Dall’assolata Aci Trezza, affacciata sui Faraglioni del mito mediterraneo, all’algida Aarhus nella Danimarca del dilemma insoluto di Amleto: essere o non essere? E ha deciso di essere, e di esserci alla grande, la quasi 31enne trezzota Sofia Spampinato, una laurea magistrale in Fisica all’università di Catania e un successivo diploma di specializzazione in Fisica medica (il titolo dello specialista non medico che si occupa sia del controllo di qualità delle apparecchiature che usano le radiazioni ionizzanti o non ionizzanti, sia della pianificazione del trattamento radioterapico). Fino a 28 anni stabile a Catania, da poco più di 2 anni è dottoranda in Danimarca. Rifiuta di definirsi cervello in fuga, ma il suo essere nel Nord Europa è dovuto alla mancanza di opportunità lavorative in Italia, in Sicilia in primis: «Dopo la specializzazione – racconta infatti – ho inviato curriculum come una mitragliatrice nelle cliniche private, anche se il mio obiettivo primario erano gli ospedali (ma non c’erano molti concorsi). Non ho però avuto fortuna. Ero abituata a essere attiva e ritrovarmi senza fare nulla è stato per me difficile, né bastava a soddisfarmi una borsa di ricerca al dipartimento di Fisica per 3 mesi».
Ovviamente, la giovane fisica etnea non cercava lavoro comodo a km zero: «Ero consapevole che sarebbe stato difficile iniziare in Sicilia, perché il mio è comunque un lavoro di nicchia. Sapevo che, come altri colleghi, avrei dovuto trascorrere un periodo fuori dalla Sicilia, ma certo non pensavo al Nord estremo come la Danimarca. Ero iscritta alla newsletter dell’Associazione italiana di fisici medici che, ogni due settimane, aggiorna gli iscritti su eventuali posizioni aperte. Ho letto di questa possibilità di dottorato di ricerca non in università ma in ospedale, il che per me rappresentava un appeal in più, ad Aarhus, città a me sconosciuta». Della Danimarca, come quasi tutti, infatti, Sofia Spampinato conosceva soltanto – di nome – Copenaghen «ma ho scoperto che Aarhus è la seconda città più grande della Danimarca e che il suo ospedale universitario – sede del dottorato nel dipartimento di Oncologia – è uno dei più importanti, anzi nel 2018 è stato il migliore nosocomio danese, molto all’avanguardia in tutti gli ambiti, ma in particolare nel mio della radioterapia oncologica». Senza pensarci troppo, di getto, Sofia Spampinato manda il proprio curriculum e, dopo qualche giorno, viene contattata dalla responsabile – che ora è la sua supervisor – e sostiene un colloquio informale su Skype. «Dopo meno di due settimane mi hanno confermato che ero stata selezionata e che quindi, quando desideravo, potevo cominciare».
Un salto nel buio: «Se ci penso adesso, sono stata abbastanza coraggiosa, perché precedentemente non avevo mai fatto esperienze all’estero, eccetto un mese di vacanza studio in Inghilterra che a tutto è servito tranne che a imparare la lingua. Sono quindi partita con il mio inglese basico, senza conoscere nulla della Danimarca. Ma con l’appoggio dei miei genitori e degli amici, mi sono lanciata e non mi pento della mia scelta». Anche perché la Danimarca si è rivelata, in realtà, un Paese “facile” in cui trasferirsi, sia come mentalità che come burocrazia: «La conferma del dottorato è arrivata ad ottobre 2016, ma siccome avevo la borsa di studio fino a dicembre, ho chiesto alla mia supervisor se potevo iniziare da gennaio. Lei mi ha risposto che potevo cominciare anche a febbraio, se mi veniva meglio». Cambiare nazione sembra infatti un’incombenza difficile, e nell’Italia della burocrazia è sicuramente defatigante. Ma in Danimarca no: «Come futura dottoranda, avevo diritto ad alloggiare un anno in un dormitorio per studenti (ho chiesto un miniappartamento singolo e sono stata accontentata). Hanno voluto soltanto sapere nome, cognome, data di nascita e avere la conferma della mia supervisor. Prima di partire avevo quindi già la casa e, appena arrivata, mi hanno dato le chiavi. Non ho dovuto fare nulla. Certo, c’è da dire che io avevo già un contratto di lavoro e, tramite questo, una casa. Ovviamente, se uno dovesse venire in Danimarca per cercare fortuna, sarebbe più complicato. Con le fotocopie del contratto di lavoro, di affitto e il passaporto, mi hanno poi indirizzato in un ufficio, dove mi hanno assegnato l’indispensabile codice fiscale e, durante l’attesa durata circa mezz’ora, mi hanno offerto il caffè mettendomi a disposizione Internet. Tutto in mezz’ora: quando sono uscita, ero “cittadina danese”». Il codice fiscale consente di accedere a tutti i servizi: «Se si cambia casa, ad esempio, si deve soltanto inserire online il nuovo indirizzo e tutti sapranno che hai cambiato indirizzo. Non devi andare a comunicarlo al Comune, non devi volturare le utenze».
