Castel di Tusa (Messina) – Un siciliano bio che sussurra ai cavalli autoctoni dell’Isola, che alleva bovini e ovini, coltiva cereali e che con l’olio da una parte ha creato una nuova varietà da tavola e dall’altra trasforma l’oro verde in prodotti di bellezza e originali cadeau. Muovendosi sul solco della tradizione, ma allo stesso tempo rinnovando e diversificando la storica azienda di famiglia per tenerla al passo dei tempi e permettere a un tale patrimonio di storia di resistere, Placido Salamone, 33enne di Castel di Tusa, studi di Giurisprudenza interrotti alle spalle e titolare dell’azienda di famiglia da 10 anni, vive giorno per giorno la sua scommessa imprenditoriale e di vita.
L’azienda di famiglia, arrivata con Placido Salamone alla sesta generazione, nasce secondo un impianto tradizionale tra olivi, cereali e zootecnica. L’allevamento comprende bovini, ovini ma soprattutto cavalli: «Siamo una delle famiglie siciliane più antiche di allevatori di cavalli – spiega Salamone -. La nostra storia è legata alla celebre razza della Mandra Reale di Ficuzza che i miei antenati acquistarono nel 1834, cavalli di cui la mia famiglia, di generazione in generazione, ha perpetuato il ceppo genetico fino ai nostri giorni. Quindi quelli che adesso abbiamo in allevamento sono i discendenti dei cavalli della razza Reale di Ficuzza». L’azienda, per un totale di circa 230 ettari, si divide tra Nicosia, dove ci sono gli allevamenti e la produzione di cereali, e Castel di Tusa con la produzione olivicola nella quale si è impegnato particolarmente Placido Salamone. «Inizialmente, mi sono dedicato alla realizzazione di un mio marchio, il San Costantino, che è un olio blend delle varietà ogliarola messinese e santagatese. E fin qua nulla di eccezionale: questo è un prodotto che rientra nelle nostre tradizioni olearie. Ma dopo due anni, ho creato una nuova varietà da monovarietale di ogliarola messinese con l’aggiunta di “olea europaea silvestris”, cioè l’olio di ogliastro per dirla in termini più semplici. Abbiamo indirizzato questo prodotto su un mercato anche straniero dove ha riscontrato un certo apprezzamento». L’azienda esporta in Austria, Inghilterra, Germania, «soprattutto per privati e ristoranti di un certo livello, su formati piccoli in bottiglia».
A differenza dell’olio ricavato dalla Nocellara del Belice – predominante in Sicilia, piccante, con caratteri molto forti e un colore molto verde – «l’ogliarola messinese è un’oliva dolce al palato: l’olio che se ne ricava è delicato e indicato soprattutto per tutti quei piatti, come ad esempio il pesce, che non hanno bisogno di coprire il sapore, ma di essere accompagnati da un condimento molto delicato. E chi è nel mondo della gastronomia e conosce queste differenze, lo apprezza». Con questa varietà, Salamone ha realizzato anche paté, ma non solo: il giovane imprenditore si è inventato le bomboniere gastronomiche per «i clienti che amano regalare qualcosa di utile ed eco-sostenibile.
Lavoriamo soprattutto sull’artigianalità: quindi l’olio è nostro, biologico, di qualità, certificato – la nostra è una azienda biologica su tutti i fronti da circa 15 anni – ma curiamo molto anche l’aspetto estetico perché il cliente può scegliere tra varie tipologie di bottiglie o di soluzioni». Da circa 2 anni, poi, Salamone ha avviato, «in sinergia con un’azienda di biocosmesi, un approfondimento in questo campo: produciamo bagnoschiuma, creme naturali e saponette, tutto a base di olio d’oliva».
Insomma, un’azienda storica e tradizionale, sorta nel 1870 allorché Benedetto Salamone, antenato di Placido 6 generazioni fa, acquistò il feudo Casaleni a Mistretta, che ora si sta modernizzando con la produzione di nuovi prodotti che si affiancano al tradizionale. Questo anche per riuscire a restare sul mercato: «I cavalli, ad esempio, oggi non hanno un grande mercato. Ne abbiamo una ventina, ma anche gli ovini e i bovini sono in numero abbastanza limitato. Il nostro è un allevamento semi-brado e gli animali hanno un grande parco a disposizione. La caratteristica dell’azienda è l’auto-produzione: infatti, i cereali che coltiviamo sono destinati in buona parte al sostentamento dell’allevamento. Coltivazioni tutte strettamente biologiche – anche quella orticola, destinata al consumo familiare e a una clientela privata – controllate annualmente da un ente di certificazione».
