Lavora negli Usa per il governo federale nell’ufficio che vuole incrementare l’utilizzo dell’energia solare, pulita e rinnovabile. Il 35enne catanese Emanuele Francesco Pecora in realtà pensava di fare soltanto una breve esperienza oltreoceano ed invece da 8 anni lavora negli Usa, oggi con un incarico prestigioso a suggello di una altrettanto brillante carriera universitaria: laureato in Fisica nell’ateneo etneo, dove ha frequentato in contemporanea la Scuola superiore di Catania, fucina di cervelli alle pendici del Vulcano, ha conseguito il dottorato in Fisica sempre a Catania. Poi la decisione di spostarsi negli Usa, dove «ho fatto un totale di 5 anni di post doc tra la Boston University e la Stanford University».
Un paio di anni fa, un’occasione che il giovane siciliano non si è lasciato sfuggire: si è infatti trasferito a Washington Dc dove lavora per il governo americano nell’ufficio del solare. «Sono un technology manager e ho un portfolio di investimenti in ricerca e sviluppo di circa 60 milioni di dollari destinati prevalentemente – nel mio caso – alle piccole e medie aziende, quelle che in America si chiamano start up: noi le finanziamo per progetti di super-sviluppo nel campo del solare ad ampio spettro (nuove tecnologie, innovativi pannelli fotovoltaici e materiali, ma anche nuovi software e sistemi per aumentare la possibilità di immettere maggiore quantità di energia solare nella rete elettrica)». Il dott. Pecora, con i colleghi dell’ufficio, partecipa «in maniera attiva alla fase di selezione e revisione delle applicazioni e poi di negoziazione degli obiettivi di natura tecnica, economica e finanziaria dei progetti».
Una scelta, quella intrapresa 8 anni fa di andare in America, dettata dall’idea che «mi sembrava normale – spiega l’esperto catanese -, dopo la laurea triennale, la specialistica e il dottorato in Italia, fare una breve esperienza all’estero. L’idea era arricchire l’esperienza lavorando in un contesto diverso, con un’altra cultura, per ampliare le mie esperienze. Poi ho trovato altre opportunità e sono rimasto in America».
Rimasto, anzi corteggiato, anche grazie a una preparazione ottimale ricevuta in Sicilia: «Assolutamente sì: prima alla Boston University e poi alla Stanford University, tra le prime al mondo, ho potuto lavorare grazie alla preparazione ricevuta all’università e alla Scuola superiore di Catania. Preparazione sia nelle materie, sia nell’attività di ricerca durante il dottorato e la tesi alla Scuola superiore di Catania, entrambe di rilievo internazionale e che mi hanno permesso di avere il biglietto di visita giusto con cui avere la mia prima opportunità negli Usa». Una preparazione testata anche negli anni col confronto con i colleghi: «Sono assolutamente convinto che la preparazione che dà il sistema universitario italiano in generale non ha nulla da invidiare a quella straniera e anzi, per certi versi, è anche migliore perché è più focalizzata sulle fondamenta, il che consente una maggiore versatilità, mentre negli Usa sono più concentrati sul sapere svolgere il proprio compito specifico».
Certo, dispiace un po’ che un esperto di energia solare non se ne possa occupare nella sua Sicilia, una delle terre più assolate del pianeta. Ma su questo il dott. Pecora in realtà smentisce: «In Sicilia ci sono tantissime attività aziendali – una per tutte Enel Greenpower che sta investendo tantissimo proprio a Catania con la St – che si occupano di solare. Io lavoro con molte aziende in America e spesso queste comprano dall’Italia macchinari o elementi che servono per il processo. Quindi, anche da questo punto di vista ci sono delle punte di eccellenza. Probabilmente, il problema è che, a fronte di tante piccole punte di eccellenza, manca un sistema globale di supporto».
