Nel suo elegante atelier, Sant’Agata è di casa da sempre. E non è solo negli oggetti – scuzzette, medaglioni o magliette – elaborati dall’estro della stilista Mariella Gennarino, ma soprattutto nelle piccole e preziose riproduzioni del busto reliquiario poste su alcuni mobili e sul murale raffigurante la martire che è stato dipinto nel vialetto di ingresso della sua azienda. Un posto frequentato spesso, ça va sans dire, dal commendatore Maina che passava da lì per una preghiera e una chiacchierata con la padrona di casa. Che, oltretutto, di nome fa Maria Agata.
Un destino segnato, quello della prima presidente donna del Comitato per la Festa di Sant’Agata?
«Non lo so, ma sicuramente la mia devozione a Sant’Agata nasce da quando ero molto piccola. So che mia madre mi aveva messo questo nome per adempiere a un voto e fin da bambina mi portava ad assistere ai vari momenti della festa. E quello che allora, ricordo, mi colpiva, erano gli occhi azzurri della Santa e la grande luce che emanava il fercolo. Crescendo, l’ammirazione è diventata riflessione e spiritualità. E soprattutto affidamento alla Santa, che ha segnato anche una svolta nel mio lavoro».
In che senso?
«Dopo gli studi in Accademia di Scenografia e Storia dell’arte ho aperto un atelier per bambini, ma ho avuto anche il privilegio di realizzare i costumi per spettacoli nei teatri di pietra: uno per tutti, gli 86 costumi realizzati per Satyricon di Renato Giordano con Giorgio Albertazzi e Michele Placido a Taormina. Ero appagata».
Ma?
«Il 5 febbraio di una ventina di anni fa, tornando verso casa dopo avere assistito al Pontificale, ho avuto l’impulso di passare dal mio atelier. E qui, cercando fra le stoffe e i merletti più preziosi, ho creato di getto, quasi trasognata, un modello di abito da sposa, un genere nel quale non mi ero mai cimentata. E più lo guardavo e più mi sembrava di vedere altro in quelle volute, in quei rivoli di merletto. Fu un mio amico artista qualche giorno dopo a dare risposta alle mie mute domande. Quest’abito, mi disse, sembra un cero che si consuma. Insomma, in quelle forme, in quelle trasparenze mi ero ispirata ai grossi ceri che piantati in terra, rilasciano rivoli e ghirigori. Da lì una fortunata collezione e quel che ne è seguito. Ma il mio omaggio a Sant’Agata è continuato sempre».
In che modo e in che modi?
«Ogni anno un omaggio diverso, rielaborando artisticamente i simboli della nostra amata Patrona: la scuzzetta, il Velo, le immaginette, i medaglioni votivi. Qualche anno fa ho anche sognato di avere la festa qui, in via Monfalcone. Ovviamente, solo un sogno, ma sono riuscita a portare qui la candelora di Mons. Ventimiglia, forse la più rappresentativa, ed è stato un successo. Nel 2020, l’ultimo anno della festa normale si sono radunate oltre 1.500 persone fra preghiere, canti e omaggi, assolutamente gratuiti di artisti e dei ragazzi dell’Accademia di Belle Arti. Naturalmente, c’erano anche le associazioni di volontariato che ho sempre cercato di supportare».
Lei è impegnata anche nel sociale?
«Cerco di fare quanto posso avvalendomi delle mie specificità. Ho organizzato corsi di cucito, ma anche di uncinetto per le detenute nel carcere di piazza Lanza, ho collaborato con Talità Kum a Librino, ho creato presepi per Telethon e nell’atelier abbiamo anche realizzato eleganti Pigotte per Unicef. Insomma, non mi tiro mai indietro, se posso, anzi mi dicono che ho un entusiasmo contagioso… ».
Eppure, dicono i bene informati, che quando ha ricevuto la proposta di diventare presidente del Comitato ha tentennato parecchio…
«Quando il sindaco mi ha telefonato per informarmi ho creduto a uno scherzo. Poi ho cominciato a pensare alla grandiosità di questa festa, alla sua complessità, al mio lavoro impegnativo ed è umano pensare: ma chi me lo fa fare? Ma poi l’amore per la festa è stato più forte di tutto e ho detto sì. Anzi, credo di avere centrato uno degli obiettivi della mia vita».
Pentita?
«Macché, sono una grande lavoratrice, amo le sfide e mi ci butto a capofitto. Mio marito e i miei figli si sono rassegnati a vedermi pochissimo. Pensi che, poco dopo la nomina, ero già in giro per capire, chiedere, conoscere gli attori di questa grande festa».
Orgogliosa di essere la prima donna a capo di questo delicato organismo?
«Sono orgogliosa della scelta che l’arcivescovo e il sindaco hanno fatto, valorizzando l’elemento femminile per l’organizzazione della festa che celebra una santa, una donna che ha subito una dura violenza. Oltre me, nel Comitato, non dimentichiamolo, ci sono altre tre donne».
Com’è il suo rapporto con gli altri membri del Comitato?
«C’è una bellissima armonia, sono tutte persone perbene. Nelle prime riunioni che abbiamo fatto c’è un sentimento comune: l’amarezza per non potere neanche quest’anno restituire ai catanesi la loro festa a causa della pandemia. Ma questo non ci impedisce di lavorare per il futuro e di dialogare con tutti».
Farà tesoro dell’esperienza dei suoi predecessori alla guida del Comitato?
«Certamente, ma, vede, ognuno è diverso e lascia la sua personale impronta. Mi guiderà sicuramente il ricordo del commendatore Maina e mi avvarrò della collaborazione di quelli che erano i suoi collaboratori, vorrei dire i suoi eredi».
Timorosa per l’arrivo imminente del nuovo arcivescovo che troverà scelte non sue?
«Mi dispiace che l’arcivescovo Gristina, con il quale ho ottimi rapporti, lasci il suo ministero. Ma so che mons. Renna arriva preceduto da un’ottima fama. E ci porterà sicuramente la parola di Papa Francesco che ha detto che chi non ama le donne non ama Dio».