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Elisa Anfuso, spirito etneo dal carattere fiammingo

Di Grazia Calanna |

La premiazione si terrà al Palazzo Municipale di Zafferana Etnea, domani alle 19. Con la supervisione del direttore artistico, Paolo Giansiracusa (direttore Accademia di Belle Arti di Siracusa), la giuria, presieduta dall’assessora Graziella Torrisi, formata da Giuseppe Cristaudo, Mario Pafumi, Debora Vasta, Manuela Privitera, Carmela Garro, Rocco Froiio e Stefano Puglisi, assegnerà la menzione d’onore. «Siamo felici quest’anno di gratificare un’eccellente artista siciliana di fama internazionale – dichiara la Torrisi – . Assegneremo poi tre riconoscimenti: “Carriera” al Maestro Corrado Iozia (pitto-scultore, presidente dell’as. “Giuseppe Sciuti”); “Giovani” all’artista Francesco Caristia, abile allievo dell’Accademia di Belle Arti di Catania; e “Memoria”, al pittore Mario Scalia». Lo stile narrante che coniuga per traslati la poetica del reale agli insegnamenti della favola, distingue le opere della Anfuso. «Ogni tela è un frammento della mia biografia, tutte insieme sono uno straordinario album di ricordi. Attraverso di esse ho il coraggio di guardare dentro il mio buco nero senza farmene risucchiare, le mie tele sono catini che talvolta diventano scudi», dichiara.

Come si dipana il suo iter creativo?

«Accade sempre come un’urgenza, un fatto inevitabile. Delle volte l’opera se ne sta già lì, sotto ad un pensiero… vedo i toni che avrà la tavolozza, i dettagli dell’incarnato, il senso farsi strada tra le linee del disegno; altre volte devo scendere proprio giù, e scavare, scavare. Alcune opere sono come fiumi sotterranei, ti obbligano a seguirli nel loro percorso spesso tortuoso, prima di trovare il punto giusto in cui vengono alla luce con tutta la loro forza. Faccio molti scatti in studio, la fotografia è una fedele compagna nell’inseguire la visione, mi permette di fissarla, ribaltarla persino, di lasciare che per prima si manifesti a me. Ad ogni dettaglio che aggiungo scavo più a fondo e si svelano significati sino ad allora nascosti. La tela bianca infine accoglie le mie visioni come una madre, il colore, velatura su velatura, diventa una sottilissima seconda pelle, come sangue scorre sotto il fiume dei significati».

Quali sono (o sono stati) i suoi modelli e i suoi colori di riferimento?

«Tutta la corrente simbolista mi ha sempre affascinata. È la forza arcaica del simbolo che ha il potere straordinario di congiungere e continuamente rimandare ad un altrove e, incurante delle contraddizioni, giocare sull’ambivalenza. Ma si sono espressi per simboli anche artisti cronologicamente lontani dal simbolismo storicizzato, da Piero della Francesca a Frida Kahlo. E poi i bianchi vibranti di Wistler, il silenzio buio delle scene di Bocklin, i tratti malinconici delle donne preraffaellite, la deliziosa cura per i dettagli tanto cara ai fiamminghi».

Com’è nata la sua passione per l’arte, cosa ha significato e cosa significa?

«Ho questa immagine di me, una delle prime impresse nella mia memoria, di questa bimba dalle manine paffute coi pastelli in mano e il foglio bianco davanti che, alla domanda di rito “cosa vuoi fare da grande?” rispondeva con fierezza: “disegnare!”».

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