La Sicilia di Andrea Tidona: «La visione di Sciascia oggi è degradata, viviamo nel mondo dell’effimero»

Di Gianni Stornello / 10 Novembre 2024

Andrea Tidona, la vediamo spesso in Sicilia, nella sua Modica…
«Sì, appena posso vengo a Modica. Me ne allontanai furente e anche un po’ ignorante a diciannove anni. Avevo un bisogno legato alla mia generazione e a quello che essa viveva, a quello che erano allora Modica e la Sicilia. Adesso c’è un ritorno, c’è un gusto, un piacere di stare nel luogo che riconosci come tuo, che è parte di te, perché sei attecchito in questa terra. Tutto sommato vorrei anche starci di più e spero in futuro di poterlo fare. Perché a Modica ritrovo il mio habitat».
Di recente è stato impegnato con l’Ifigenia in Aulide di Euripide e Mastro Don Gesualdo di Verga. Visto che ci consideriamo un po’ greci, con i classici consolida il legame con la Sicilia?
«Certamente nel caso di Mastro Don Gesualdo, così come tempo fa ho fatto con Serafino Amabile Guastella, cerco di legarmi di più alla Sicilia. Anche Ifigenia o in passato Edipo, con la loro matrice greca, mi fanno sentire parte di loro. Frequentare i classici o certa letteratura verista mi avvicina all’uomo, l’uomo nella sua essenza, nelle sue tragedie appunto, nelle sue contraddizioni, nel suo essere in balìa di sé stesso o degli eventi. Mi considero un po’ greco sicuramente».

Quanto è lontana, secondo lei, la Sicilia di oggi dalla “sicilitudine” di cui parlava Sciascia?
«È difficile dirlo in due parole. Sciascia aveva una visione che oggi sinceramente, è, come dire… Degradata? Sfaldata? Viviamo in una società fatta di effimero, fatta di niente, una società mordi e fuggi, consumistica. Pregi e difetti della sicilitudine di Sciascia sono degradati, sviliti».
Inutile chiederle se preferisce fare teatro o cinema e tv: teatro, giusto?
«Teatro! Non ti fa smettere di essere curioso, di conoscere, di studiare e di coltivare la tua passione. La tecnica a teatro è qualcosa di infinito davanti alla quale uno si potrebbe anche smarrire se ha coscienza di quali difficoltà presenta la recitazione e di quanto studio tecnico professionale e umano, culturale e sociale c’è bisogno».
Quindi la differenza è solo la tecnica?
«Non solo. Il teatro ti succhia proprio, ti vuole dentro profondamente al suo essere e ti dà la misura per capire quanto sei attore veramente. Il punto è la ripetitività. La gente mi chiede: lei tutte le sere dice le stesse cose, ma come fa? Reciterò con le stesse parole, ma dal punto di vista dell’emozione è impossibile dire tutte le sere la stessa cosa. Questo rinnovare è il fascino dell’essere attore è il riscoprire qualcosa di nuovo che non avevi capito o non avevi osato la sera prima. E poi non puoi stare davanti alla cinepresa come stai davanti al pubblico. Il pubblico ti dà un’energia meravigliosa da cui dipendono lo spettacolo e il tuo modo di essere quella sera».
Eppure la tv le ha dato una notevole visibilità. È pentito di aver detto sì ad alcune produzioni?
«Per la visibilità la televisione funziona più di tutti. Sulle produzioni non tornerei indietro, l’importante è come fai le cose. Preferisco fare un lavoro che apparentemente è di poca importanza culturale, ma farlo bene. La penso come Gramsci».

Gramsci?
«Sì. Gramsci diceva che lo stile di una persona si vede quando riesce a fare una cosa allo stesso modo, in qualunque circostanza (positiva, negativa, facile, difficile) ed essere sempre al massimo di quello che può dare. Quando riguardo certe cose che non sono state di grande valore artistico, sto tranquillo perché ho la coscienza apposto. Ho fatto del mio meglio».

Come è cambiato il teatro?
«Il teatro è cambiato come è cambiata la società. Se in meglio o in peggio, ai posteri l’ardua sentenza».

Nell’attesa dei posteri?
«Vedo attorno cose che non mi si confanno, che non appartengono al mio bagaglio. Ma forse è un passaggio necessario per produrre lavori più interessanti dopo. Ogni avanzamento passa per una crisi. Questo è un periodo di crisi, dobbiamo solo aspettare un ciclo positivo».

E le produzioni cinetelevisive di oggi cos’hanno di nuovo e di diverso?
«È cambiato il modo di produrre, di fruire del cinema e della televisione. Ci sono le piattaforme e quindi la produzione deve rispondere a certi requisiti perché sennò la piattaforma non la prende. Certi film degli anni Settanta, non parliamo dei Sessanta, oggi non si farebbero proprio perché il produttore non darebbe i soldi per farli. La televisione stessa lavora in base al target di pubblico e le serie sono operazioni di marketing».

La rivedremo in televisione?
«Ho girato una serie per Canale 5. Proprio in questi giorni di post-produzione mi arriva voce che stia venendo fuori un bel lavoro. I tempi della televisione dipendono dalle coincidenze. Se c’è un festival di Sanremo piuttosto che un altro evento, se si avvicina Natale… Credo che andrà in onda con il nuovo anno».

E in teatro?
«Per il teatro sarò a novembre in Umbria con un testo di Ghiannis Ritsos, un grande poeta greco che ha rivisitato alcuni miti, fra cui Agamennone. Io appunto faccio un monologo su Agamennone».

Due anni senza Carla Cassola, l’attrice che è stata sua compagna di vita. Dove e come la immagina? Crede in qualche “oltre”?
«L’assenza di Carla mi fa pensare a Pirandello che nei “Colloqui coi personaggi” immagina di incontrare la madre morta e dice una cosa che solo uno come lui poteva concepire: io ti vedo mamma, adesso qui vedo i tuoi occhi, vedo le tue mani e sento la tua voce. E quindi per me tu sei viva perché ti vedo. Sono io che non sono più vivo, perché tu non mi puoi pensare, tu non mi puoi vedere, tu non mi puoi abbracciare… Quindi dice: io non esisto; tu, mamma, esisti ancora per me; sono io che non esisto per te. E questo mi fa piangere, mi addolora. Evidentemente per Pirandello non c’era nessun “oltre”. Io non sono come Pirandello, ma la penso come lui. Oltretutto vorrei dire a quelli che ti devono spiegare che cosa c’è dopo e che se Dio esiste o non esiste attiene al mistero: ma, scusate, se si chiama “mistero”, perché vi affannate a spiegare che cos’è? Elaborate, come dicono i tecnici, il vostro dolore e la solitudine, che non è la solitudine del quotidiano, ma è la solitudine dell’intimità l’esser soli. È con essa che devi fare i conti».

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Pubblicato da:
Carmela Marino
Tag: Tidona