Catania – Ha organizzato – supportata da dirigenti, colleghi e personale tecnico-amministrativo – lezioni, esami di profitto, di laurea e di specializzazione online nella facoltà di Medicina dell’ateneo di Catania. In altre parole, è stata in prima linea in questi tempi di coronavirus nel convertire telematicamente l’università. Daniela Puzzo, 46enne catanese – «ma originaria di San Cono», ci tiene a precisare – è professore associato di Fisiologia all’università di Catania, vicepresidente del corso di laurea di Medicina e presidente di quello di Terapia occupazionale.
«Il nostro ateneo – spiega – ha organizzato la didattica online per tutti i corsi di studio: vista la grandezza e l’organizzazione interna del corso di laurea in Medicina e chirurgia, abbiamo lavorato diversamente anche per consentire ai nostri docenti, la maggior parte dei quali coinvolti nell’emergenza sanitaria, di tenere lezioni ed esami con modalità compatibili con l’emergenza Covid-19. Sono stata quindi incaricata di questa organizzazione, ovviamente non da sola: c’è stato uno sforzo enorme dell’ateneo e l’appoggio incondizionato di dirigenti, colleghi e personale tecnico-amministrativo». L’urgenza nell’immediato era consentire a 91 studenti di laurearsi subito e agli specializzandi di terminare gli studi in modo da poterli immettere nel Ssn: «Così, assieme a uno staff formato da me, dal presidente di corso di laurea prof. Palmeri, da 7 colleghi che si sono offerti di comporre una “commissione stabile”, siamo riusciti in questa impresa, difficile sia dal punto di vista organizzativo sia nello sfatare i timori dei ragazzi. E devo dire che il risultato è stato ottimale». Accanto alle sedute di laurea, c’è poi la didattica convertita all’online, «anche per dare un segnale sociale positivo. E i feedback dei ragazzi sono ottimi». Ciò non vuol dire, per la professoressa Puzzo, che questa sia una metodologia didattica consigliabile sempre: «È vero che gli studenti con la didattica a distanza si stanno trovando bene perché registriamo le lezioni e le possono riascoltare, però credo che questa tipologia non possa sostituire il contatto della didattica in aula. La lezione dal vivo è una cosa diversa, soprattutto in alcune materie, perché ci sono insegnamenti dove sono previsti progetti, lavori di gruppo e a volte è necessaria la presenza fisica nei laboratori. Continueremo quindi così fino a quando ci sarà l’emergenza». Nell’aula virtuale, in contatto con la docente, ci sono gli studenti dei quali la professoressa visualizza i nominativi: «Posso anche fare l’appello nominale, discutiamo, loro possono interagire facendo domande, interrompendo se qualcosa non è chiaro. Si possono fare attività scritte e condividere progetti. È un sistema molto interattivo con un feedback continuo, ma manca il contatto fisico».
Eppure, persino un’emergenza come questa ha messo in moto dei cambiamenti che, per la professoressa Puzzo, sono positivi, come l’abolizione dell’esame di Stato per l’abilitazione: «Era già uscito un decreto, il 58/2018, che consentiva di effettuare prima della laurea il tirocinio post laurea, che è la cosa più importante dell’abilitazione. E l’ateneo di Catania si era già adeguato. L’esame dal mio punto di vista era uno spreco di risorse e un motivo di ritardo nell’abilitazione». Resta però il nodo del mancato aumento delle borse di studio delle specializzazioni: «E il vero imbuto – concorda la professoressa Puzzo – è proprio lì. Siamo in attesa che qualcosa cambi. Si parla sempre del numero chiuso in Medicina: io non sono molto propensa a un allargamento in questo senso, perché se vogliamo formare dei bravi medici, dobbiamo avere le strutture per farlo e dobbiamo potere seguire gli studenti». Fermo restando che «la formazione in Italia è una delle migliori al mondo». Anche se molto teorica a poco pratica: «Sono stata all’estero diversi anni e posso dire che la teoria e la forma mentis acquisite nel corso dei miei studi mi hanno aiutata moltissimo. La tecnica la impari in 6 mesi, ma la formazione che noi diamo è vincente, perché il background culturale dei 6 anni di studio universitario italiano non si può acquisire dopo. Io sono molto contenta di avere studiato in Italia. È giusto, secondo me, non puntare sul tecnicismo, perché dobbiamo preparare dei medici capaci di risolvere i quesiti diagnostici e terapeutici. E, per farlo, devono avere una grande preparazione teorica. Poi imparano praticamente come si fa, cosa che peraltro fanno coi tirocini».
