Luigia Sergio ha un sogno. Ed è quello che, un giorno, l’estremo lembo a sud della Sicilia, da sempre considerato provincia “babba”, venga riconosciuto da tutti come una bellissima zona di “frontiera illuminata”. E quando pronuncia questi due termini, “frontiera” e “illuminata”, li pesa, sillabandoli bene.
L’imprenditrice siciliana parla infatti di una sorta di oasi, una zona riservata-protetta, in cui libertà, uguaglianza, solidarietà, armonia tra natura e ragione, sensismo, felicità siano i valori praticati. Un’illuminista, insomma, fermamente convinta che gli ideali ispiratori del movimento che rivoluzionò il pensiero europeo a metà del XVIII secolo, possano essere fonte d’ispirazione per la sua gente, tra Pachino, Rosolini, Noto e Portopalo, in primo luogo, per le nuove generazioni.
«Cos’è la Sicilia secondo me? – sospira – è luce, è accoglienza, è libertà, è terra delle donne di frontiera».
La luce, la stessa che l’ha spinta a lasciare il nord, dove ha vissuto per molto tempo, soprattutto quella metaforica, capace di «liberare l’uomo dalle tenebre dell’ignoranza».
Poliedrica e impegnata, la Sergio è attivista per i diritti Lgbt – fa parte infatti del direttivo Arcigay di Siracusa – e produttrice di vino, oltre che organizzatrice di eventi. Lunghi studi allo Iulm di Milano, è cresciuta tra Parigi e la città meneghina lavorando nel mondo della pubblicità e tornando in Sicilia, dopo quindici anni di assenza, per prendere in mano le sue terre, quelle che una volta erano il Feudo Maucini, ettari di campagna che si estendono dai confini di Noto con Pachino e fino a Portopalo di Capo Passero. «Io ci credo – afferma – e penso che se per decenni la gente di qui si sia piegata al brutto, è stato solo perché, a causa di ragioni storiche ed economiche, la bellezza non l’ha mai veramente conosciuta. Ma i giovani no, loro hanno a cuore le loro origini ma, nel contempo, anche una voglia di riscatto incredibile. È da loro che bisogna ripartire, coinvolgiamoli! E aggiungo che, proprio perché siamo stati per troppo tempo considerati luogo di periferia e terra di confine, abbiamo sviluppato e tramandato l’istinto alla tolleranza, all’accettazione delle diversità, al pensiero libero, nonostante tutto».
La periferia, quella di cui parla Luigia Sergio, è un’enorme distesa di migliaia di ettari di campagne potenzialmente ricchissime, terre abbellite da superbi bagli e masserie ancora spesso abbandonate, chilometri di spiagge dorate e trascurate e anche di serre, lunghissimi tunnel di plastica bianca costruiti senza un criterio e messi lì a bruciare pur di coltivare pomodori e meloni.
«Il bello è che da quindici anni a questa parte, quando qui non arrivava neanche l’autostrada, hanno iniziato a investire e continuano a farlo senza sosta ancora oggi, centinaia di persone provenienti da tutto il mondo. Loro, gli “stranieri”, hanno preso casa e terreni, palazzi nei centri storici e ruderi sulle spiagge perché innamorati del contesto. Quel contesto che con tutte le sue difficoltà, ha reso possibile la trasformazione “etica” di luoghi ancora selvaggi, ma proprio per questo preziosi. Ecco, questo fenomeno ha creato una comunità stanziale di “menti illuminate”, luogo di respiro internazionale che, con un semplice passaparola ha contagiato altri ed altri ancora. La mia speranza è che questo recupero etico, solidale, di gusto, che questo sviluppo economico a “km0”, continui, così come ha fatto finora, tenace e in silenzio».
Ma il sogno, quello di cui la produttrice parla di continuo, deve necessariamente essere aiutato.
Come?
«Innanzitutto favorendo l’ascolto, delle comunità, dei gruppi organizzati, delle associazioni, dei produttori, dei giovani e delle donne. Imparino, chi ci governa, che ascoltare non è sottoporsi alla critica, ma favorisce la condivisione e suggerimenti che a volte solo parlando vengono fuori. Per esempio, prima di approvarli i grandi impianti fotovoltaici, parliamone, vediamo cosa ne pensa tutta la comunità, fare arrivare decisioni dall’alto non aiuta».
E cosa manca per raggiungere l’obiettivo di essere ascoltati?
«Quello che manca a molti nostri amministratori è la visione – spiega – intendo dire che non si può rendere un territorio perfetto e bonificato se si continua ancora a pensare che amministrare vuol dire ottenere consensi a breve termine. La costruzione di luoghi curati, avanzati tecnologicamente, puliti e pervasi dalla bellezza richiede anni, decenni. Atene o Roma non sono nate in cinque anni».
Luigia Sergio non nasce aristocratica, ma la sua famiglia giunta già alla quinta generazione e originaria in principio di Mistretta, ha radici ovunque in Sicilia, da Messina a Palermo a Pachino, appunto. I suoi antenati, allevatori lungimiranti, avevano capito presto che per allevare le bestie non si poteva vivere tutto l’anno sui monti, luoghi bellissimi ma difficili.
«La nostra è stata una migrazione interna e verso Sud, stagionale, lenta – racconta -. Quando i miei acquistarono il feudo, esteso, molto grande e popolato da umili e laboriosi contadini, lo fecero per portare le bestie a svernare. Poi nacquero i paesi, Pachino fu popolata in maniera disordinata, Portopalo era pressoché inesistente. Ecco se tra tutte queste comunità – Noto, Rosolini, Pachino, Ispica etc. – tutte distanti una manciata di chilometri l’una dall’altra, cominciasse ad esserci collaborazione, comunicazione, mutuo soccorso, in quel caso la zona tutta ne trarrebbe dei benefici enormi. Per questo parlo di “visione”, bisogna cominciare a guardare sì il proprio “orticello”, ma immaginandone un futuro, che non è certo locale, ma globale».