodotti dalla collaborazione di maestri corallari e orafi e realizzati su supporti in rame dorato con incastri di sferette, baccelli mezzelune e ovuli. Il periodo tra il XVI secolo e il XVIII fu il più fecondo dal punto di vista artistico e le opere create nelle tante botteghe in Via dei Corallai andavano a ornare palazzi reali, di principi, di papi e cardinali.
Da almeno un paio di decenni nelle acque della Sicilia settentrionale il corallo non si pesca più – ma qui un scuola di valenti subacquei si immergeva nei banchi per portare su i preziosi rami di oro rosso – e quest’arte oggi rischia di scomparire. «Dico sempre ai miei allievi: prima pensate al pane sicuro. Il pane sicuro è l’oreficeria, la lavorazione degli oggetti in oro, che garantisce il reddito; poi viene l’arte, la lavorazione del corallo destinata a una clientela attenta e raffinata, che è disposta a spendere per produzioni che richiedono tanto tempo e competenza». Così il maestro Fiorenza parlava del passato, parole che purtroppo oggi suonano stonate. In città per anni ha funzionato una Scuola superiore per “corallai” gestita dalla Provincia e alla quale Fiorenza dava preziosi contributi ma dopo alterne vicende e la mancanza di finanziamenti, la scuola è naufragata e con essa rischia di naufragare anche l’insegnamento di un’arte rimasta nelle mani di pochissimi, se non solo in quelle del maestro che al contrario avrebbe voluto allevare un esercito di giovani volenterosi e pronti a raccogliere l’eredità.
Le sue opere trasudano impegno, scrupolo, manualità ma è l’estro e l’originalità a renderle pezzi unici come per esempio il calice di 33 centimetri in oro, corallo e pietre preziose, realizzato per la cattedrale di Monreale, commissionatogli dalla Diocesi nel 1988, in occasione del decennale della nomina di mons. Salvatore Cassisa ad arcivescovo; o come i presepi in oro e coralli con statuine minuscole, archi, scale, muretti e decori finissimi. Ma è nel 1993 che il maestro realizza due delle opere più prestigiose oggi esposte ai Musei Vaticani: si tratta di una ”Madonna di Trapani”, di 34 centimetri in corallo con una base in oro e pietre preziose e un’acquasantiera, la prima commissionatagli dal vescovato di Trapani e la seconda dalla Provincia, in occasione della visita i città di Papa Giovanni Paolo II. Molte sue creazioni sono state donate a personalità illustri come, il presidente Scalfaro, i ministri Guidi e Ciampi e ha eseguito lavori di restauro per antiquari famosi di Palermo, Roma, Firenze, Londra e New York.
Lo studio del passato per essere testimone del presente è il leit motiv di tanta maestria che viene realizzata con l’attrezzo più prezioso il “bulino” che, come spiega il maestro, può avere vari tipi di lama, a coltello, a lingua di passero, a scarpina piana, a spicchio di mandorla, a prisma, a rombo, curva e uncinato, a seconda dell’incisione che si vuole eseguire. «Nella scelta dell’una o dell’altra lama è racchiuso il sapere dei mastri corallari di tutti i tempi», scrive la figlia Rosadea nella sua ricerca. Il maestro è stato definito il “medico” degli antichi argenti dei Misteri, le antiche vare di tela a colla che vengono portate in processione per le vie cittadine il giorno del Venerdì santo; quasi tutti i gruppi sacri, che sono ornati da argenti cesellati e gioielli, hanno subito l’intervento di restauro Fiorenza che, oltre al recupero, ha anche creato originali arredi andati ad abbellire diversi gruppi scultorei. Critici d’arte, tra i quali Vittorio Sgarbi, lo hanno premiato con lusinghiere attenzioni, centinaia di citazioni in giornali e riviste di settore, interviste televisive lo hanno fatto conoscere in Italia e all’estero e fatto conoscere i gioielli che ancora oggi gli vengono commissionati. Recita una sua poesia: «Un’artista crea, dipinge, scolpisce, scrive poesie, delle vere opere d’arte, l’opera assoluta la fa la donna, la maternità, unici veri gioielli, vere opere d’arte, i figli». E Rosadea, citandola, quasi si commuove.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA