Andata, ritorno e nuovamente andata. Un “cervello in fuga” altalenante quello di Clara Monaco, biologa marina esperta di cetacei che dopo la laurea a Trieste e il ritorno (convinto) a Catania, la sua città, ha ripreso le valigie per trasferirsi nel Principato di Monaco alla “corte” di Accobams, uno degli enti più importanti al mondo per la tutela dei cetacei.
«Andata-ritorno-andata? In realtà non potrei dire quale sarà il capitolo finale (ride ndr), il cuore resta sempre a Catania, non voglio chiudere alcuna porta, ma per me è arrivato il momento di valorizzare tutto quello che ho appreso per lavorare a più alti livelli. Ho investito quasi 15 anni della mia carriera nell’ambito della ricerca con esperienze all’estero che mi hanno permesso di crescere prendendo anche la decisione di tornare nella mia città perché qui c’era una realtà che mi sentivo di coltivare. Poi nell’Università di Catania sono rimasta una precaria senza un rinnovo di contratto, né un’ulteriore crescita professionale e allora ho deciso di guardare nuovamente all’estero».
In cosa consisterà il suo lavoro?
«Ricoprirò il ruolo di programme and project officer nel segretariato di Accobams. Tra i progetti attivi sotto il mio coordinamento ve ne sono 3 dislocati tra Italia, Turchia e Marocco, e finanziati dalla Commissione generale per la Pesca nel Mediterraneo della Fao, che mirano a migliorare la sostenibilità delle attività di pesca e la conservazione delle specie marine vulnerabili attraverso azioni di monitoraggio e di mitigazione. Attraverso partenariati con gli enti di ricerca locali e la collaborazione con i pescatori, stiamo valutando nelle varie flotte l’incidenza delle catture accidentali di tartarughe, delfini, uccelli, elasmobranchi, e giovanili di altre specie di pesce vulnerabili, e testando nuove metodologie per ridurre questi eventi. Dai dissuasori visivi, alle reti depotenziate, alle griglie di sicurezza per evitare catture indesiderate, a sistemi di allerta acustica per limitare i danni della depredazione attuata dai delfini che spesso si cibano prelevando le loro prede direttamente dagli attrezzi da pesca, causando ingenti danni sia a questi che al pescato».
Cos’è Accobams?
«È un Accordo internazionale creato per la protezione dei cetacei (come delfini, balene, e focene) nel Mar Nero, nel Mar Mediterraneo e nell’area atlantica adiacente. Il suo obiettivo principale è conservare le popolazioni di cetacei e i loro habitat. Per raggiungere questo scopo, l’Accordo promuove: la riduzione delle minacce dirette ai cetacei come le catture accidentali, l’inquinamento acustico, l’inquinamento marino chimico-fisico, e le collisioni con le navi; la ricerca scientifica e il monitoraggio per comprendere meglio le popolazioni di cetacei e le loro esigenze ecologiche; la cooperazione internazionale tra i paesi membri per proteggere efficacemente i cetacei; la sensibilizzazione e l’educazione per aumentare la consapevolezza pubblica e la formazione professionale riguardo alla conservazione dei cetacei».
Una bella sfida per chi da anni valorizza i cetacei del Golfo di Catania con l’Associazione Marecamp…
«Grazie a Marecamp i turisti che arrivano a Catania (i catanesi molto meno) hanno scoperto il dolphin watching nel Golfo e questo, assieme ai tanti progetti di ricerca effettuati negli anni, ci rende molto orgogliosi».
Com’è nata la sua passione per i cetacei?
«In realtà è nata per caso. Io ho sempre amato il mare, sin da piccola. Andavo sott’acqua, ero curiosa della vita marina in generale, ma non pensavo di farlo come lavoro. Quando mi sono iscritta in biologia pensavo di diventare un “topo” di laboratorio, di scoprire la cura del secolo per qualche malattia (ride ndr), invece poi all’Università ho fatto un workshop di ricerca sui cetacei e lì dopo aver visto i delfini per la prima volta, ho cominciato ad approfondire, a fare la tesi, a capire che la biologia marina poteva essere la mia strada».
Il primo avvistamento non si scorda mai?
«Assolutamente. È stato al largo di Riposto, un gruppo di Stenelle (una varietà di delfini, i più piccoli ma anche i più numerosi al momento nel Mediterraneo ndr). Mi si è aperto un mondo, soprattutto sul piano dell’etologia, lo studio dei comportamenti di questi animali che poi si è spostato sulla loro interazione con l’uomo da cui tutti i progetti che ho gestito finora».
Come sta il Golfo di Catania a cetacei?
«Ha delle grandi potenzialità perché nonostante sia un’area ristretta, ospita un altissimo grado di biodiversità, dagli invertebrati ai grandi cetacei, ma al suo interno c’è un forte impatto antropico con la conseguenza di problemi di inquinamento fisico (macroplastica e altri macrogalleggianti) e di traffico marittimo, che minaccia le specie più varie».
In che periodo sono presenti i cetacei nel Golfo di Catania?
«I delfini tutto l’anno, quelli che avvistiamo con meno frequenza sono i grandi cetacei come le balenottera comune e capodogli. Questi ultimi è possibile avvistarli a inizio o fine estate perché migrano verso sud per svernare in acqua più calde passando dallo Stretto di Messina».
I cetacei ci sono, gli avvistamenti anche, il turismo legato al dolphin watching funziona?
«Tantissimo. In questo momento siamo in difficoltà, non abbiamo abbastanza esperti per coprire la domanda. Nonostante la disponibilità delle imbarcazioni che Marecamp ha ricevuto (due barche a vela e un gommone) non siamo sempre in grado di gestire le richieste. Il nostro problema è trovare le guide che accompagnino gli appassionati per le uscite in mare. Il dolphin watching è una delle entrate di Marecamp che si sostiene con bandi e progetti oltre che con il crowdfunding».
Perché i cetacei suscitano tanta attrazione?
«Intanto per la loro grandezza. Io li chiamo i dinosauri del mare. E poi il fatto che sono tanto simili a noi ma anche diversi. Nella storia evolutiva è certo che noi e loro abbiamo avuto un progenitore in comune e forse è questo, anche inconsciamente, che ci attira».
Chi viene a vedere i delfini nel Golfo di Catania?
«Turisti da tutta Europa e ogni tanto anche extraeuropei. Sono persone che già hanno una sensibilità per l’ambiente, sanno come stare in barca e se durante un’uscita non avvistiamo i delfini capiscono che non ci troviamo in un acquario ma nella natura. Gli italiani “pretendono” l’avvistamento senza capire che si tratta sempre e comunque di animali selvatici»