Enrico Guarneri, da geometra a “maschera” del palcoscenico: «Una riunione di famiglia per decidere di cambiare vita»

Di Gino Morabito / 20 Maggio 2024

Una riunione di famiglia per decidere se fare quel passo, il loro appoggio e la decisione di lasciare il lavoro. Dopo quattro anni ha già guadagnato quanto in venti da geometra. Consacrato alla benevolenza del pubblico con il personaggio “Litterio”, la carriera artistica di Enrico Guarneri lo vede interprete di importanti pièces d’autore. Dal teatro al cinema passando per il piccolo schermo, la scelta fatta si è rivelata vincente: il suo posto è in scena.

In un crescendo di entusiasmo e apprezzamenti, l’attore siciliano ha da poco concluso la stagione di prosa “Turi Ferro” 2023-2024 all’“Abc” di Catania, rivestendo i panni de “Il bugiardo” di Carlo Goldoni, in un adattamento diretto da Giampaolo Romania.

Ispirato a una delle opere più famose del commediografo veneziano, offre una satira della presunzione di una società, troppo spesso nascosta dietro le apparenze. Trova che ci siano dei punti di contatto con la nostra?

«Quando si porta in scena un’opera scritta da un grande autore, andando in introspezione dell’animo umano o vivisezionando un difetto, un vizio, e la penna è felice, come in questo caso quella di Goldoni, il testo rimane sempre attuale, sia sotto il profilo del singolo, sia per quanto concerne l’aspetto sociale, della collettività».

In una modernità dove le informazioni possono essere facilmente manipolate o distorte, il vero diventa una bizzarra alternativa al reale?

«Purtroppo è così. Sempre più spesso l’informazione smette di essere obiettiva per diventare propaganda. Ed è pericolosissimo. Perché se il cittadino, l’“omu sociali” come lo chiama Martoglio, arrivasse a convincersi che è tutto manipolato, si aprirebbe uno scenario agghiacciante dove verrebbero rimesse in discussione, di netto, tutte quelle verità storiche così come le abbiamo conosciute».

Mentire, per il gusto di farlo una tantum o in modo quasi compulsivo. Per quanto si possa essere onesti, la verità è sempre quella che non si dice?

«Ho settant’anni e se una cosa ho capito è che conviene comunque operare in maniera retta. Solo così non saremo costretti a mentire per coprire le magagne oppure a dover ammettere una verità troppo dolorosa o vergognosa».

Una lezione morale sulla sincerità che ha fatto propria decidendo di confessare alla famiglia il suo fortissimo desiderio di recitare. Non le è stata mossa alcuna obiezione?

«Sicuramente sarebbe accaduto e sarebbe stato anche logico che mi muovessero delle obiezioni, se la mia scelta fosse risultata avventata. In realtà era già esploso il fenomeno “Litterio” e se ne cominciavano a vedere i frutti: gli impegni, il lavoro e anche le entrate. Si trattava sempre di qualcosa di incerto, ma non era un salto nel buio».

Un’indecisione durata quasi venticinque anni, poi finalmente la scintilla.

«Comincio a fare il geometra nel ‘73, appena finito il militare, e “Litterio” nasce nel ‘97. Per oltre vent’anni, tecnico di giorno e le prove di teatro la sera, la notte e nei weekend. In quel periodo, da più parti, registi, produttori e lo stesso pubblico che veniva a vedermi in scena, si complimentavano esortandomi ad insistere su quella strada. Ed io ho insistito».

Quella storica apparizione ad “Insieme” su Antenna Sicilia è datata 28 novembre 1998. Da allora con Salvo La Rosa è un matrimonio di fatto.

«Salvo mi chiese se volessi portare quel personaggio in tivù. Mi aveva visto al “Polifemo d’Argento” a Zafferana Etnea, una serata che lui stesso presentava e dove fui premiato come “Personaggio emergente”. Cercava un comico che fosse fisso, un giorno a settimana, nella sua trasmissione “Insieme” e scelse “Litterio”. Ai tempi non ero avvezzo agli studi e ai meccanismi televisivi e inizialmente ebbi qualche difficoltà. Ma, una volta riuscito a farmi capire e conoscere dal pubblico, tutto è stato più facile. Il resto, per mia fortuna, è diventata storia dello spettacolo».

Crede che, in qualche modo, sia rimasto ingabbiato dentro quella maschera?

«“Litterio” è una maschera che è servita molto a Guarneri attore, un formidabile trampolino di lancio, una cassa di risonanza importante. Continuare a portarlo in sena, però, mi farebbe correre il rischio di diventare ridicolo».

Un po’ “Giufà”, un po’ “Pappagone”. Un personaggio privo di qualsiasi malizia e furberia, credulone, vittima di stravaganti disavventure. La risata è ancora l’emozione più desiderata?

«Decisamente sì, e diventa sempre più difficile far ridere. Si può andare su un tipo di comicità cerebrale o sulla purezza della battuta, ma il pubblico vuole essere emozionato. Spavento, sconcerto, sbigottimento, tenerezza, innamoramento, divertimento… la vita è fatta di emozioni».

Poi di cos’altro è fatta la sua?

«Libertà e disincanto. Da sempre. Evitare, cioè, di rimanere coinvolti nel turbinio dal quale la società del consumismo vorrebbe farci inghiottire. E lì, come dice Capuana, “si corica il sceccu”».

Qual è la certezza in cui crede?

«I grandi della letteratura l’hanno chiamata fantasia, estro. Per altri è l’anima che fa di un uomo non solo carne».

Talento sensibile e generoso che riesce a trasmettere il pathos dell’arte, Enrico Guarneri è un fine dicitore innamorato dell’italiano con inflessioni di slang nostrano.

«Se analizziamo attentamente il concetto di dizione, ci rendiamo conto che si tratta di un grande falso. Ferdinando I di Borbone, re delle Due Sicilie, parlava di certo l’italiano con un’inflessione napoletana e, allargando il ragionamento, lo potremmo applicare alle opere di Shakespeare o di Moliere. Ritengo che le verità assolute passino per il dialetto o qualcosa che si avvicini a quel tipo di coloritura».

Campano, emiliano, piemontese, ce ne accorgiamo subito. Ed è più bello, ed è più giusto. Ma qui da noi c’è una luce diversa.

«Quando mi trovo fuori, la prima cosa che mi manca della mia terra è proprio la sua luce. Poi l’Etna, il mare, il parlottare per le strade…».

Sui siciliani c’è tutto un retaggio culturale fatto di preconcetti e luoghi comuni da sfatare.

«La nostra terra non può e non deve essere sempre citata per ammazzatine, mafia, delinquenza, concussione, connivenza. Basta con questo ritratto perennemente uguale della Sicilia! Noi siamo anche molto altro. Spero di avere ancora la possibilità di interpretare un testo che gratifichi la Sicilia e le renda il merito che, per bellezze paesaggistiche e monumentali e per l’umanità della sua gente, le spetta di diritto. Sogno di esportare la nostra sicilianità nel mondo».

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Pubblicato da:
Alfredo Zermo