Sicilians
Mario Incudine: «I siciliani sono sciarriati ca’ cuntintizza. Bisogna sovvertire l’estetica delle macerie»
Il rapporto tra il musicista, che ha scelto di restare in Sicilia, e la sua terra
Ha nella voce la Sicilia vera e antica, grande madre di genti di tutte le terre. Ha nelle parole i drammi di ogni tempo, i migranti che muoiono tra le onde, gli operai di Termini Imerese che perdono il lavoro, le lotte per i diritti. Con il ritmo del cantastorie Mario Incudine ha portato le sue storie sui palcoscenici del mondo, con una musica popolare e contemporanea che gli ha fatto vincere anche un Premio Tenco. Musicista, cantautore, autore, regista, ennese, ha scelto l’incontro e la contaminazione. Dalle “Supplici” in siciliano con Moni Ovadia a Siracusa al “Casellante” di Camilleri, dai suoi brani di denuncia sociale al “cunto”. Raccontando la miseria, la fame e il dolore della sua terra, ma anche la speranza. «E’ il cuore di tutte le mie produzioni, nasce dalla necessità di fare diventare centrale un’idea di Sicilia diversa. Ho appena incontrato il sindaco di Vittoria che mi ha proposto un progetto di inclusione per gli extracomunitari, creare un’orchestra e un coro multietnico».
In che modo la Sicilia deve essere diversa?«Deve ritornare alla multiculturalità: l’arabo il normanno il greco l’africano, “l’altro”, qui hanno sempre vissuto insieme. I migranti non sono solo braccia ma anche menti, risorse e talenti. Al di là delle polemiche, dei barconi, è una ricchezza reciproca. La Sicilia ha sempre saputo accogliere ed è figlia di questa contaminazione, lo siamo nei volti, nella cucina, nell’architettura. Un incontro che può generare una cultura “altra” per me è rivoluzionario».
La sua world music unisce suoni dal mondo.«Il canto del nostro carrettiere è identico a quello greco o arabo. Non possiamo negare le contaminazioni anzi, dobbiamo amplificarle, la Sicilia è un incubatore multiculturale. Questa terra la percepiamo poco patria e molto “matria,” una madre terra che protegge e che, anche quando non ci dà niente, non possiamo deludere».
Cosa la delude dei siciliani?«L’essere figli “dell’estetica delle macerie”, come diceva il mio professore all’università. Dobbiamo sempre piangerci addosso, sciarriati ca’ cuntintizza, nemici della felicità. Ci raccontiamo nel modo peggiore, sempre disperati, stracciati, tristi, con qualcuno che ce l’ha con noi. Dobbiamo sovvertire quest’estetica delle macerie. Mostrare anche le bellezze che abbiamo, non solo il petrolchimico, le macerie, il degrado. Basta col piagnisteo della rassegnazione, del no al riscatto».
Il petrolchimico, le macerie, il degrado ci sono…
«È così, ma non è tutto immutabile. Oggi c’è una coscienza collettiva. Quante volontari vanno a pulire parchi, spiagge, fiumi? Quanti giovani oggi aderiscono a Libera? Le cose possono, devono, cambiare. Bisogna dare una immagine diversa e positiva dell’Isola, pur nella consapevolezza dei problemi. Io ho cantato il dramma degli operai della Fiat, la piaga del pizzo, della corruzione ma lasciando aperta la speranza del cambiamento».
Cosa le piace dei siciliani?«La capacità di resistere. C’è tanta gente che cerca di lottare restando nella propria terra. Sarà orgoglio, rivalsa, sfida, ma io sono rimasto. Sciascia diceva che i verbi in siciliano non hanno la declinazione al futuro. Ma se a questa terra non diamo un futuro che cosa ne sarà?».
L’orgoglio è anche cantare in siciliano.«Una volta parlare in siciliano era una vergogna, cantare una cosa di serie B. Oggi la musica popolare è protagonista al Teatro Massimo Bellini con l’Orchestra, impensabile anni fa quando il dialetto sembrava da ignoranti. Rosa Balistreri e Ciccio Busacca, il cantastorie di Paternò, li ha scoperti già 50 anni fa Dario Fo. Adesso finalmente stiamo comprendendo anche noi il loro valore, è un riscatto culturale».
La Sicilia vive sempre di più di turismo, dall’effetto Montalbano alle vetrina internazionale di Dolce e Gabbana. Cos’è cambiato?«Siamo cambiati noi, la nostra percezione. Prima avevamo le meraviglie ma per la gran parte dei siciliani erano quattro pietre, ora abbiamo la consapevolezza che quelle pietre sono una ricchezza enorme».
Per tanti anni abbiamo devastato la nostra terra…«Non abbiamo capito che il passato poteva essere una risorsa e in cerca di una modernità a tutti i costi abbiamo rovinato quello che adesso varrebbe oro. Pensiamo di dismettere i petrolchimici dopo aver ferito il territorio, aver portato veleni e malattie. Non abbiamo saputo mantenere la nostra identità, come in altre regioni. Colpe nostre, siamo un popolo contraddittorio. Miope. Enna è un esempio di questa incapacità, aveva un centro storico bellissimo, ma il basolato è stato tolto e i palazzi nobiliari abbattuti. E al Castello c’era un teatro all’aperto che ospitava la lirica».
Sono cambiati i siciliani o è stato lo sguardo degli altri? L’arrivo di vip come Mick Jagger o Madonna?
«Noi abbiamo preso coscienza delle ricchezza che avevamo, poi abbiamo avuto grandi amplificatori, come il Montalbano televisivo. Ma è Camilleri il genio che ha costruito una Sicilia viva e bellissima oltre lo stereotipo della mafia. Oggi i carratori disegnano gli elettrodomestici, è una moda quello che ci sembrava folclore. Per essere universali dobbiamo partire dai nostri paladini, dalla nostra identità, quella di cui per tanti anni ci siamo vergognati».
Un luogo simbolo della Sicilia?«Sono un uomo di entroterra e forse proprio per questo amo moltissimo il mare. Quando mio padre mi ci portava da bambino appena lo vedevo, dopo la curva di Cefalù, piangevo, era una specie di miracolo. Amo il Val di Noto, paradigma di una Sicilia che ha resistito a tutto ed è rinata, e il teatro di Andromeda a Santo Stefano di Quisquina: un pastore che invece di un ovile costruisce un teatro che rispecchia la costellazione di Andromeda. La cultura, l’arte, la poesia, la bellezza sono l’unica arma che ci può salvare».
C’è un profumo, un cibo, un’immagine che per lei è Sicilia?«Il carrubo, amo il suo odore dopo la pioggia, il profumo delle caramelle. Mi riporta a un’isola non retorica. Il carrubo è una Sicilia meno conosciuta, ancora tutta da scoprire».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA