Sicilians
Pierluigi Portale, la sua arte della scultura da Librino a Beirut
Catania – Incrociare concittadini catanesi in giro per il mondo risulta estremamente facile. Chi per lavoro, per studio, vacanza o altro, un catanese lo si trova sempre ovunque. A conferma di ciò, con enorme sorpresa, un catanese è stato beccato anche in Libano, nella turbolenta periferia meridionale della capitale Beirut. Con grande stupore, il corrispondente in Libano della rivista di politica internazionale Il Faro sul Mondo ha incrociato il giovane scultore catanese Pierluigi Portale, ospite al II Simposio internazionale di scultura di Beirut.
Pierluigi Portale nasce nel 1991. Ha partecipato a mostre e simposi di Scultura di livello nazionale ed internazionale. Nel 2014 realizza per il Comune di Catania una grande scultura monumentale in basalto lavico dedicata alle vittime del mare. Nel 2018 realizza un’opera scultorea monumentale in basalto lavico in occasione della visita del Presidente della Repubblica On. Sergio Mattarella agli “Orti urbani a Librino” Catania. Attualmente è docente di Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Catania. La sua scultura si avvale dell’utilizzo di un registro linguistico, che poggia sulla conoscenza dell’arte classica, che si è evoluto nel tempo raggiungendo un rigore nella sintesi e una pulizia formale orientata verso l’astrazione che conserva, comunque, una memoria di figurazione. Il limite tra figurativo e astratto non segna una linea di demarcazione netta, ma sfuma in passaggi di poetica metamorfosi. La sua cifra stilistica è caratterizzata da una raffinata e sensibile leggerezza dell’essere.
Come sei arrivato al Simposio internazionale di scultura di Beirut?
«Circa un anno fa sono stato contattato dal professore di Scultura della facoltà di Belle Arti di Beirut, Ali Harkous, nonché direttore artistico del Simposio Internazionale, che aveva notato su internet alcuni miei lavori. Mi ha offerto la possibilità di partecipare al Simposio Internazionale di Scultura che si sarebbe svolto nel mese di Ottobre nella capitale Beirut, all’interno del campus dell’Università Statale libanese».
Qual è stata la tua prima impressione del Libano e dei libanesi?
«Devo ammettere che ho riflettuto dei giorni prima di accettare l’invito, a causa delle continue notizie di forti tensioni tra israeliani e libanesi che giungono in Occidente attraverso i mezzi d’informazione. Arrivato sul posto, il primo impatto è stato forte, dovuto alla visione di alcune delle parti più degradate della città che portano ancora evidenti i segni e le conseguenze della recente guerra. In questi 20 giorni di permanenza ho avuto modo di conoscere però la parte più intima e sincera di questa gente, un popolo che davanti a queste immense difficoltà ha sempre mantenuto la speranza che un giorno tutto possa tornare alla normalità. Persone che pur vivendo con grande semplicità sono di una generosità imbarazzante, caldi e accoglienti, orgogliosi della propria terra ma al tempo stesso severi nel condannare le varie aggressioni militari subite negli ultimi quarant’anni».
Da scultore, che idea ti sei fatto del Libano dal punto di vista artistico?
«Grazie ai princìpi su cui si fondano (o si basano) i simposi di Scultura abbiamo avuto modo nel corso della nostra permanenza di visitare e conoscere a fondo questo territorio lontano dalle rotte turistiche di tendenza. Sono rimasto molto stupito dalla sua bellezza, non solo dal punto di vista paesaggistico, con i suoi incantevoli tramonti, ma soprattutto per i beni artistici. Un esempio è il museo Nazionale d’arte, situato al centro di Beirut, dove è possibile ammirare una grandissima collezione d’arte fenicia e romana miracolosamente sopravvissuta ai bombardamenti che fino al 2006 hanno investito l’intera città. Impossibile poi tralasciare la bellezza dell’antica città romana di Baalbek, a nord del Libano (vicino al confine siriano), dove grazie all’intervento italiano si è riusciti a riportare alla luce gran parte di quella che fu una delle più estreme città dell’Impero romano».
Ci presenti la tua Scultura al Simposio di Beirut?
«L’opera, dal titolo Dialogo, rappresenta lo scambio che avviene tra due differenti esseri. Questo confronto porta ad uno sviluppo dell’idea iniziale del singolo individuo, ad una crescita che permette la concretizzazione del pensiero. Il dialogo, per me è l’unica possibilità di appianare le differenze tra due esseri apparentemente differenti, ma che sostanzialmente derivano comunque da un’unica radice comune. La scultura si sviluppa lungo un’altezza di due metri ed è stata realizzata utilizzando un marmo ambrato proveniente dalla città di Baalbek. Essa presenta due volti frammentati (nella parte anteriore e posteriore del blocco) che riportano al purismo della scultura brancusiana, questa sinuosità delle linee si contrappone in maniera repentina alla durezza e spigolosità degli angoli formati dalle figure geometriche triangolari spesso ricorrenti nei miei lavori e che fa sì che astrazione e figurazione dialoghino tra loro».
Rispetto alla propaganda occidentale che descrive il Libano come una minaccia per la regione, cosa ti senti di dire?
«Parlando con la gente del luogo e con molti studenti dell’università, mi sono reso conto che sì, è vero, sono tutti pronti ad una nuova guerra, una guerra che a detta loro sarà “risolutiva”. Una guerra che vorrebbero evitare se solo si potesse, se ci fosse un’alternativa all’aggressività israeliana. Questo è un popolo ricco di storia e non ottuso, consapevole che le armi sono una soluzione estrema da evitare a tutti i costi, ma allo stesso tempo sono pronti ad usarle per la difesa della loro terra».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA