Messinese, di madre belga e padre originario della città dello Stretto, anche lui medico con lunga esperienza professionale a Berlino. «Mio papà Francesco – racconta infatti il dott. Crescenti – ha terminato poi la sua carriera come primario prima a Reggio Calabria e poi a Messina. Io ho studiato all’università a Messina: sono un convinto assertore del fatto che se uno vuole studiare, può farlo ovunque. E peraltro sono anche convinto della validità dei miei studi, come dimostra il fatto che, durante il mio percorso professionale, ho suscitato sempre opinioni positive da parte dei miei superiori all’estero». Vero è che, sfruttando anche le conoscenze tedesche del padre Francesco e la propria padronanza della lingua, «durante le vacanze andavo a chiudermi nelle sale operatorie o nei pronto soccorso a Dusseldorf, piuttosto che ad Amburgo o a Parigi. Ma questa è una possibilità aperta a tutti, basta chiederlo».
Laureatosi in Medicina, la decisione di espatriare, nonostante fosse “figlio d’arte”: «La mia scelta – spiega – derivava da una tradizione familiare basata sulla convinzione che, se uno vuole essere un professionista, deve essere autonomo: pensavo quindi che fosse meglio partire per fare un’ottima specializzazione. E la Germania, dal punto di vista della formazione è un’ottima piazza, oltre che essere un ambiente dove la meritocrazia e l’impegno sono sempre ripagati». Così, il dott. Crescenti conseguì la prima specializzazione in Chirurgia generale a Messina, ma frequentando a Berlino all’ospedale accademico nel reparto di Chirurgia generale, viscerale e vascolare, diretto dal professore Konradt (all’epoca uno dei pochi centri di riferimento per la Chirurgia laparoscopica in Germania); le altre due ad Hannover in Chirurgia viscerale e Chirurgia viscerale speciale. Poi un rientro in Italia per 8 anni, finché nel 2006 fu chiamato dal prof. Köckerling (allora presidente della Società tedesca di Chirurgia viscerale) ad Hannover, come aiuto strutturato nel reparto di Chirurgia viscerale e Centro di Chirurgia mininvasiva dell’ospedale accademico “Siloah” di Hannover.
«Una esperienza molto accattivante – racconta Crescenti -. Ho cominciato nel 2006 e a ottobre del 2007 ho assunto la direzione del centro di Chirurgia laparoscopica. L’1 ottobre 2012, sono passato all’attuale primariato in Chirurgia generale e viscerale del centro di Chirurgia mini-invasiva all’ospedale di Verden». Ed è proprio la chirurgia laparoscopica mini-invasiva, in particolare, la specialità nella quale eccelle il dott. Crescenti: «Quello di Berlino era uno degli ospedali all’avanguardia per questo tipo di interventi e all’epoca io ero nella rosa dell’1% di chirurghi a livello mondiale che eseguivano interventi di resezioni di colon per via laparoscopica».
Una preparazione italiana, dunque, e una professionalità spesa in Germania. Ma non un cervello in fuga, secondo il dott. Crescenti: «Di cervello in fuga, secondo me, si può parlare nel campo della ricerca. Ma io non mi occupo di ricerca, sono un professionista che ha avuto queste interessantissime occasioni all’estero sia per imparare sia per svolgere la professione. Per questo motivo mi trovo in Germania, anche se mi piacerebbe lavorare a casa mia».
E, a riprova dell’insipienza italiana in proposito, porta un esempio: «Ho un aiuto e un assistente specialista siriani. Mi hanno raccontato che il sistema siriano prevede un prestito di 75.000 euro per chi va all’estero a specializzarsi: soldi a fondo perduto se si torna in Siria, da restituire con interessi se si resta fuori. È un progetto molto interessante che dà un input a riportare a casa quello che si è imparato fuori». Ma non in Italia, appunto, Belpaese che fornisce agli altri manodopera specializzata, senza averne nulla in cambio. «Evidentemente – rileva Crescenti -, manca una politica adeguata. Secondo me, se un’idea è buona, non va combattuta a priori solo perché la dice un altro, come avviene in Italia. Il nostro è diventato un Paese dove non si capisce dove stanno le buone idee e dove le trappole, tutto è politicizzato».
Eppure, per fare tornare le menti dall’estero basterebbe, per il dott. Crescenti, malato di “sicilitudine”, nostalgico del mare, del sole, dei prodotti della terra che siano gustosi, che ai professionisti validi si offrissero, pur se non le stesse condizioni economiche che ci sono in Germania, condizioni simili: «Se vuoi fare tornare qualcuno che ritieni capace, lo devi pagare. Se uno poi guadagna 15 fuori e 12 a casa, credo che chiunque tornerebbe». Perché comunque la nostalgia si fa sentire, visto anche che «italiani e tedeschi sono inevitabilmente diversi culturalmente. E se due persone hanno un’educazione e una cultura profondamente diversa, non riescono a comunicare facilmente. Mi manca fondamentalmente la possibilità di esprimere me stesso, di potere esternare quello che ho assimilato in gioventù. La battuta in dialetto, ad esempio: ma a chi la faccio qua? Posso tradurla, ma non rende. E poi il clima qui è un disastro: la Bassa Sassonia è bassa proprio perché è una depressione, è un grigio costante. A chi viene dalla Sicilia mancano sicuramente il mare, il sole: il sapore delle cose coltivate al sole qui non c’è, il pomodoro è rosso perché è rosso di natura, ma non ha sapore, non ha gusto».
Certo di contro la Germania ha pregi notevoli che fanno “perdonare” il peccato veniale del carattere un po’ scontroso dei tedeschi: «La Germania dà veramente opportunità: la meritocrazia qui è ancora molto diffusa. Senza andare lontano, io sono arrivato qua con le mie sole forze, senza nessuno che mi spingesse. Per raccomandazione qui non si va avanti, servono le qualità: se hai determinate caratteristiche sei in corsa, se non ce l’hai, non sei in corsa e non c’è nessuno disposto a sponsorizzarti».
L’obiettivo del dott. Crescenti, perfettamente integrato nel sistema meritocratico tedesco, è quello di «svolgere bene la mia professione. E i numeri finora sono molto positivi: nell’arco di tre anni ho raddoppiato il numero e aumentato il grado di difficoltà degli interventi effettuati. Dal punto di vista amministrativo, poi, ho introdotto un sistema di recensioni pubbliche su internet da parte dei pazienti del reparto. E ci sono ottimi riscontri. È infatti importante vedere il punto di vista del paziente, che accetta la complicanza medica, ma non l’indifferenza, la pigrizia. Voglio la massima trasparenza perché le regole siano chiare e rispettate da tutti, a partire da me e dal mio aiuto: se io do l’esempio, posso poi pretendere dagli altri».
Una “politica” di meritocrazia e trasparenza che produce frutti a 360 gradi che l’Italia dei “furbi” non riesce però a comprendere e copiare: «Il lavoro nel mio reparto, prima in comune con Traumatologia e Ortopedia e oggi autonomo, è talmente aumentato che mi ritrovo primario con due aiuti, tre specialisti e diverse assunzioni effettuate. Alla fine c’è un risvolto interessante anche da un punto di vista politico, perché si creano posti di lavoro con il proprio impegno».
Cosa consiglierebbe ai giovani? «Ai giovani mi sento di consigliare esattamente quello che ho fatto io». Di essere, quindi, internazionali, aperti al mondo. Una filosofia, assimilata dalla famiglia di origine, che il dott. Crescenti ha trasmesso ai suoi figli: «Ho due figli: Giulia, 22 anni, è nata in Italia dove ha frequentato le scuole fino alla terza media, poi ha fatto il liceo in Germania, l’università in management del lusso in Francia, corsi specialistici di un anno e mezzo a Dublino e ora il master in Francia. Mio figlio Francesco ha 20 anni, anche lui è nato in Italia, dove ha fatto le elementari, poi gli anni corrispondenti alle “medie” e una parte del liceo in Germania e gli ultimi 2 anni di college in Inghilterra. Voleva entrare alla facoltà di Medicina, ma non ha superato i test assurdi in Italia, con quesiti impossibili per chi non ha studiato lì. Mi rendo conto che è un caso isolato, ma per queste persone non c’è spazio nel nostro Paese, non c’è considerazione. Eppure si dice sempre che bisogna fare crescere i nostri figli europei… Mia figlia parla italiano, francese, tedesco, inglese: ma non ha solo imparato le lingue, conosce le realtà di queste nazioni, le popolazioni. Ecco, questo manca all’Italia. Se ci vogliamo uniformare agli altri Paesi, non possiamo occuparci dell’amico, ma delle qualità di chi si presenta. La raccomandazione al limite può essere accettata per uno che vale 9 e la raccomandazione lo fa valere 10 contro uno che vale 10 e la raccomandazione lo “retrocede” a 9. Ma non si può prendere uno che vale 3 solo perché è raccomandato. Il problema è quando la raccomandazione è preponderante rispetto al merito. Anche perché è chiaro che se metto un incapace al comando, tutti gli altri si accodano e si comportano di conseguenza».