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Maurizio Brancato, l’architetto siciliano diventato “mago” del patchwork

Di Maria Ausilia Boemi |

Da una parte artigiano-designer (in una delle sue tante vite: se ne perde quasi il conto a un certo punto) dall’estrosa tecnica patchwork, dall’altra artista pittorico concettuale. Nel mentre, nella sua prima vita, architetto dedito al restauro di monumenti siciliani che poi si è specializzato nella realizzazione di plastici di beni culturali dell’Isola in metallo (argento, nichel, ottone). Al centro di tutto, sempre la sua Sicilia, patria e terra da cui trae nutrimento intellettuale e perenne musa ispiratrice. Ed ora pronto a iniziare l’ennesima vita, non ancora pago delle precedenti, a 66 anni: è con questo spirito che il palermitano Maurizio Brancato si appresta a riprendere la propria attività artigianale, per ora in fase di stasi, senza però abbandonare tutti gli altri suoi interessi.

«Sono laureato – racconta – in Architettura all’università di Palermo. Per alcuni anni mi sono dedicato al restauro di monumenti, ma dopo Tangentopoli i lavori si sono diradati e quindi ho dovuto trovare altre vie professionali per tirare avanti».

Facendo di necessità virtù, Maurizio Brancato si è così reinventato in una duplice direzione, «anche se in realtà questa mia voglia di sperimentare sempre cose nuove me la portavo dentro fin da bambino». Sul solco più architettonico, è così iniziata l’avventura dei plastici – riprodotti rigorosamente in scala e nei minimi particolari – di diversi beni culturali siciliani: dal Teatro Massimo di Palermo in argento, che gli è stato commissionato dal sindaco Leoluca Orlando, al Palazzo delle Aquile, dal Castello Soprano a Corleone al castello di Salemi commissionatogli dall’allora sindaco Vittorio Sgarbi, fino ad altri monumenti di altri Comuni siciliani. «Circa 6-7 anni fa, per esempio, avrei dovuto realizzare, tra gli altri, il plastico del centro storico di Erice, che però non si è mai concretizzato. E sembra che prossimamente il Comune di Bagheria mi voglia affidare l’incarico di realizzare il plastico delle ville di Bagheria». Plastici che Maurizio Brancati realizza rigorosamente in metallo: dal nichel all’argento e all’ottone.

In parallelo, l’architetto palermitano nel 1994 si è reinventato artigiano-designer di accessori di abbigliamento realizzati con la tecnica patchwork: «Scelgo le sete, le accosto, le strutturo e le disegno, dopodiché taglio a strisce il disegno e lo ricompongo a piacere mio. Il tutto per realizzare coppole, cravatte, papillon, gilet, sciarpe e persino borse. Ma anche, nell’ambito dell’arredamento, arazzi e copriletti». Il punto distintivo è la tecnica patchwork, usata in ognuno di questi lavori, che vengono poi cuciti da fasonisti locali «anche se ho una discreta manualità e li potrei realizzare pure io. Tanto è vero che i primi prototipi li faccio totalmente io. Ovviamente, utilizzando tessuti pregiati (nell’arredamento, ad esempio, quelli di Rubelli) e sete comasche di Mantero, Ratti, Giussani».

All’inizio erano solo gilet (da uomo e da donna, sia seriosi sia molto colorati), poi si sono aggiunti gli altri prodotti, tra cui la coppola, «simbolo di sicilianità» e oggi accessorio molto modaiolo.

Architettura ed arte mescolate assieme nelle prime vite, quindi. Arte pura invece, ridotta all’essenziale del concetto nei quadri di Maurizio Brancato in cui la Sicilia in miniatura, il cui fascino viene con questa operazione reso eterno e immutabile, splende come gemma preziosa in un mare indefinito. «A quanto pare – spiega – sono l’unico che realizza plastici delle isole, anche questi con una fedele riduzione in scala». Eh sì, perché questi quadri hanno quasi sempre l’Isola natale come soggetto e oggetto protagonista, isola perfetta metafora di un universo sospeso tra mare e cielo, «anche se mi è capitato per la Biennale del mare di Napoli, collegata con Marsiglia, di realizzare tutte le isole italiane più quelle vicino Marsiglia». Si tratta di opere anche di misura imponente: «Io inizio con il perimetro dell’isola, con un colore qualsiasi – può essere bianco, giallo, verde – ma alla fine lo faccio diventare sempre blu». Ed ecco che per esempio l’artista palermitano ha realizzato un pannello in stile puzzle della provincia di Trapani e delle sue isole minori in scala 1:60000, che si trova nel locale aeroporto di Birgi: «Ma mi piacerebbe realizzarne uno ancora più grande a Catania e a Palermo, insomma una Sicilia grandissima».

Grandissima come l’Isola natale è nel cuore e nell’immaginario artistico di Maurizio Brancato, tanto da essere quasi sempre il filo conduttore e la protagonista indiscussa delle iniziative dell’architetto palermitano che si è reinventato: «La Sicilia è la mia patria, è un insieme di culture che si sono stratificate e che noi, nativi cresciuti nell’Isola, ci portiamo dentro». Pur se la tentazione di andare via dalla Sicilia «c’è sempre, perché in questa Isola non si può lavorare, ci si ritrova incastrati». Perché a questa terra bellissima per risorgere «mancano le persone giuste, politicamente parlando».

A non mancare ai siciliani sono invece la fantasia e la forza imprenditoriale, artigianale ed artistica: «Guardi – sottolinea – che ci sono realtà eccezionali in Sicilia. Ad esempio, a San Marco D’Alunzio c’è la San Lorenzo Confezioni, che realizza abiti e cappotti per i più grandi stilisti». E con la quale Brancato spera di potere collaborare nella sua nuova ennesima vita che «oggi sto progettando, affinando il mio know how che è sempre sperimentale: non esiste infatti un manuale che istruisce su come realizzare la cravatta o il gilet in patchwork».

Fermo restando che non è l’inventiva il problema siciliano. La maggiore difficoltà per un artigiano è «trovare il mercato». Una difficoltà che viene però ripagata infinitamente dalla soddisfazione di avere «ricevuto più volte email da stranieri che avevano visto un mio prodotto e si congratulavano». Sempre secondo l’antico adagio, valido in eterno, di «Nemo profeta in patria». E se quello è un detto valido a ogni latitudine e longitudine del globo terracqueo, è anche vero che i siciliani, in particolare, hanno come difetto nel Dna, secondo Maurizio Brancato, «la mancanza di cooperazione, il fatto di essere troppo individualisti». Di contro, possiedono «una grande manualità e una tradizione artigiana eccezionale, in campi come l’argenteria, l’oreficeria o nella realizzazione di calzature di pregio e, più in generale, come fasonisti. Peccato che questo patrimonio sia andato perduto».

E allora l’architetto-artigiano-artista consiglia ai giovani «di credere in quello che fanno, di avere perseveranza, di non abbattersi». Nulla di nuovo sotto il sole, dunque, anche se oggi realizzare i propri sogni è forse più difficile «perché la globalizzazione ci ha fregato».

Tante vite vissute, nessun rimpianto («Mai», sottolinea convinto l’architetto siciliano) e altre ancora da vivere: per Maurizio Brancato, insomma, vale il detto «chi si ferma è perduto».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA