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Gamberi australiani made in Sicily, le “aragoste blu” in cerca di chef

A Fiumefreddo l'unico allevamento in Italia di questa varietà di crostacei d'acqua dolce originari dei fiumi australiani. L'idea di Rosaria Salvo e del marito Alfio Girgenti 

Di Carmen Greco |

Un micro pezzo d’Australia fra i “giardini” della costa jonica etnea. Gamberi d’acqua dolce e alberi di mango, un’accoppiata insolita quanto giustificata dalla “verve” imprenditoriale di Rosaria Salvo che, assieme al marito Alfio Girgenti ha messo su il business dell’allevamento dei gamberi australiani. Disoccupata lei, vigile urbano lui, entrambi di Fiumefreddo adesso hanno sotto gli occhi un impianto di acquacoltura unico in Italia che produce 200 kg l’anno di questo crostaceo endemico dei fiumi di Australia e Nuova Zelanda, bellissimo da vedere – sembra una piccola aragosta blu – e, adesso, anche da mangiare. Vivono in due grandi vasche (32X5) e crescono in 16 altre vasche circolari dedicate all’ingrasso, dove nuotano gli “avannotti” provenienti da un capannone più piccolo, termocontrollato da un impianto fotovoltaico, in vasche dove si schiudono le uova.

«L’idea – racconta Girgenti – è nata dalla voglia di fare qualcosa di nuovo per il nostro territorio». Ma perché i gamberi australiani? «Nel territorio di Fiumefreddo, mio nonno prendeva i granchi di fiume, oggi praticamente estinti. Ricordando questa tradizione, abbiamo pensato all’equazione: Fiumefreddo sta all’acqua, come l’acqua sta al benessere degli animali, in questo caso animali acquatici. E così ci siamo messi a studiare sui libri e su internet quale business si potesse realizzare con l’acqua. Da lì abbiamo scoperto che in Australia esistevano questi crostacei, che si potevano allevare con una certa facilità e che avevano carni gustose paragonabili all’aragosta, anche se allevati in acqua dolce». Due le specie che si riproducono nell’impianto di acquacoltura di Fiumefreddo il Cherax quadricarenatus, e il Cherax destructor. A dispetto (soprattutto di quest’ultimo) del nome, «sono delle specie non invasive – sottolinea Girgenti – a fronte di quelle vietate dai regolamenti Ue (vedi il cosiddetto “gambero killer” della Louisiana i cui tentativi d’allevamento in Toscana sono falliti per il suo impatto distruttivo sugli altri animali e sulla biodiversità ndr). Questi gamberi, invece, si possono allevare tranquillamente in sistemi “chiusi” come il nostro».

Parte del progetto di questo impianto d’acquacoltura, a impatto ambientale praticamente zero, è stato finanziato nel 2019 dal Dipartimento pesca della Regione Siciliana con la misura 2.47 “Innovazione in Acquacoltura” del Feamp (Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca), ma l’azienda era già nata come impresa agricola nel 2006 e solo nel 2010 ha iniziato ad occuparsi anche di sviluppo e ricerca nell’allevamento di gamberi d’acqua dolce inserendosi fra i progetti pilota del Dipartimento.  I fondi hanno permesso il potenziamento della struttura come l’installazione di un impianto fotovoltaico per il riscaldamento delle acque nella zona “nursery” e il completamento della vasca di fitodepurazione dove tutte le acque del ciclo produttivo sono “ripulite” prima di essere utilizzate per irrigare le piante del frutteto prevalentemente costituito da alberi di mango che crescono rigogliosi dietro i capannoni. Un processo di economia circolare che rende l’azienda sostenibile dal punto di vista ambientale e strizza l’occhio anche alla sostenibilità economica, primo requisito per assicurare un futuro a un’impresa. 

«Questo impianto – spiega Tiziana Fiscella, agronoma, esperta di fitodepurazione e presidente del Consorzio Acquacoltura Sicilia – è stato un vero prototipo sperimentale non solo per l’allevamento dei gamberi australiani ma anche dal punto di vista delle norme burocratiche. Adesso l’iter per autorizzare il consumo alimentare di questa specie sta per concludersi. Il gambero australiano ha qualità organolettiche importanti, sembra un gamberone a tutti gli effetti, le sue carni sono sapide, ricche di Omega 3 e si prestano alla cottura perché rimangono compatte, senza sfaldarsi». 

L’obiettivo dichiarato della titolare dell’allevamento – una volta ottenuto l’ok dall’assessorato regionale alla Salute dove si trova la pratica per il consumo alimentare umano – è proporre questi crostacei a consumatori e ristoratori vincendo il naturale scetticismo rispetto a un prodotto nuovo che sul mercato dovrebbe arrivare a costare intorno ai 40 euro al kg. «Noi speriamo sempre di andare avanti per il meglio – afferma Rosaria Salvo – e di poter iniziare a venderli innanzitutto sul nostro territorio. Io sono dell’avviso che la Sicilia i prodotti eccellenti ce li ha e che il primo mercato debba essere quello locale, è giusto che questo gambero venga conosciuto, consumato e valorizzato. Speriamo che i nostri politici si facciano carico delle piccole aziende come la nostra in un momento che si preannuncia difficile». L’interesse delle Istituzioni per questo genere di attività è nato, infatti, dal depauperamento progressivo delle risorse ittiche. L’Europa si è resa conto che la spia rossa dell’allarme si è accesa definitivamente ed è corsa ai ripari mettendo a disposizione i fondi Feamp, sia per preservare gli ecosistema marini che per favorire consumi alternativi di “pesci” a supporto della riproduzione naturale delle specie.

In realtà la Regione ci aveva già provato nel 2005-2006 a realizzare un impianto sperimentale per la produzione di questi crostacei nell’Agrigentino, ma il progetto non era andato in porto anche perché mancavano tutta una serie di informazioni e di conoscenze (le loro attitudini, l’impatto ambientale, i costi della produzione etc) poi colmate dai ricercatori del Dipartimento di Scienze e tecnologie biologiche, chimiche e farmaceutiche dell’Università di Palermo.  Adesso che di questi gamberi d’acqua dolce si sa tutto (per esempio che devono vivere ad una temperatura dell’acqua costante di 24°, cosa che in Australia è garantita dal clima), è arrivato il momento di portarli in tavola. Rosaria e Alfio lanciano l’appello agli chef che volessero cimentarci nell’opera di assaggio, cucina e divulgazione del prodotto, ovviamente una volta ottenuti tutti i “bollini” di legge per il consumo. «Noi siamo sicuri di ciò che abbiamo e che questi gamberi conquisteranno il palato dei consumatori – dicono – chiediamo solo che le istituzioni siano celeri per l’approvazione dell’iter, ovviamente nel rispetto delle normative».

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