Daniela Russo, la farmacista siciliana con la passione per la nautica, i viaggi e il flamenco

Di Grazia Calanna / 14 Novembre 2024

Daniela Russo, cinquantenne catanese, è un’autentica “personaggia”. Personalità policroma e incuriosente, esemplare per audacia, passione e irrefrenabilità. È titolare farmacista, apprezzata e affascinante ballerina di flamenco, innamorata del mare, ha preso il patentino nautico per “veleggiare” in libertà. Ama moltissimo viaggiare, e in ogni luogo del mondo riscopre (ricercandole) radici della sua (nostra) amata terra.

Parlaci di te, come ti descriveresti in tre parole (e dicci pure perché questa scelta per ogni parola/aggettivo che ti dai)?

«Follemente autentica, dolcemente trasgressiva, esageratamente curiosa…  talvolta irriverente. Questo viaggio introspettivo nel bel mezzo del cammin della mia vita (e per il quale vi ringrazio) conto di farlo ad occhi socchiusi mentre sorvolo l’infinita distesa di una savana africana con il bagliore accecante e divino di un tramonto la cui luce scatena la pelle d’oca e genera un benessere fisico inimmaginabile. Sono siciliana e me ne vanto. Nata in una notte di mezza estate, porto con me quel caldo tepore e la fierezza di essere figlia di questa terra (che ispira poesia): “bedda, arragiata ma non infami/ e u mari e a muntagna/ intra ‘sta terra tuttu si po fari e a mmia sta cosa mi piaci assai”».

Partiamo dal tuo lavoro, sei una farmacista. Un ruolo di responsabilità, scandito dalla fiducia e dalla stima dei tuoi tanti clienti. Un lavoro amato, ereditato da una zia speciale… Ce ne vuoi parlare? Cosa ti affascina maggiormente di quello che fai?

«Adoro la mia professione di farmacista già alla quarta generazione di una tradizione familiare che tutt’oggi mi vede affiancata dalla mia mitica zia Annamaria, adorata figura istituzionale di farmacista con ben 60 anni di lavoro nella cittadina di Zafferana Etena, in cui vivo e lavoro. Mi ritengo privilegiata e vi confido il perché: ho parecchie responsabilità ma grazie alla mia professione ho l’opportunità da un lato di dar consiglio (ove richiesto) ai pazienti avventori, e dall’altro di conoscere le loro storie più intime, i loro stati d’animo, i loro disagi e le preoccupazioni. Ho un rispetto assoluto per i rapporti umani sinceri e profondi e faccio di tutto per essere una presenza rassicurante e attiva. Ho avuto quest’esempio familiare anche dalla zia. L’ho sposato cucendolo addosso al mio carattere. Siamo diametralmente opposte, ma mai in competizione e, nonostante il gap generazionale, siamo mosse dagli stessi intenti lavorativi. Parlando con i miei clienti mi rendo conto che l’ascolto è un aspetto fondamentale del mio lavoro. Talvolta percepisco che uno sguardo, la mia mano poggiata in maniera sincera sulla mano dell’altro sono segni di affettuosa condivisione di un problema. Non tollero la falsità. L’autenticità per me è imprescindibile».

Parliamo adesso della tua passione per la danza, per il Flamenco. Com’è nata? Cosa la alimenta? Cosa “significa” per te praticare quest’arte?