Ultimo (finora) e unico discendente della famiglia, Placido Salamone era una sorta di predestinato a questo lavoro: «Da piccolo – sorride – sono stato sempre in azienda, ma il mio ruolo l’ho acquisito da circa 12 anni a questa parte. Prima ero semplicemente una mascotte. Ma sin da quando avevo 10 anni ho sentito sempre questo legame con la natura e non è stata mai una sofferenza fare questo lavoro. L’unica cosa che desideravo, era farlo realizzando i miei sogni, che erano quelli di avviare l’azienda in maniera moderna. Senza però tagliare il legame con il passato: ho sempre cercato le radici della mia famiglia, di capire se ci può essere un nesso di continuità tra passato e futuro». Alla ricerca della risposta a questa domanda interiore, Placido Salamone ha fatto delle esperienze fuori dalla Sicilia, conoscendo realtà imprenditoriali di successo e avendo la conferma «che l’idea di unire tradizione e innovazione è un fattore che, oltre ad essere realizzabile, per molte aziende è un punto di forza perché consolida l’immagine della regione e del proprio marchio». Forte di ciò, Placido Salamone ha avviato «“La torre del gusto”, un blog in cui, oltre che parlare di me e di quello che faccio, si parla anche del territorio, in modo che chi conosce noi vede come nascono i nostri prodotti ma anche le bellezze della nostra terra. Diamo dimostrazione che non ci inventiamo chiacchiere».
Insomma, diversificare fa bene all’agricoltura: «La diversificazione produttiva è un elemento fondamentale per un agricoltore a tutti i livelli, perché se io sono un produttore biologico è chiaro che il mio prodotto non esce su grandi quantitativi e per giunta siamo soggetti più di altri alle bizzarrie del clima. Quindi, ci sono annate di grande produzione e altre di scarsa produzione. Dobbiamo di conseguenza lavorare – e già questa è una forma di diversificazione – sui formati diversi: nelle annate di maggiore produzione su formati famiglia, in quelle di minore produzione su monodose e bottigliette. Diversificare con tanti prodotti ci consente poi di arrivare facilmente sul mercato e di attrarre più clienti».
Perché fare agricoltura e allevamento è comunque difficile: «Le difficoltà sono diverse: esiste anzitutto una mancanza identitaria. Dove è debole un’idea di marchio, si è soli di fronte a realtà più grosse. Faccio un esempio: se come siciliano devo entrare in un canale e ho dietro un marchio forte, nel piazzare il prodotto sono facilitato. Ma ciò richiede una presenza sia politica sia di rete con altri produttori. In Sicilia si è fatto con il vino e i risultati si vedono. Nel caso di altri prodotti come l’olio, ci sono delle associazioni ma non esiste un marchio siciliano. Poi, ovviamente, a seconda delle situazioni serve una maggiore organizzazione a livello strutturale: abbiamo un problema politico per la concorrenza sleale dei prodotti extra-Ue con costi di produzione inferiori. Come superare questo problema? L’unica soluzione è produrre quello che l’importazione non produce, quindi diventare anche trasformatori. La sopravvivenza delle aziende sta là: dobbiamo quindi essere molto più mobili, cercare di arrivare su mercati che sono più redditizi, anche talvolta lasciando il mercato siciliano».
Un progetto ancora da realizzare per Placido Salamone è la creazione di uno store: «Una linea completa di prodotti della mia azienda, partendo da quelli della biocosmesi fino ad arrivare a una linea completa di prodotti alimentari, creando un mio marchio e prima sul web e poi magari come negozio». Un progetto che potrebbe in futuro creare una maggiore occupazione, visto che finora l’azienda è a conduzione familiare, supportata da lavoratori stagionali assunti nei periodi di maggiore lavoro. E supportato da una constatazione, forse un po’ amara: «La Sicilia è una terra del cui valore ci si accorge soprattutto quando si va fuori. Da noi resiste infatti un concetto di agricoltura tradizionale conservata in forma antica da una categoria di pastori e agricoltori: e questo è un valore che altrove si è perso. Ciò che invece non si è fatto è dare valore alla spontaneità della nostra terra: la Sicilia è ricca di biodiversità di tante piante spontanee. Anche chi non vuole fare grossi investimenti, utilizzando magari i tantissimi terreni abbandonati, potrebbe raccogliere ciò che spontaneamente la terra produce: per esempio dai rovi si ricavano le ricercatissime more, il cardo selvatico è una pianta che ha impiego nella produzione di paté, gli asparagi selvaggi sono molto apprezzati. Chi vuole realmente industriarsi, non deve necessariamente avviare la propria attività con un capitale enorme, perché la terra gli offre tante soluzioni per avviare un piccolo percorso imprenditoriale. Diversamente, non consiglio a nessuno in questo momento storico di avviare operazioni molto costose in agricoltura, perché i tempi sono grami e gli investimenti sulla terra non hanno ritorni immediati. Chi vuole farlo, deve avere le spalle coperte».
E come consiglio più generale ai suoi coetanei giovani, Placido Salamone suggerisce di «non abbandonare mai questo rapporto con la natura e il territorio, perché non sono poche le persone che, usando la propria intraprendenza, hanno creato tante novità non soltanto in campo agricolo, ma anche turistico puntando sull’agriturismo, l’escursionismo e l’aspetto agro-naturalistico».