Riavvicinare, riconnettere, riscoprire, ringraziare. È fatto di questi verbi il vocabolario sentimentale di Paola Bellia, 29 anni, catanese adottata dalla Svizzera che – da poco più di due mesi ha aperto ha aperto una “fabbrica” di cioccolato nel Paese simbolo del “cibo degli dei”. Famiglia di imprenditori, studi in Fisica (a Catania) “dirottati” poi verso l’accoglienza, esperienza a Londra e radici a Losanna per una laurea all’Ecole hôtelière, Paola ha messo attorno ad un tavolo Angela Romagnoli (27 anni) e Oranne Corelli (25), la prima pugliese, maître chocolatière e “maga” del packaging, la seconda, svizzera con origini ferraresi direttrice marketing, per fondare tutte e tre insieme “Cadesio” (“Ca” come cacao e cambiamento e “desio”, come desiderio) una piccola azienda con una grande vision: cambiare il mondo con il cioccolato. Oltre l’equo&solidale, oltre i taste chocolate, i pasticcieri star e gli chef stellati.
Ma quando ai vostri interlocutori dite di voler cambiare il mondo con il cioccolato che facce vi ritrovate davanti?
«In realtà, le persone che mi guardano pensando “non ce la farai mai” sono poche – dice Paola Bellia – credo che sia arrivato il momento per noi giovani e soprattutto per noi donne, di farci avanti e di credere in qualcosa. Del resto tutti coloro che hanno cambiato il mondo l’hanno fatto con idee folli, vedi Steve Jobs. Non vogliamo paragonarci a lui ma impegnarci davvero per cambiare il ruolo delle multinazionali del cioccolato. Se Cadesio dovesse diventare un’azienda grande è chiaro che guadagnerò uno stipendio importante, ma io non mi vedo come gli altri direttori con 200 case sparse per il mondo e 14 Ferrari, non me ne frega niente, né a me, né ad Angela e Oranne. La nostra idea è guadagnare meno ma investire di più nell’azienda ed avere dipendenti che siano felici di fare quello che fanno».
Ma allora il vostro riferimento non é Jobs è Brunello Cucinelli…
«Sì (ride ndr), ci credo, ci crediamo tanto davvero. Ogni cioccolato rappresenta una tematica che può cambiare il mondo ce n’è uno, per esempio, che vuole spingerti a dire grazie più spesso, un altro a prendere del tempo per te nelle vite frenetiche che conduciamo tutti, e così via. In pratica ci muoviamo su tre assi di azione: “ispirare” (al cambiamento nella propriavita); “sostenere” (le 9 fondazioni svizzere, tante quanti sono i tipi di cioccolata prodotta, con progetti di solidarietà, per esempio ce n’è uno che si chiama “Muditā” ed è la gioia di ritrovare il proprio bambino interiore legato ad una fondazione che che si occupa dei bambini ospedalizzati a Losanna). La terza linea è “agire” (tutto quello che noi vorremmo vedere all’esterno lo facciamo già dentro l’azienda), “Gea”, per esempio è un cioccolato con una confezione a zero impatto di plastica e alluminio, l’incarto alimentare è a base di piante e va nel compost, quello esterno in cartoncino è fatto di fibre riciclate al 100%».
Perché il cioccolato proprio in Svizzera?
«Questo prodotto qui ha un marketing importante percepito immediatamente dalla gente come espressione di “qualità”, e poi, checchè se ne dica, il mercato svizzero è sì saturo di aziende che sono lì da centinaia di anni, ma sono poche quelle che cercano di innovare il settore».
Cioccolato cibo o emozione?
«Per noi è un vettore capace di risvegliare i ricordi della nostra memoria. Ne abbiamo creato uno alla mela e cannella e chi lo mangia ci dice di ricordare il Natale in famiglia. Il nostro obiettivo era proprio questo: rievocare quell’atmosfera, con le nonne, le riunioni attorno alla tavola, le chiacchierate…».
Paola Bellia si sente un cervello in fuga?
«No, casomai un cervello temporaneamente lontano. In realtà voglio tornare a casa, ho già dei progetti legati alla Sicilia e li svilupperò sicuramente, magari nei prossimi 5 anni…».
Quanto ci avete messo per arrivare ad aprire l’azienda?
«Un anno di ricerca e di lunghe nottate. Finivamo di lavorare alle 19 e poi ci ritrovavamo a casa mia fino a notte fonda. Angela era pasticciera in un hotel a Losanna, io lavoro ancora per una fondazione che assegna borse di studio ai ragazzi e lì ho conosciuto Oranne. Per partire abbiamo investito i nostri risparmi».
Com’è la Sicilia vista dalla Svizzera?
«Affascinante. Ci porto sempre le mie socie. È vista molto bene, un po’ caotica magari, la gente non ci si trasferirebbe mai per lavoro ma per le vacanze… Comunque io vengo spesso, a Catania ho tutta la mia famiglia, mia mamma che abita in via Umberto, i miei fratelli, i miei nipoti, ho un legame molto forte con tutti loro».
E come hanno preso il tuo progetto?
«Mia mamma all’inizio era un po’ scettica come quando sono partita per la Svizzera, ora è una delle mie più grandi fan, mi telefona per dirmi che non compra più plastica e fa la differenziata».
Il ricordo della prima cioccolata?
«A Pasqua, una schiacciatella con dentro un pezzo di cioccolata di Modica».
E quella preferita oggi?
«Un quadratino di “Santiago” prima di andare a dormire, nero al 64% con platano e zenzero».
Alla Sicilia avete dedicato il cioccolato “Ventu”, è un vento di tempesta o di creatività?
«Ventu, come il vento della conoscenza e della cultura che può sradicare e far ripartire qualunque cosa, dedicato alle gesta degli eroi che hanno attraversato le strade della Sicilia, come Falcone, Borsellino o il poliziotto Calogero Zucchetto».
Nelle mani di chi le piacerebbe finisse il vostro cioccolato?
«Se rispondo tutti? Vorrei che arrivato nelle mani di qualcuno e facesse “la differenza”. Che lo mangiasse non so, una persona negli Emirati Arabi e si dicesse “Sono gay e va bene così”, sarebbe il mio sogno».
Twitter. @carmengreco612