Catania, storia di un vero arrotino: Riccardo Sapienza, l’ultimo signore dei coltelli

Di Carmen Greco / 13 Gennaio 2025

La sua famiglia affila coltelli da generazioni, da quando nonno Eugenio fondò l’attività nel 1939. Da allora, nella bottega di via Grotte Bianche 14, a Catania, una delle strade che si innestano nel mercato storico della Fiera di piazza Carlo Alberto, ne sono passati di coltelli e Alfio Riccardo Sapienza, testimone dell’arte di famiglia, fra queste quattro mura con le volte a botte ci ha passato più tempo che a casa sua.
«Inizialmente il nonno aveva la bottega a San Berillo Vecchio e, in seguito allo sventramento del quartiere, ebbe l’intuizione di trasferirsi qui alla Fiera. Quest’anno festeggiamo 86 anni di attività».

«Affilatura e vendita di coltelli, forbici e affini». La sua è un’attività ormai difficile da trovare…
«Eh sì, è un mestiere che sta andando a morire. Questa forma di artigianato, resiste solo per chi ha passione».

La posso chiamare arrotino?
«Sì, certo, anche coltellinaio…».

Come ha iniziato?
«Nonno Eugenio Martori, ebbe 9 figli (da due matrimoni) di cui 5 maschi. Insegnò a tutti loro lo stesso mestiere. Tre proseguirono a Catania, due fuori Sicilia. Uno dei tre era mio zio Luigi, il fratello di mia mamma, è stato lui, ad insegnarmi tutto. Ha lavorato qui fino ai suoi ultimi giorni».

La sua prima affilatura?
«Da piccolo, avrò avuto 8-10 anni. Lo zio stava in laboratorio, mia mamma al banco. Io uscivo da scuola e mi precipitavo qui. Mio zio mi dava forbici o coltelli vecchi sui quali provare. A 12 anni avevo già una certa dimestichezza, oggi che ne ho 61 la passione non si è mai spenta».

Studi?
«Ho frequentato l’istituto professionale Enrico Fermi, non c’entrava niente con questo lavoro ma avevo un diploma in tasca».

Quindi ha scelto di fare l’arrotino per proseguire l’attività di famiglia o c’era una vera “vocazione”?
«Non ho mai avuto alcun obbligo, avevo pure l’alternativa di mio padre che lavorava in un’officina per la rigenerazione di ammortizzatori. Ho provato anche quello ma non mi piaceva. Qui avevo altri stimoli».

Un mestiere di famiglia…
«A Catania siamo rimasti io e un mio cugino che lavora in via Pacini, un’altra vecchia attività che mio nonno aveva fondato per i suoi figli. Noi, però, siamo più “antichi”».

Cugini “coltelli”?
«No assolutamente, siamo in ottimi rapporti, ognuno ha i propri clienti, ci rispettiamo e lavoriamo di comune accordo».

Dalla figura romantica dell’arrotino in bici, com’è cambiato questo mestiere in 42 anni?
«Mio nonno iniziò proprio così, con la bici, ancora non esisteva l’elettricità. Diciamo che quando sono arrivato io non c’era molta differenza, negli anni ho cercato di migliorarmi grazie alle “fabbriche” di coltelli (i fornitori ndr) i cui rappresentanti vengono periodicamente in negozio e mi chiedono delle vere e proprie consulenze sui nuovi prodotti. Spesso ho dato consigli e proposto accorgimenti per apportare delle migliorie».

E i suoi clienti oggi chi sono?
«Ecco, da questo punto di vista è cambiato molto. Il sarto che faceva gli abiti su misura non esiste più, così come i laboratori di abiti da sposa per i quali facevo la manutenzione delle forbici. C’erano i calzolai che portavano ad affilare i trincetti o le forbici per le suole, anche loro da almeno due anni non se ne vedono più, sono diminuiti drasticamente così come i tappezzieri. E poi ricordo ancora quando si affilavano gli strumenti da sala operatoria, oggi bisturi e forbici sono monouso. I nuovi clienti vengono dalla ristorazione, per esempio i coltelli da sushi. Poi ci sono sempre i parrucchieri e anche i toelettatori per animali. I “classici” sono i macellai soprattutto della grande distribuzione, i pescivendoli, qualche innestatore che mi porta le forbici per la potatura. Vengono da tutta la Sicilia orientale, dalle cucine degli alberghi di Taormina, e poi parrucchieri e barbieri di Caltanissetta, Enna…».

“Donne è arrivato l’arrotino!!!”. Sono suoi concorrenti?
«Guardi, mi portano spesso oggetti molati da queste persone. Non vanno bene, loro s’improvvisano, non nascono “con il mestiere” e non hanno nemmeno l’attrezzatura professionale adatta».

Le piccole imprese familiari sono da sempre in crisi, lei come resiste?
«Mi difendo con la qualità del mio lavoro. Consiglio il cliente se valga la pena o meno di affilare un coltello e dico sempre la verità. C’è un’onestà di fondo che si trasforma poi in fidelizzazione».

Come si aggiorna un arrotino?
«Le dirò… Mi sono trovato in difficoltà quando c’è stato il boom del coltello in ceramica, non si poteva affilare con la mola classica, ci voleva un nastro diamantato, ma la tecnica non era quella che conoscevo. L’ho comprato, ma l’ho usato pochissimo e l’ho restituito, la manutenzione di questo tipo di coltelli era complicata e costosa. Poi per fortuna la moda è passata».

C’è un modello di coltello che ama di più, da appassionato?
«In realtà non ho mai portato un coltello in tasca. Mi piacciono quelli con il manico in corno o in legno “guaiaco”, un tipo di legno pregiato del Guatemala. Come modello mi piace molto il “Caltagirone” dal luogo di produzione dell’artigiano che li produceva».

Questa bottega vedrà un arrotino Sapienza junior?
«Non credo. Ho un figlio di 25 anni che ho provato ad avviare al mestiere a 15 anni. Ha lavorato qui per un mese, era bravo, ma alla conclusione di questa esperienza mi ha detto che non sarebbe stata quella la sua strada preferisce avere in mano una macchina fotografica. Ogni tanto ci riprovo, anche per avere un sostituto, ma niente da fare. Mia figlia si sta laureando in lingue. In fondo è giusto così, i figli devono seguire le loro inclinazioni. Si vede che questo negozio è destinato a finire con me».

Insegnerebbe la sua arte a un apprendista?
«Non è mai venuto nessuno, e poi un apprendista oggi costerebbe troppo, ci vuole un’assicurazione contro il rischio infortuni, non è come quando io imparavo il mestiere dopo la scuola…».

Le cose più strane che le hanno portato da affilare?
«Una katana giapponese, oppure i bastoni con la lama all’interno… Ancora c’è chi me li porta».

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Pubblicato da:
Leandro Perrotta