La professoressa Puzzo parla dall’alto della propria esperienza professionale, anche all’estero: «Mi sono laureata a Catania in Medicina, poi ho fatto un dottorato di ricerca in Scienze biomediche applicate alla ricerca e quindi mi sono specializzata in Biochimica clinica sempre a Catania. Ma ho seguito buona parte della specializzazione a New York, dapprima alla New York University e poi alla Columbia, lavorando sempre con lo stesso gruppo di ricerca sulla demenza e l’Alzheimer. Sono rimasta lì per circa 6 anni per portare a termine i progetti. Sono infine rientrata a Catania nel 2008-2009, continuando sulla stessa linea di ricerca: ho fatto il concorso all’università, sono diventata ricercatore di Fisiologia e poi professore associato. Oltre alla didattica, oggi continuo a fare ricerca nell’ambito dell’Alzheimer nel laboratorio che ho messo su». Galeotta, nel ritorno, fu la nostalgia di casa: «Sono molto legata alla mia famiglia perché ritengo che la parte affettiva sia una componente molto importante della nostra vita. Per me era una grande sofferenza stare così lontana. Ma quando sono rientrata ho anche capito che bisogna fare qualcosa per questa terra, non possiamo solo andarcene. Quindi ho faticato tanto, perché mettere su un laboratorio in America è un po’ diverso dal farlo in Italia, però con tanto impegno mio e dei miei collaboratori ci siamo riusciti: a qual punto la soddisfazione è doppia, perché si è raggiunto l’obiettivo nonostante le avversità». E, anche se all’inizio è stato difficile, «sono contenta di essere tornata, di essere qui, di cercare di fare del mio meglio per chi è in Sicilia. Anche perché, se è vero che negli Usa è più facile reperire fondi e finanziamenti, di contro in Italia nella ricerca c’è più libertà di espressione, non siamo costantemente inseguiti dalla necessità di produrre, non siamo numeri che producono e devono produrre comunque. Inoltre, proprio perché qui siamo in una condizione di maggiore difficoltà, abbiamo sviluppato una grande inventiva e una capacità di trovare strategie. Riusciamo così alla fine a fare lo stesso un buon lavoro».
Ai giovani la professoressa Puzzo consiglia «di essere volitivi, determinati, di perseguire sempre i loro obiettivi e di non arrendersi, di coltivare sempre la speranza, perché ritengo che con la determinazione si possa sempre avere successo. Il che non vuol dire per forza vincere, ma anche solo partecipare con tutti sé stessi. Insistere e non arrendersi, insomma, mentre oggi a volte vedo che i ragazzi tendono un po’ a farsi fermare dagli ostacoli. Invece bisogna andare avanti e soprattutto essere soddisfatti della propria vita, facendo le cose in cui si crede e tenendo sempre presente sé stesso ma anche gli altri. E soprattutto i miei studenti, che devono diventare medici, devono sempre tenere presente l’altro. Un giovane medico dovrebbe infatti ricordarsi che questo lavoro è una vocazione, da fare perché ci si crede e perché si vuole aiutare gli altri. E quello che sta succedendo in questi giorni ce lo dimostra».
Infine, una parola di speranza: ce la faremo a superare questo momento difficile perché… «Perché siamo forti, determinati, abbiamo in noi la speranza e perché nulla dura per sempre e quindi anche questo passerà. Ho visto tanta solidarietà in questi giorni e paradossalmente tutto questo dramma ci potrà aiutare a imparare tante cose su noi stessi e sugli altri».