«Non è facile descrivere in parole la mia passione per il flamenco. Mentre ci provo il mio pensiero vorrebbe ondeggiare e saltare su queste righe sfidando l’ordine di scrittura e flamencando liberamente. Per chi non lo sapesse anche nel flamenco c’è un syllabus internazionale con delle parole chiave e tutto un linguaggio per poterlo scrivere e studiare. Sicuramente non è qualcosa di acquisito da tradizione familiare, non ho parenti che praticano quest’arte. Per me è stato un colpo di fulmine, un amore istintivo: da ragazza quando ascoltando casualmente certi brani di musica flamenca mi cimentavo ad interpretarli con mia meraviglia in maniera libera, senza alcuna conoscenza tecnica e di regole. Da donna adulta è arrivato il mio “Flamenco Time” avendo finalmente avuto la possibilità di frequentare (negli orari a me più comodi) la scuola della maestra Cetty Pandolfo. Anno dopo anno, sono cresciuta e maturata nella tecnica non tralasciando mai l’espressività. Ho imparato a dare voce a questo mio sentire con tutta l’energia che ho in corpo.  Ho frequentato le sue lezioni sottoponendomi senza alcuna esitazione al giudizio di qualificati esaminatori spagnoli conseguendo annualmente delle certificazioni internazionali da parte della SDS (Spanish Dance Society). Con mia grande gioia e fierezza, da quest’anno la maestra Cetty ha costituito alla nostra compagnia di spettacolo “El duende del Mediterraneo” di cui mi onoro di fare parte insieme ad altre sette meravigliose donne. Durante il mio “baile” (al momento mi viene in mente il testo “Habla me” cover di Dany Krasytan) lascio parlare il mio corpo in dialogo e in equilibrio con un’altra voce che affiora da dentro (e non si sa da dove) che è intima e “dice” di fare in un certo modo, come magma che deve necessariamente fuoriuscire e liberarsi. Questa forza interna prende vita con il movimento, in una espressione intensa e repentina del viso, in un volteggio deciso e rapido del corpo, nella fermezza di un golpe (battuta del piede), nello stare semplicemente in scena da fermi ma con piglio interpretativo. Lo spirito del flamenco viene indicato con la parola “duende”. È la magia della combinazione di tante situazioni. Nel “quadro flamenco” non è protagonista soltanto la bailaora (o il bailaor) con il suo “baile” ma anche il cantaor (o la cantaora) che invoca il canto e il tocaor (il chitarrista che con il virtuosismo del suo strumento interagisce con gli altri elementi). Penso che per una ballerina di flamenco, oltreché l’impeccabile bravura della nella tecnica, l’espressività sia fondamentale. Il flamenco, così come l’arte della poesia, del teatro, della pittura, deve “trasferire” le proprie emozioni al pubblico. Alla fine di uno spettacolo si è stati bravi quando si arriva al cuore della gente, quando si regala un qualcosa di sé, “un chicco di gioia ed armonia por ti”. Come potete constatare, è molto complesso il mondo del flamenco e avvicinarsi richiede tempo e mente libera. A seconda del “palo” (ritmo e carattere della danza da interpretare) un baile può essere “chico” (allegro), può essere “jondo” (profondo). L’intensità nei movimenti si acquisisce con l’esperienza e con il tempo. Scandire un ritmo attraverso il suo suono dei piedi (zapateado) e delle mani (con le palmas o con le nacchere), con il chiaroscuro è per me cosa divina».

E sempre, pensando alle tue passioni, parliamo adesso del mare. Potremmo dire (correggimi se sbaglio) citando Albert Camus “soltanto la musica è all’altezza del mare”. Un amore che vivi intensamente, al punto da essere soprannominata “capitano di bordo” per la tua guida allegra, libera e armoniosa (proprio come la musica, altra tua grande passione)?