Il dottorato, della durata di tre anni, scade ad aprile 2020, ma è tutt’altro che remota la possibilità che alla brillante siciliana venga chiesto di restare: «Per scaramanzia non dico niente, però con la mia supervisor e col mio gruppo di lavoro mi trovo molto bene, mi piace come si lavora. Io presumo che la mia supervisor vorrebbe che io restassi, almeno per un post doc, però dipende anche da quello che voglio fare io: se continuare con la ricerca o tornare a fare clinica, se restare in Danimarca o rientrare in Italia. Ovviamente, se uno vuole continuare con la ricerca, deve pensarci con un po’ di anticipo per reperire i fondi». Tuttavia, manco a dirlo, rispetto all’Italia in Danimarca è più facile fare ricerca e reperire i fondi: «Io non ho mai voluto fare il dottorato in Italia perché le condizioni non sono consone a persone che hanno studiato ma non sono valorizzate. In Danimarca rispetto all’Italia non c’è paragone, sia per quanto riguarda gli stipendi che per quanto riguarda i benefit. Diciamo che il 2019 sarà l’anno in cui dovrò scegliere». Mettendo vari fattori sul piatto della bilancia, ma con la consapevolezza, comunque, della validità del percorso di studi in Sicilia: «In Danimarca finora mi sono stati fatti tanti complimenti e non penso di avere un’intelligenza fuori dal comune. In particolare, non ho ricevuto alcuna critica per il mio metodo: e questo non deriva dalla preparazione, ma dal modo di affrontare un problema che, a mio avviso, si acquisisce all’università».
Tra i fattori da mettere sul piatto della bilancia c’è sicuramente la nostalgia per la Sicilia e, di contro, gli aspetti negativi dell’Isola natale: «Mi mancano gli affetti, la famiglia, gli amici, la spontaneità e la vitalità siciliane perché, pur essendo questa una città universitaria e vivace, l’atmosfera è diversa rispetto a un Paese mediterraneo. Certo, ci sono poi alcune cose che non mi mancano assolutamente: la burocrazia, a volte la mentalità un po’ individualista del siciliano che pensa prima a quello che è bene per sé senza capire che poi ciò magari avrà effetti sugli altri e alla fine gli si ritorcerà contro. Anche io sono una persona molto individualista, riconosco che lavoro meglio da sola, però a volte occorre trovare un compromesso per il bene comune». A mancarle è poi anche, banalmente ma non troppo, il sole: «Mi manca tantissimo, soprattutto d’inverno, anche se mi hanno raccontato che il 2017 è stato uno degli anni meteo peggiori. Sono arrivata a febbraio, quindi l’inverno stava per finire: c’era freddissimo, vento, tempo bruttissimo. L’estate? Non pervenuta: siamo passati da inverno, meno inverno, inverno di nuovo. Invece il 2018 è stato atipico, con un inverno sì abbastanza freddo, ma poi un’estate che per la Scandinavia è stata caldissima: 20-25 gradi. I miei genitori sono venuti a trovarmi a fine giugno e c’era tempo più brutto in Sicilia che in Danimarca. Mi sono persino fatta il bagno al mare, facendo vedere a questi vichinghi di che pasta sono fatta».
Della Danimarca, ovviamente, Sofia Spampinato non può che apprezzare «la semplicità: mi sono trasferita da sola, non ho avuto difficoltà; qualsiasi problema abbia, chatto con la ditta interessata che me lo risolve seduta stante; anche se devo prenotare l’appuntamento dal medico, lo faccio online. Qui non esiste il concetto di fila, di scavalcare, di cercare sotterfugi. Mi piace molto anche il loro modo di relazionarsi completamente orizzontale, anche se con un grande rispetto della vita privata. Ci sono molta elasticità nel lavoro (qui si lavora per vivere, non si vive per lavorare) e, ovviamente, anche ottime condizioni economiche: da dottoranda, guadagno circa 3.000 euro netti al mese». Ciononostante, Sofia Spampinato non si sente un cervello in fuga «anche perché ancora non so se voglio tornare o meno, se la mia è solo una fuga provvisoria». Perché le difficoltà, comunque, ci sono, anche nella “smart” Danimarca: «Anzitutto, la vita sociale. Inizialmente è stato difficile, anche perché mi bloccavo pure per il mio inglese non perfetto. Tuttora non lo è, ma sicuramente è migliorato. Diciamo però che in generale qui ognuno si fa la sua vita. Io sono sempre stata abituata a stringere rapporti con i colleghi, la maggior parte delle amicizie da adulta le ho strette in ambito lavorativo: qui, invece, grazie al welfare danese, le persone alla mia età hanno almeno 1-2 figli e una trentenne non sposata e senza figli a loro suona un po’ strano».
Un’esperienza, comunque, ricca di soddisfazioni per la giovane siciliana: «Ho sempre vissuto con l’idea di non essere abbastanza capace. Qui invece ho acquisito sicurezza nelle mie capacità anche al di fuori della mia comfort zone che è la Sicilia. Per questo sono contenta di fare questa esperienza, che consiglio a tutti, anzi mi pento di non averla fatta prima perché andare all’estero a 23-24 anni, quando hai più energia, è meglio». Ai giovani non può allora che consigliare «di non fare il mio stesso errore, di non avere gli occhi puntati sempre verso un solo obiettivo, ma di essere sempre pronti a cambiare idea, perché alla fine si può sempre tornare indietro e ogni esperienza arricchisce. E poi, di imparare bene l’inglese parlato». In Danimarca Sofia Spampinato si occupa solo di radioterapia: «Sono in gruppo internazionale che esprime le linee guida a livello mondiale: quando mi ricapita un’occasione simile? Ormai in ogni caso finisco il dottorato. Ho partecipato ad alcuni concorsi ma limitandomi alla Sicilia: cosa me ne faccio di un posto a tempo determinato in Friuli Venezia Giulia?». E c’è sempre la considerazione amara di regalare all’estero tanti giovani talenti italiani: «Questo senza dubbio, però anche l’Italia e la Sicilia stessa devono riconoscere che chi ha lavorato all’estero porta un valore aggiunto».