Intervista a Roy Paci: «Altro che Ponte. Farei pagare un pedaggio per entrare in Sicilia, è l’Isola del tesoro»

Di Ombretta Grasso / 09 Luglio 2023

La sua musica è allegria, gioia, amicizia. Ha il sapore del Sud America e delle tradizioni di paese, corteggia il jazz e Carosone. È toda joia, toda beleza. Roy Paci, baffo ironico che rimanda a Fred Buscaglione, nella scorsa stagione omaggiato da uno spettacolo teatrale molto applaudito, ha radici nella sua terra e cuore per il mondo. La sua musica è allegria, ma anche denuncia, rabbia, solidarietà, grido per i diritti, per il lavoro, per chi resta indietro. Dalla porta accanto, nella sua Augusta delle ciminiere, all’Amref. Un artista straordinario che unisce ska, reggae, R & B, jazz.

A quattro anni studiava il pianoforte nella palazzina dietro casa. «Con un musicista con cui suonavano mio padre e mia madre – racconta – Erano contadini ma negli anni 60 avevano un gruppo di rock&roll e twist. Lui suonava il sax, lei cantava, era un’urlatrice. In famiglia si respirava la musica. A nove anni mio padre mi portò nella banda del paese. Ho preso in mano la tromba e sono rimasto folgorato».

La sua Augusta

Nella sua Augusta, «la mia città bellissima», alla quale ha dedicato una canzone, ha messo vinili nelle radio di quegli anni, «è cambiata, oggi ci sono tanti giovani, una narrazione più fresca». Poi è partito per altri confini. «Ho vissuto in tante città: New York, Montevideo, Barcellona, Parigi, Amsterdam, Milano, Faenza, Torino, Firenze, Lecce».

Estate “Caliente”

La sua è un’estate “Caliente”, come il titolo del tormentone dance di Federico Scavo & Roxy feat. Roy Paci che scala anche le classifiche internazionali. Fitta di concerti in tutta Italia, ma soprattutto nella sua Isola.

Il tuo rapporto con la Sicilia e i siciliani?

«E’ sempre stato meraviglioso. Sono tornato in Sicilia da cinque anni dopo aver vissuto per tantissimo tempo altrove. Sono andato via a 19 anni non perché, come dicono tanti, bisogna fuggire. Potevo continuare a fare il contadino con mio padre se non ci fosse stata una passione così forte da avermi fatto pensare di poter fare il musicista. Avevo bisogno di confrontarmi con il resto del mondo, ma non mi sono mai immaginato di scappare dalla mia terra. Me la sono sempre portata dentro. E sono sempre tornato. Ora sto rivivendo l’isola con occhi più maturi, che mi permettono di arrivare con più consapevolezza nella vera essenza dell’essere siciliano».

E cosa significa essere siciliani?

«Soprattutto sentirsi di appartenere a un territorio al centro del mondo perché il Mediterraneo per me è un continente a parte. I popoli che vi si affacciano hanno tracciato una storia bellissima, una narrazione infinita. Un siciliano deve sentirsi orgoglioso di questa parte di mondo che tutti ci invidiano».

L’oro di questa terra

Coste cementificate, scarichi a mare, rifiuti ovunque, centri storici stravolti…

«Nel tempo il nostro mondo l’abbiamo devastato in maniera selvaggia, basti pensare alle industrie pesanti che hanno scaricato veleni nel Mediterraneo e hanno rovinato parte dell’oro di questa terra. Peccato che molti che fanno parte delle generazioni precedenti alla mia, compresi i miei genitori, abbiano creduto a un sogno di sviluppo che si è infranto contro un muro di inquinamento, di mortalità».

La musica può cambiare la realtà?

«Credo sempre nelle possibilità. A volte non basta il concerto o il corteo, però ci proviamo. Non mi piace solo puntare il dito, ma dare attenzione anche alle cose positive».

Da 10 anni sei tra i direttori artistici del Primo maggio a Taranto con Diodato e Riondino.

«Tutto quello che ho cercato di fare ad Augusta quando ero ragazzo, con altri che come me credevano in una realtà migliore e migliorabile, in una conversione possibile, non è mai stato preso sul serio. A Taranto mi sono sentito riscattare da quella condizione. Molta gente non capiva che si potesse cambiare, era più forte la preoccupazione di perdere il lavoro. I genitori siciliani sono sempre lì a lavorare come schiavi per poter garantire un futuro migliore ai propri figli. E certo non li biasimo per questo. Ma abbiamo un territorio unico, abbiamo un tesoro tra le mani».

Siamo “scantati”

Perché non sappiamo vivere di questo tesoro?

«Non ce ne rendiamo conto. Ci scontriamo contro un’ignoranza eccessiva, si ignora quella che potrebbe essere anche una prospettiva diversa rispetto a quello che ci hanno detto fino ad ora. A volte ci spaventiamo, siamo “scantati”, sembra che perdiamo il terreno sotto i piedi. Ci piangiamo addosso sempre. Abbiamo un mare stupendo, Lampedusa è stata la migliore spiaggia del mondo nelle classifiche. Già il turismo potrebbe soddisfare il bisogno dei siciliani. Io farei pagare un pedaggio per venire in Sicilia, altro che Ponte! Bisogna salvaguardare la nostra ricchezza, la bellezza del nostro paesaggio».

Cosa cambieresti?

«Credo che si debba iniziare ad amare la nostra terra in maniera diversa, come fanno tanti che amministrano bene i loro Comuni. E non dovremmo più dare spazio nell’amministrazione della cosa pubblica a chi ha un passato connesso alla mafia».

Cosa non ti piace?

«Quelli che sui social riescono a fare chissà cosa, scrivono da attori di un cambiamento. Ma dietro a una tastiera sono tutti bravi, nella realtà, quando si tratta di agire, la gran di queste persone non c’è mai».

W la banda

Hai iniziato con la banda, un amore mai finito.

«Ho suonato tanto con la banda e ho cercato sempre di mantenerne viva la memoria. Dal primo disco di marce funebri con la Banda Ionica agli arrangiamenti per banda per Vinicio Capossela, Niccolò Fabi e tanti altri. Oggi stanno morendo perché non ci sono più sovvenzioni adeguate».

Come salvarle?

«Portandole sul palcoscenico. Sono in tour tra piazze e paesi del Sud Italia con gli Ottoni animati e il progetto “Viva la banda”».

Proprio ad Augusta suonerai per la prima volta, il 13 agosto con gli Aretuska.

«Sono emozionato e felice. Ho sempre amato Augusta. Sarà l’unica occasione per far assistere al mio concerto Pina & Tanino, i miei genitori oramai anziani che da tempo avevano rinunciato alle trasferte. Sarà un gran festone con ospiti speciali, spero di riuscire a concretizzare delle sorprese. Un concerto che dedico a Peppino Passanisi, il maestro che ho avuto nella banda da ragazzino».

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Pubblicato da:
Alfredo Zermo