Dalle finestre di casa sua, quasi sulla cima della Rupe Atenea, uno dei due colli su cui sorge Agrigento, la vista è mozzafiato. Da est a ovest, da Punta Bianca fino alle montagne che nascondono Realmonte e, in mezzo, la Valle dei Templi e San Leone con il suo mare. Se uno nasce da queste parti – e con queste finestre – è come se l’amore per la natura e per il paesaggio fosse parte del Dna.
Questa casa – e queste finestre – sono di Giuseppe Taibi, il presidente regionale del Fondo per l’Ambiente, 57 anni, avvocato agrigentino stimato non solo per la sia ars oratoria ma anche per i suoi modi signorili, raffinati ed eleganti. E’ lui l’uomo che nel suo codice genetico ha scritto a chiare lettere l’amore per il bello, sia esso per l’arte, per le vestigia storiche, per la lettura, per il cinema.
E il bello è che la storia del Dna non è solo una trovata per raccontare il personaggio Giuseppe Taibi. «A trasmettermi l’amore per il bello sono stati mia madre Gabriella e mio zio Nicolò» spiega l’avvocato che, dunque, conferma che è per davvero una questione di Dna.
Che poi “mia madre Gabriella” è Gabriella Curella Taibi, che fu presidente della Provincia di Agrigento e instancabile animatrice culturale nonché figlia di Angelo, fondatore della Banca Sant’Angelo e di Ines, deputata del primo Parlamento Siciliano nel 1947 nonché sindaco di Licata, mentre “mio zio Nicolò” è stato per anni presidente della stessa banca. Questo per inquadrare meglio Giuseppe Taibi e l’humus nel quale è cresciuto.
«Poi c’è Giulia Maria Mozzoni Crespi (la fondatrice del Fai, scomparsa l’anno scorso, ndr) – ha raccontato Taibi – una donna che la lottato per tutta la vita per l’affermazione della bellezza che, come diceva lei, è un altro modo per dire la verità».
La pandemia e la vita in sospeso per un anno e mezzo, hanno cambiato molte cose, pure il modo di vivere di Giuseppe Taibi: «La pandemia mi ha aiutato a ripensare la vita. E mi sono impegnato a fondo con il Fai per la valorizzazione del patrimonio artistico e paesaggistico». Il binomio ambiente e Fai non è così scontato. Se l’acronimo è Fondo per l’ambiente italiano, in realtà la Fondazione si è da sempre dedicata alla gestione del patrimonio artistico. Ora – anche grazie a Giuseppe Taibi – il tema “ambiente” è tornato al primo posto della missione del Fai.
«Oggi siamo avanguardia – spiega senza nascondere l’orgoglio di chi sa di avere avuto un ruolo fondamentale nella svolta – perché in Senato è stato dato il primo ok alla modifica dell’articolo 9 della Costituzione. Alla tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione ora si aggiunge anche l’ambiente».
Giuseppe Taibi è presidente regionale del Fai da tre anni, un impegno che lo ha coinvolto completamente, pur essendo lui titolare di un avviatissimo studio legale: «Abbiamo investito sulla Sicilia e su Agrigento. Provengo da una famiglia dove si è sempre guardato al territorio con mio padre (Michelangelo, avvocato, ha fatto politica in provincia, ndr) e mia madre. Quando dal Fai mi hanno chiamato mi sono detto che chi ha di più deve dare di più per il territorio in cui vive». Ed è per questo che Taibi ha deciso di impegnarsi anche nella società civile, dopo che da avvocato (tre esperienze all’estero, in Illinois, in Australia e a Bruxelles) ha ricoperto pure cariche nazionali nell’Oua, l’Organismo unitario dell’avvocatura, una specie di Anm degli avvocati.
Il “pallino” resta l’ambiente. Il bello e la bellezza viste a 360°. Ed è Taibi che racconta un aneddoto che è la sintesi del suo impegno al Fai: «Quando in un intervento nel corso di una riunione ho chiesto che il Fai tornasse a occuparsi di ambiente per me è stato come se si fosse chiuso un cerchio. Ebbene a quella riunione erano presenti i vertici del Fai e il presidente Andrea Carandini (insigne archeologo e accademico, al vertice Fai per altri due anni ancora, ndr) appena incontrò Giulia Maria Crespi che era una tra le principali fautrici del “ritorno” del Fondo alle origini, le disse che finalmente quella svolta ci sarebbe stata». Fa una piccola pausa e poi Taibi riprende: «Ma lo sa che quando il presidente Carandini ci ha spiegato il significato di ambiente umano a un certo punto ha citato Agrigento con la sua storia, i suoi mandorleti e i suoi uliveti, gli scavi, le stratificazioni? Un rapporto tra uomo e natura che c’è sempre stato».
Una svolta che c’è stata insomma anche grazie a Giuseppe Taibi, circostanza però che lui non ammetterà mai. E’ un modo di fare, di vivere e di porsi. Che infatti lo ha convinto a non fare politica attiva: «Ma quello che faccio – ha detto – è politica, perché la politica è lavorare per il territorio. La politica oggi mi sembra debole mentre la società civile invece è più concreta. Il politico è considerato di parte. Da esponente della società civile si dialoga meglio. Pensiamo alla Scala dei Turchi, al Premio paesaggio per la Valle dei Templi, alla candidatura di Agrigento a capitale della cultura…». Ambiente e paesaggio a braccetto. Che poi il Fai in Sicilia ha una specie di progetto pilota che fu avviato nel 1999, con il presidente della Regione Angelo Capodicasa, con la concessione per 25 anni al Fondo della Kolymbetra, il giardino della Valle dei Templi, sorto nella mitica piscina costruita, secondo Diodoro Siculo, da Terone nel 480 a.C. Era ormai un inestricabile roveto, oggi è una attrattiva sensazionale dentro il Parco archeologico.
L’autorevolezza del Fai ha fatto sì che la Kolimbetra diventasse un esempio di come società civile e istituzioni possono collaborare. E in una terra difficile come quella di Sicilia c’è anche il binomio ambiente e legalità che non è così scontato: «Il Fai ha promosso la Scala dei Turchi proponendola come “Luogo del cuore”, e nel 2008 riuscì a far ottenere i fondi per abbattere l’ecomostro. Fu lì che il proprietario capì che ormai non c’era più nulla da fare e decise di abbatterlo da sé. E allora il Fai riuscì ad abbattere l’altro ecomostro per creare il belvedere con l’iniziativa “liberare la bellezza”. E il Premio del Paesaggio per la Valle dei Templi è simbolo di legalità e di lotta all’abusivismo».
Abusivismo che, va detto, è un fenomeno pressoché scomparso nella Valle dei Templi: «Credo che il lavoro della società civile – ha detto Taibi – abbia fatto crescere la consapevolezza che la Valle sia un patrimonio da proteggere e tutti insieme abbiamo influito nel cambio di mentalità. Siamo in un mondo nuovo e non si possono perseguire idee vecchie. Serve recuperare anche i giovani che abbiamo fatto studiare all’estero o al Nord». Che è un tasto dolente per moltissime famiglie, e pure per quella di Giuseppe Taibi i cui due figli, Michelangelo e Daniele, hanno studiato e sono tutt’ora al Nord.
«Bisogna essere sì costruttori – ha detto ancora Taibi – ma in simbiosi con la natura. Ora ho una consapevolezza diversa che mi porta a mangiare meno carne, a prendere l’aereo solo se necessario, a usare la macchina il meno possibile e non privarmi delle mie passeggiate al mare. Durante la pandemia ho rivisto le mie priorità, cercando di cogliere il massimo anche vivendo con meno».