Catania – Davanti a quell’edificio abbandonato con l’inconfondibile acronimo Ega in font littoriano, ci passava tutti giorni all’uscita da scuola, l’Istituto d’arte in via Crociferi. Luciana Cavalli, artigiana delle scarpe, quel luogo l’aveva immaginato, da sempre, come il centro del suo mondo. La futura sede della sua piccola fabbrica di scarpe fatte a mano, un’eredità lasciatele dal nonno Vincenzo. Forme, pelli e tomaie che adesso torneranno nel posto “ideale”, l’ex stabilimento di calzature Ega in via della Mecca, un edificio che si trova in un quadrilatero storico unico, da un lato il settecentesco collegio dei Gesuiti, dall’altro il teatro greco-romano e l’oratorio salesiano di via Teatro Greco, le terme (romane) della Rotonda (purtroppo quasi sempre chiuse con i turisti che guardano, leggono il cartello e tirano dritto).
Fabbrica, operai, manifattura, passione. Parole che oggi – nel mondo del lavoro “liquido” e precario -sembrano quasi senza più significato. L’ingresso al pubblico sarà su via San Giovanni Bosco. I primi proprietari avevano fatto scrivere sull’arco d’entrata questo proverbio: «La fatica promette il premio, la perseveranza lo porge». E la perseveranza non difetta in Luciana Cavalli. Lei è una che non ha paura delle sfide (vedi la battaglia con l’omonimo stilista Cavalli che l’ha citata in Tribunale ndr) e le ha sempre affrontate con la disciplina nel suo lavoro. Poco più di un mese e mezzo di lavori restituirà l’immobile alla sua destinazione d’origine: un calzaturificio artigianale. L’attività produttiva partirà all’inizio di marzo, per la ristrutturazione complessiva saranno necessari ulteriori 30 giorni. Un’operazione commerciale della quale è indubbio anche il valore “sociale”, dal momento che là dove vive il lavoro, rivivono anche il quartiere e il tessuto economico di una città.
Secondo la tabella di marcia dei lavori, la nuova sede verrà inaugurata all’inizio di aprile, «l’idea è di mio marito, festeggeremo così i nostri 25 anni di matrimonio…», dice un’emozionata Luciana Cavalli e così, per la prima volta, questo “cubo” color sabbia che – negli anni – ha attraversato grandi fortune, subìto bombardamenti e ospitato una tipografia, una scuola e anche una palestra per il pugilato, riaprirà davvero le porte . “Deus ex machina”, i Salesiani vicini di casa che hanno fatto il tifo per un recupero “attivo” dello stabilimento. «Sono stato felicissimo – conferma don Giuseppe Salamone, direttore dell’Oratorio salesiano di via Teatro Greco – quando ho saputo che qui sarebbe rinato un luogo di lavoro. Mi piace l’idea che ci sia un po’ di pulizia attorno all’oratorio, perché uno spazio abbandonato dove si creano periodicamente delle discariche abusive e dove quando fa buio si spaccia, non è tollerabile. E poi è uno spazio che potrebbe dare a tanti giovani anche un po’ di lavoro. Una fabbrica al centro storico sembra un po’ strano, però è bello, è un corpo che riprende vita».
La ristrutturazione, affidata al geometra Massimo Stuto ed all’ impresa EdilGiuffrida prevede al piano terrà (dove c’era il ring per la boxe) il laboratorio e, al primo piano, lo show room con scarpe, borse, cinture, spazi in cui il bianco dominerà «devono risaltare i colori delle nostre creazioni», spiega Cavalli. Con il rischio recessione dietro l’angolo e le aziende che scappano all’estero, la scommessa di una vecchia fabbrica manifatturiera nel cuore della città sembrerebbe un salto nel buio invece è un modo per guardare lontano. «Io sono il pazzo – confessa Giuseppe Mangano, il marito di Luciana Cavalli – e lei è quella che ci crede». «Sì, ci credo tantissimo nella ripresa dell’artigianalità in Italia – conferma lei -. Non è stato facile acquisire questo edificio, abbiamo dovuto superare diversi ostacoli, ma alla fine ce l’abbiamo fatta grazie anche a don Enzo Ferrarella (coadiuvato dall’ing. Luigi Giandinoto), che ha creduto nel nostro progetto. Apriremo ai turisti, certo, soprattutto a loro, ma il mio sogno sarebbe attivare qui un laboratorio per insegnare ai ragazzi del quartiere che ne abbiano voglia questo mestiere antico e nobile. Sono convinta che nell’artigianato ci può essere un futuro e se io riuscissi a dare il mio contributo per tramandare questo mio saper fare sarebbe per me una grande soddisfazione. Durante i lavori ho trovato una forma di legno della vecchia fabbrica. Oggi le forme sono in resina, non le fanno più così. La conserverò come portafortuna».
Meglio, come il simbolo di un passaggio di testimone.
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