Il dott. Pecora, in ogni caso, non esclude un rientro in Italia, anche se «in questo momento non ho alcun piano specifico. Da un lato sono molto legato a Catania e alla Sicilia in generale, perché è dove mi sono formato, sono cresciuto e, se sono qui in America, è grazie a quella formazione. Questo legame, anche se da lontano, si esplica ogni giorno ad esempio nella passione che metto nel mio tempo libero ad organizzare eventi per la Scuola superiore di Catania, come TEDxCatania: si tratta di una giornata che si svolgerà a ottobre dell’anno prossimo, dedicata a nuove idee – in tutti i campi: dalla scienza all’ingegneria, dallo sport alla cultura in generale – che possono cambiare il futuro rendendo Catania migliore di quanto già è. Sul mio rientro, invece, dipende: diciamo che non avrei alcun problema se ci fosse l’opportunità giusta di fare qualcosa che mi piace». Perché, ci tiene a precisare, «la retorica del cervello che fugge non mi è mai piaciuta: secondo me è normale che le persone facciano esperienze all’estero». Il problema è però che poi non tornano: «Esatto, diciamo che in generale è lo stesso motivo per cui l’Italia e la Sicilia non riescono ad attrarre persone di altre nazioni. E qual è il motivo? Probabilmente i meccanismi di selezione e il tipo di lavoro non sono necessariamente aperti a nuove iniziative di giovani. In America, anche se non sono nato e cresciuto qui, posso tranquillamente, se ho le capacità, competere con chiunque altro perché si viene scelti soltanto in base alle qualità. Invece spesso, magari non sempre, in Sicilia non c’è un’attitudine a rischiare e a scommettere su idee nuove e innovative, magari un po’ folli ma che, se hanno successo, possono cambiare le cose».
Insomma, una visione un po’ statica, prudente e poco meritocratica: ecco serviti così gli ingredienti che impediscono il decollo dell’Isola. Che pure manca a tutti i siciliani che vivono all’estero. E lo conferma il dott. Pecora: «Della Sicilia mi manca la famiglia, mentre molti dei miei amici non sono più a Catania, purtroppo: Natale diventa quindi l’occasione per rivederci tutti. Mi mancano poi alcuni aspetti della cultura italiana, e siciliana in particolare: quel senso di ospitalità e di accoglienza amichevole che non si trova in altre parti del mondo e che è invece una risorsa su cui si dovrebbe investire». Della Sicilia al brillante fisico etneo non mancano invece «la confusione e la disorganizzazione, il non essere focalizzati sugli obiettivi e la diffidenza innata verso le idee nuove».
Nessun rimpianto, dunque, ma la felicità consapevole di creare, col suo lavoro, «opportunità per piccole aziende, create magari da due ragazzi appena usciti dall’università con un’idea folle, ma che ha senso: mi piace l’idea di supportare, non solo finanziariamente ma anche col mio background tecnico, queste nuove idee e fare così in modo che l’energia solare, o comunque da fonti rinnovabili, sia in continua crescita». Persino nell’America di Trump, che pare privilegiare le fonti energetiche classiche: ma in realtà sembra essere più che altro «retorica, perché poi a decidere è il mercato, che cerca fonti di energia più economiche. E l’energia solare è di fatto, grazie ad anni di investimenti, ricerca e sviluppo, una delle fonti più economiche disponibili. Per questo il solare sta continuando a crescere e ogni anno il Congresso ha aumentato il budget a disposizione del nostro ufficio».
Ai giovani il dott. Pecora consiglia allora «anzitutto di rendersi conto di quelli che sono i punti di forza anche di Catania e della Sicilia. Sento infatti spesso siciliani che vedono come unica opzione quella di andarsene, come se non ci fosse nulla di buono a Catania. In realtà non è vero: ci sono molte cose che funzionano, bisogna però sfruttarle. Secondo consiglio è non avere paura di fare un’esperienza anche breve all’estero, perché comunque arricchisce e fa bene. Terzo, non avere paura di seguire i propri sogni, i propri desideri: un po’ a causa della situazione difficile – lo capisco e lo riconosco – in Sicilia c’è spesso tanta sfiducia e rassegnazione. In realtà, bisogna sempre continuare a seguire i propri sogni, cercare di capire cosa si vuole fare nella vita e lottare per ottenerlo. E, se non c’è un modo già prestabilito, creare un modo nuovo per farlo. Infine, ma non ultimo, consiglio di studiare bene l’inglese».