Non sarà un caso che Giuliana sia nata alle pendici del vulcano, perché come lei stessa si definisce è “un fuoco dell’Etna”. Non sarà un caso che sia pronipote del celebre tenore Giuseppe Di Stefano, perché lei come lui ha una voce che emoziona e chissà se, lei come lui, sarà destinata ad essere ricordata, nei secoli dei secoli.
Dalla personalità vivace, appassionata e determinata, Giuliana Di Stefano, cantante lirica siciliana, classe 1992, per la prima volta e senza filtri, racconta di sè e della sua musica. Il canto è un prolungamento di se stessa, fare musica, per lei, significa donare un pezzo di cuore al pubblico. Inizia a cantare e poi a parlare: «All’età di due anni mia mamma preoccupata del fatto che io non avessi iniziato ancora a parlare bene e fossi balbuziente mi portò da un dottore che le consigliò di farmi cantare. Nel giro di sei, otto mesi non soffrì più di balbuzie. Da allora ho sempre cantato», confida Giuliana.
Cantare è la sua stella polare di riferimento soprattutto nei momenti più bui, quelli che, prima o poi, affrontiamo tutti nella vita. Come il periodo delle scuole medie, in cui prende peso e si chiude in se stessa: «Desideravo essere invisibile», afferma con un sorriso di rivalsa e continua: «Un giorno, durante la ricreazione, rimasi da sola in aula e iniziai a cantare pensando che nessuno mi potesse ascoltare. Ad un tratto, entrarono in classe dei miei compagni che apprezzarono la mia voce, gli stessi che mi bullizzavano mi dissero che ero molto brava a cantare». Giuliana quando canta entra in un mondo a parte e tutto ciò che la circonda non ha più importanza, la musica è passione, sacrificio e salvezza. Nascere con una grande passione è un dono di Dio, sai già cosa ti renderà felice e tutti mirano al raggiungimento della felicità. Per essere felici, Giuliana sottolinea che ci vuole un grande coraggio. È un percorso, un viaggio interiore di conoscenza di noi stessi per diventare ciò che vogliamo essere. E Giuliana sa di voler calcare il palcoscenico sin da piccina, quando, con la naturalezza che contraddistingue ogni bambino, in prima elementare, è la protagonista di uno spettacolo scolastico tenuto per le classi di quinta elementari. Lì, in quella scuola, c’è una maestra che da subito nota il suo talento e la fa esibire. Sino ai suoi diciott’anni, fa spettacoli e studia canto da autodidatta. Dopo aver conseguito la maturità classica al liceo Mario Cutelli di Catania, la scelta di iscriversi in Conservatorio per studiare musica sinfonica e lirica è naturale.
Giuliana non appare confusa, a differenza dei suoi coetanei, sul suo futuro. Sa chi essere e chi voler essere. Si chiede da dove nasca questa sua autentica propensione per l’arte, figlia di papà medico e mamma casalinga e sorella di un magistrato che affettuosamente, lei stessa, definisce la sua antitesi. Così scava nei ricordi d’infanzia, in particolare, le torna in mente un video in cui a soli cinque anni e mezzo canta la “Donna è mobile” di Giuseppe Verdi. «In famiglia sono tutti stonati, delle campane», afferma sorridendo, eppure c’è un grandissimo artista che fa parte del suo albo genealogico, un tenore che non ha bisogno di presentazioni, che ha fatto la storia della lirica del dopoguerra, l’idolo e punto di riferimento di Luciano Pavarotti e partner artistico di Maria Callas: Giuseppe Di Stefano è prozio di Giuliana. Lei non dice mai di essere sua parente, solo se le viene richiesto. Parlare di lui significa rivelare la parte più intima di sé che custodisce gelosamente. «Sul mio pianoforte ho riposto una sua foto con Maria Callas, per me, lui è una grandissima fonte d’ispirazione. Nei momenti di sconforto mi rivolgo a lui e gli chiedo “Peppino, cosa devo fare”? Noi non ci siamo mai conosciuti ma sento un forte legame con lui. Lui era passionale, come lo sono io. Due fuochi dell’Etna». E continua: «Ciò che ci accomuna è che entrambi nel canto abbiamo trovato salvezza».
Accade infatti che nel 1941 Giuseppe Di Stefano viene chiamato alle armi e arruolato nel Battaglione Mortai del 37° Reggimento di Fanteria, l’anno dopo, il Regimento parte per la Russia, il suo Tenente lo sente cantare e prende la decisione di lasciarlo a casa, così gli salva la vita. L’indimenticabile tenore è presente nella vita di Giuliana, lo sente presente. In casa le capita di volgere lo sguardo verso una sua dedica e pensarci come grandissima fonte di motivazione e vocazione. Nel 2017 partecipa a Motta Sant’Anastasia al tributo “Ricordando Giuseppe Di Stefano, la lirica in concerto”, iniziativa che si è svolta nel parco intitolato al cantante lirico, a cui ha partecipato anche la figlia Floria. «Per me, esibirmi in quell’occasione è stato un onore e poi ho conosciuto mia zia Floria», racconta gioiosamente Giuliana. Solare proprio come la sua terra d’appartenenza e legata alla sua famiglia che l’ha sempre sostenuta nella scelta di voler dedicare la sua vita alla musica. I suoi genitori si sono fidati e affidati a lei, alla sua spiccata determinazione, al suo ricercato coraggio di mettercela tutta perché come lei stessa dichiara «l’ossessione batte il talento».
Lo studio mirato e giornaliero è il pane quotidiano di ogni artista e lo sono pure i sacrifici. Dal 2021 perfeziona la sua tecnica con Carmela Remigio e Teresa Mai, soprani ed eredi della migliore tradizione vocale italiana. Lavora al teatro Massimo Bellini di Catania dove fa musical per avvicinare la bellezza dell’arte ai bambini delle scuole. «Il teatro ti libera da questo mondo piatto d’emozioni e sensazioni. L’arte è imperfetta per questo è unica. L’imperfezione ci rende unici. Il teatro meraviglia e sa emozionare». Poi c’è il dietro le quinte, quello che nessuno vede, un miscuglio di terrore e d’eccitazione, che potrebbe paragonarsi ad un primo appuntamento. E quando il sipario di velluto rosso lentamente si apre, si va in scena dove si perde la concezione del tempo e dello spazio. Cantare è «un magico equilibrio di contrasti», il palcoscenico è un luogo in cui si deve essere veri e calati – alla perfezione – nel personaggio da interpretare, per emozionare gli spettatori. L’arte è una magia delle emozioni, quelle che Giuliana ancora prova ascoltando la Bohème di Puccini interpretata nel 1997 da Giuseppe Di Stefano e Maria Callas al Teatro La Scala di Milano «l’avrò ascoltata almeno trecento volte e ancora mi commuovo», confida Giuliana e conclude: «Non bisogna avere paura di essere chi si è e di ciò che si desidera, di quegli obiettivi che sembrano troppo e più grandi di noi. Per essere felici ci vuole coraggio e noi siamo nati, innanzitutto, per essere felici. Tutti i giorni io mi ripeto queste frasi, soprattutto nei momenti no che fortunatamente sono pochi. Quando canto sono io, il canto è un prolungamento di me».