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Gaetano Savatteri, alias “Mister Màkari”, e il suo legame con la Sicilia: «Nel bene e nel male siamo l’Italia al cubo»

Siciliano di Racalmuto, il giornalista e giallista affermato da tempo vive a Milano concede a "La Sicilia" una serie di considerazioni sull'isola che, seppur a distanza, continua ad amare

Di Gerardo Marrone |

“Mister Màkari”, il giornalista-scrittore Gaetano Savatteri, ha un alter ego letterario, lo scrittore-giornalista Saverio La Manna. C’è, però, anche un “altro da sé”: il bertoldo Peppe Piccionello, scarpe grosse – in effetti, preferisce le infradito… – e cervello fino. “Sicilia secondo me”, chissà lui cosa direbbe. Il suo papà di penna si dice sicuro di conoscere la risposta: «Peppe Piccionello crede che la Sicilia sia l’unico posto dove si può nascere e vivere – afferma Savatteri -. È un siciliano naturaliter che accetta la Sicilia così com’è, senza rassegnazione né indignazione. La accetta perché non concepisce che si possa essere altro, se non siciliani. Saverio La Manna invece è un siciliano di ritorno, uno che è stato fuori e ora che si ritrova nell’Isola ne osserva con ironia e sarcasmo i vizi e i difetti. E con un certo tormento».

Claudio Gioè e Domenico Centamore protagonisti di Màkari

Sicilia, dunque, secondo Gaetano Savatteri.«Sono un siciliano della diaspora, e da lontano la Sicilia mi duole meno. Trovo così spazio anche per il ricordo e per la nostalgia. Ma capisco che è molto facile amare la Sicilia a distanza di sicurezza».

Mai come in questo suo ultimo romanzo, tutto gira attorno a una lunga e appassionata analisi della nostra “insularità”. Il giallo, dunque, è solo un pretesto per riflettere su uomini e cose senza stressare troppo il lettore?«L’insularità, la sicilitudine, sono termini che troppo spesso usiamo per giustificare l’ingiustificabile della Sicilia. Sono alibi. In verità, come ha detto lo scrittore Giuseppe Antonio Borgese, la Sicilia “non è” abbastanza isola. Questo forse è il suo problema: vicina al resto del mondo, eppure non abbastanza vicina né abbastanza lontana. La Sicilia forse è come un’Italia amplificata, nel bene e nel male: un’Italia al cubo».

Immancabile, la mafia. Una maledizione. Non riusciamo proprio a scrollarcela di dosso!?«Molto è stato fatto, proprio in Sicilia. Non dimentichiamo che se la Sicilia è stata la capitale della mafia, è stata pure la capitale dell’antimafia. Non è necessario citare Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tante altre persone, uomini e donne, che hanno pagato un prezzo altissimo per rivendicare libertà e dignità. In seguito, ci sono stati anche gli abusi e gli inganni dell’antimafia. C’è da chiedersi perché ci siano ancora oggi persone affascinate dalla mafia, desiderose di ricostituire la Cupola di Cosa Nostra, disposte ad aiutare e sostenere boss come Matteo Messina Denaro. Il mito della mafia esercita ancora il suo fascino. L’azienda ormai è in crisi, ma il suo marketing continua a funzionare».

Per fortuna che c’è molto altro da scoprire e raccontare. In Tv, ad esempio. Da “Montalbano” a “Makari”, passando per “Vanina” e “I fratelli Corsaro”, quanto giovano le fiction all’industria delle vacanze?«Giovano, perché attraggono persone e turisti. Ma io non scrivo libri per fare turismo, altrimenti avrei aperto un albergo. Piuttosto, il problema come autori è di essere accusati di pubblicità ingannevole. In un libro, in una fiction, il protagonista parte da Màkari e con un taglio di scena e una dissolvenza ricompare a Ragusa. Il turista viene in Sicilia, ma qui scopre che da Màkari a Ragusa ci vogliono oltre quattro ore di tempo, per strade vecchie e malmesse. Quando li incontro, dicono: lei ci ha ingannati. Io posso far andare i miei personaggi da un posto all’altro, con un tratto di penna, non posso costruire strade, ponti e ferrovie. Ma mi sento responsabile».

Strade e ferrovie di Trinacria, oltre a cumuli di immondizia e rubinetti a secco. Anche questo “fa Sicilia”?«Appunto, se nei libri questi difetti si trovano, nella fiction ovviamente spariscono: registi e location manager mostrano la Sicilia fotogenica, quella che ciascuno di noi immagina o quella che ama. Quella dei film “fa Sicilia”, l’altra “è Sicilia”. Ma, come scriveva Pirandello, se un pipistrello entra in un teatro e svolazza sul palco durante una rappresentazione, gli attori non possono far finta di niente: la realtà è entrata nella finzione. Nella fiction, che è finzione, non possono esserci pipistrelli, immondizia o rubinetti a secco. Non è una falsità, è solo finzione. La Sicilia della finzione, però, è quella che tutti sogniamo».

Racalmuto, il paese dei suoi genitori. La tappa più appassionata e sofferta della sua “Magna Via”, tra Palermo e Agrigento, è dedicata alla terra natale di Leonardo Sciascia. C’è qualcosa della nostra regione che il “maestro di Regalpetra” scriverebbe oggi e che non ha già scritto?«Sciascia ha scritto le pagine più acute e profonde sulla Sicilia. Vorrei chiedergli, a cent’anni dalla sua nascita, se mantiene il suo pessimismo scettico. E vorrei chiedergli se farebbe scrivere ancora quella frase che ha voluto sulla sua tomba: ce ne ricorderemo, di questo pianeta».

Cito dal suo libro: “Della Sicilia non sarei mai riuscito a liberarmi, neanche fuggendo via”. Vale anche per le tante ragazze e i tanti ragazzi di ieri e di oggi costretti a emigrare, a cercare fortuna lontano da qui?«Non so, bisognerebbe chiedere a loro, capire con quale spirito vanno via, se si portano dietro un senso di sconfitta o di liberazione. Naturalmente le cose cambiano da persona a persona, a seconda dell’età, dei sogni e dei bisogni. Non so se nel trolley che si trascinano sui voli low-cost, mettono dentro anche la cassetta degli attrezzi che molti siciliani si portano appresso: risentimento, rabbia, amarezza, nostalgia».

Quindi?«Non so se si sentono siciliani ogni giorno in cui si svegliano sotto il cielo di Crescenzago o di Lione o invece preferiscono dimenticarlo per poter vivere con più leggerezza, ritrovando la Sicilia quando pronunciano una parola in dialetto, vedono un video su Instagram o assaggiano un cannolo che non è mai abbastanza buono, ma comunque ha sapore di casa e di cose perdute. Forse non si smette mai del tutto di essere siciliani: sia partendo, sia restando».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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