«Certe cose sembra che capitino per caso ma in realtà col passare del tempo hanno un senso ben preciso. Un bel giorno, passeggiando in riva al mare mi venne in mente di affittare un piccolo natante. Lo confidai a Roberto (mio marito) ridendo di gusto come una bambina che a tutti i costi ha deciso di volere lo zucchero filato. Per la prima volta, consideravo l’idea di acquisire nuove conoscenze e competenze sull’intrigante mondo della navigazione e di lì a poco, frequentando un corso serale di nautica con l’impareggiabile Nino Marino, uomo animato da pura passione per il mare, con grande contentezza, conseguì il patentino nautico entro 12 miglia (presso la capitaneria di Riposto). Il mare è in me. Mi ha cresciuta. Mi ha aiutata. È stato il mio migliore amico in un periodo di vita orrendo per la perdita improvvisa di mio fratello Massimo. Mi è stato accanto in maniera silenziosa ma presente. Mi ha cullato con il movimento ora calmo, ora intenso delle onde. Sempre lì presente. Mi vengono in mente quei versi di Angela Catolfi: “Ascolto il respiro del mare, / l’arpeggio delle onde / rimbalzare sugli scogli / infrange di schiume e di alghe. (…) Dai miei occhi salpano vele / senza meta verso il mare aperto, / si perdono nell’oblio di derive / là dove il mare si congiunge al cielo. (…)”. Mi ha regalato tantissime albe i cui colori sono stati per me medicina e linfa, accogliendo le mie copiose lacrime. Nel mio vuoto, amico mare, sei stato discreto ma mi hai nutrito con immagini, odori e sensazioni la cui bellezza e intensità arrivano sicuramente dall’oltre del divino. In quella linea sottile d’oro che separa il cielo dal mare, ho imparato a perdermi. Ci fantastico intreccio pensieri e storie e dove realtà non realtà si fondono e convivono armoniosamente senza mai una fine. In questi orizzonti la mia anima ha imparato a trovare un minimo equilibrio, se cade si rialza, se cammina osserva e vaga, salta e viaggia».

Per concludere, parliamo della tua passione per i viaggi e del tuo amore profondo per la tua terra, la Sicilia. Ci racconti qualche aneddoto? Dove sei stata e dove hai “trovato” casa pur essendone lontana?

«Affermare che la mia vita ruota intorno ai viaggi è lecito? Per me è riduttivo indicare il viaggio soltanto come una mia passione è piuttosto una conditio sine qua non potrei proprio vivere. Da fiera siciliana, quando approdo in altri luoghi porto con me la bellezza selvaggia e la ricchezza culturale della mia terra e talvolta faccio fatica ad entusiasmarmi del e nel diverso e riflettendo, poi mi viene in mente il perché: noi tutto c’abbiamo: u mari, a muntagna, i sciumi, i boschi profumati, templi, siti archeologici, tesori naturali, chiese e basiliche antichissime. In Sicilia c’è tutto e succede di tutto. Lo dico spesso alle mie figlie Ottavia e Carla che come tanti giovani sono attratti dall’America. Bella l’America sì, ma la Sicilia è unica come clima, come storia, come posizione geografica, comu tuttu. Ottavia studia a Milano e si trova bene ma ogni tanticchia torna giù con una scusa… (a virità è che a picciridda ci manca u mari e la sua gente). Per noi siciliani tuttu u munnu è paisi, nenti “ci sposta” e pi’nuatri a vera maravigghia è a nostra terra alla quale siamo legati col cordone ombelicale “cu ‘ doppiu ruppu e senza cuda”. Da ragazza progettavo di viaggiare parecchio e non ho mai pensato di trasferirmi definitivamente in altri posti. Ho viaggiato parecchio ma mai abbastanza da poter dire che sono sazia. L’Africa è un continente che mi ha totalmente affascinato e stregato. L’ho girata parecchio e conservo ricordi indelebili. Uno di questi è legato al compimento dei miei trent’anni. Nulla di programmato, pura coincidenza. Mi trovavo in Namibia, nel deserto rosso di Sossusvlei. Allo scoccare della mezzanotte, in quell’angolo di mondo, ho voluto vivermi quel momento di felicità da sola, sdraiata su un telo con il volto rivolto alla miriade di stelle che si accendevano ancor di più sotto il mio sguardo ammaliato e oltre il silenzio solenne che sovrastava su tutto. Mi son concessa l’ascolto con delle cuffie di fortuna di un brano musicale che adoro “The Sheltering Sky”del Maestro Sakamoto. Quanto è stato bello e liberatorio piangere di gioia! Oltre il calore, sia del clima che della gente, in Africa subsahariana non ritrovo pezzi della mia Sicilia ma colgo nel portamento dei corpi statuari delle donne africane la stessa fierezza che contraddistingue la Sicilia, il nostro essere popolo del Mediterraneo accogliente, caloroso e materno».

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Pubblicato da:
Fabio Russello