«Ero contento, ma non felice. Ho messo la laurea in Giurisprudenza nel cassetto, mollato il lavoro e mi sono tuffato nel mio sogno, la mia passione-ossessione: i dolci». E’ nato così “Cesare Gialdi – Delices à emporter”, un angolo di Francia a Catania che offre delizie artigianali, dal croissant perfetto ai dolcetti che giocano con colori e sapori, talmente belli da sembrare finti. Gioie per gli occhi e per il palato di gusto francese e anima siciliana. Un mix che ha conquistato il Gambero Rosso: la nuova Guida Pasticceri & pasticcerie, oltre a confermare le Due Torte, ha appena premiato Gialdi per le migliori torte salate in Italia.
Catanese, 50 anni, il pasticcere per passione crea dolci esteticamente belli – non a caso ha per mito Cédric Grolet (il migliore del mondo nel 2018) – e sfoggia un catalogo godurioso di classici d’Oltralpe: chouquette, charlotte, tarte tatin e il pain au chocolat tanto celebrato nella serie “Emily in Paris”
Un piccolo spazio in via Martino Cilestri, con qualche tavolino all’aperto, nato il 1° dicembre del 2021, cresciuto con il passaparola, ora lanciato dal Gambero rosso. «Siamo stati travolti, tanti catanesi ci hanno scoperto con questo premio – racconta entusiasta Cesare Gialdi – Non eravamo pronti, siamo una piccola realtà, una “boutique”. Quando hanno chiamato per dirci che avevamo vinto quasi non ci credevo, siamo stati davvero felici. C’è tanto lavoro alle spalle. E’ un premio per tutta la squadra».
Da chi è composta?
«Due collaboratrici e due persone al banco, tra i 24 e i 26 anni: Federica, con me dall’inizio, Martina, Francesca e Valentina. Solo donne? Hanno una mano diversa, sono bravissime, molto precise e multitasking».
Com’è nata questa passione diventata scelta di vita?
«Non sono un ragazzo di bottega né un figlio d’arte. Facevo tutt’altro, ma ogni domenica mi intristivo a pensare di dover tornare nello studio d’avvocato. Per tanti anni ho fatto il direttore commerciale di un’azienda di prodotti parafarmaceutici per ospedali. Nel tempo libero “giocavo” in cucina, studiavo, leggevo libri, finché dodici anni fa ho fatto un corso base professionale nella scuola Myda di Catania. Da lì è scoppiato l’amore».
Cos’è successo?
«La mia maestra è stata Rita Busalacchi, palermitana, pastry chef sul lago d’Iseo, tra i più grandi pasticceri italiani. Lei mi ha aperto un mondo, mi ha dato le basi, la tecnica. Con una inclinazione francese, grazie alle sue esperienze a Parigi con i più grandi. La ringrazierò tutta la vita. Ho fatto tanti altri corsi, sempre in Italia, e ho lavorato con un catering».
Perché ha scelto proprio i dolci francesi?
«Sono belli, semplici ma raffinati, c’è una cura dei dettagli maniacale. Pochi elementi per ottenere il massimo del gusto. Sono stato in vacanza in Normandia e in Bretagna girando tutte le boulangerie e le patisserie possibili. Ho pensato che fosse possibile riprodurle qui. Un modo anche di distinguermi. E poi, la formazione con la Busalacchi. Non è un caso che molte basi della pasticceria siano francesi. Non ero sicuro che questa scelta incontrasse il gusto dei catanesi, ho rischiato».
Il trionfo di panna e burro.
«Cerco un equilibrio tra dolcezza, acidità e salinità. Un pizzico di sale che deve “picchiare” in testa e far impazzire le papille gustative. Il dolce deve essere un’emozione».
Cosa le piace di più?
«Adoro la prima colazione e oggi non sempre è di qualità. Per me è un mondo magico. Quando inforno i croissant e cominciano a gonfiare rimango ammaliato come il primo giorno. Li sento vivi».
Come ha trovato i soldi per aprire un locale?
«Grazie ai fondi di Resto al Sud. Il covid mi ha dato il tempo per riflettere e mettere su carta un progetto. Ero al limite con i requisiti, era l’ultimo treno. Mi sono detto: ora o mai più».
Chi l’ha incoraggiata e chi ha pensato fosse una pazzia?
«Grazie all’infinito a mia moglie e a mia figlia, i miei punti di forza che vivono con me alti e bassi, lavoro e rischi. Mia moglie è quella che più mi ha sostenuto. Perché se riesci a fare il lavoro che ami, sei felice. La vita è una sola».
Sogna in grande, ma preferisce restare piccolo.
«Punto sulla qualità, siamo piccoli e facciamo tutto noi, solo con burro e panna francesi. Non mi interessa crescere a livello industriale, non abbiamo sempre tutti i prodotti e non prepariamo mai grandi quantità. Oggi si è un po’ persa l’artigianalità, si usano molto i semilavorati e il gusto si è appiattito. I prodotti si somigliano».
C’è un segreto?
«Il cibo deve essere bello, perché si mangia prima con gli occhi. Utilizzo frutta fresca ed erbe aromatiche di stagione soprattutto siciliane, dal mango al basilico. Ho fatto la scelta di campo della freschezza, tutto viene realizzato giornalmente, facciamo due-tre infornate. La clientela è trasversale, studenti, persone che lavorano in zona, studi professionali. Il mio premio è un signore che ogni sabato prende un croissant e mangia anche le briciole».
E’ stato premiato per le torte salate.
«Il dolce è una coccola, la pausa pranzo spesso un “mordi e fuggi”. Penso invece che abbiamo bisogno di tempo, di gustare con calma quello che mangiamo. Il piatto mi deve gratificare, devo dire “mamma che bello!”. Fare l’effetto “uau”. Ho cercato di valorizzare le proposte all’ennesima potenza. Siamo partiti dai croissant salati, poi le quiche con i prodotti del territorio, come quella con le verdure o con la carota novella di Ispica, gruyere, nocciole e porri, e la “pizzetta crunch”, con la pasta del croissant in doppia cottura. Mi piace inventare, ci sono due-tre novità pronte».
Il futuro?
«Avere una sala più grande per coccolare i clienti e poter offrire qualche servizio in più. Per ora è solo un’idea».
Perché chiude proprio la domenica?
«La passione va bene, ma anche la famiglia è importante. Ho una bimba di 4 anni, voglio vederla crescere. Quando la squadra sarà ben affiatata e ci sarà la possibilità di alternarsi, ci penserò».
Cosa suggerisce a chi è all’inizio?
«Di provare, di reinventarsi, con rigore e con studio. Noi siciliani abbiamo gusto, tradizione e tanta fantasia. Lo ripeto, la vita è una sola. Bisogna assecondare le proprie passioni».