Il ribollente fuoco dell’Etna, sulle cui pendici vive, gli scorre nelle vene e nutre la sua passione, il suo mestiere e la sua vena artistica. E come faceva il mitologico Efesto nel cuore del vulcano, Carmelo Carmeni, 47enne fabbro d’arte di Randazzo, campione del mondo di arte fabbrile nel 2013, batte e forgia il metallo piegandolo ai suoi voleri nella sua officina che, non per nulla, si chiama appunto “La fucina di Efesto”. Un fuoco interiore che da sempre arde nel cuore di Carmelo Carmeni: «Sono stato contaminato dal vulcano – spiega con un sorriso -. La mia passione per il ferro battuto e la forgiatura nasce dalla mitologia. Finite le scuole dell’obbligo, ho iniziato a lavorare come apprendista fabbro a 14 anni. Ma in realtà già in precedenza avevo manifestato una certa attrazione per il fuoco, non perché fossi un piromane, ma perché l’energia del fuoco mi ha sempre attratto: così, sin da bambino giocavo costruendo oggetti con le aste degli ombrelli, che rendevo incandescenti forgiandole con le candele e battendole utilizzando un martello molto piccolo su una mazzetta da muratore senza manico che usavo come incudine». Una passione, peraltro, non da figlio d’arte: «Mio padre di mestiere faceva il carbone. Io, con la mia forgia tradizionale a carbone, invece lo brucio».
Da apprendista fabbro, Carmelo Carmeni faceva soprattutto il saldatore, ma questa attività non lo soddisfaceva: decide quindi di mettersi in proprio, sorretto dalla passione e da una certa manualità innata. «Basta poi una scintilla per fare nascere una passione. Ho iniziato a frequentare fiere e mostre e così ho scoperto altre realtà. In particolare, in Repubblica ceca ho assistito a una manifestazione sulla forgiatura e lì ho capito che esisteva un mondo assai diverso rispetto al mio».
Da autodidatta come era stato fino ad allora, Carmelo Carmeni comincia così nel 2004 a frequentare corsi di forgiatura: dapprima in Sicilia tramite l’Associazione fabbri d’arte, poi a Stia, nell’Aretino, dove esiste una scuola molto importante e si tiene la biennale di arte fabbrile, oltre che il campionato mondiale di forgiatura, una estemporanea durante la quale, in tre ore, i fabbri devono forgiare le loro sculture. A Stia Carmelo Carmeni ha seguito la maggior parte dei corsi e, siccome non si finisce mai di imparare, tuttora, pur da campione del mondo 2013, continua a seguirne. Campionato mondiale al quale ha partecipato una sola volta, appunto nel 2013, quando ha vinto sbaragliando la concorrenza internazionale di circa 250 partecipanti, con una scultura denominata “Uno, nessuno e centomila” in onore di Luigi Pirandello. «Per me è stata una bella esperienza, perché a fare la differenza non è il titolo, ma il confronto con altre realtà da tutto il mondo, quindi con tecniche, sensibilità, etnie e mentalità diverse. Il titolo è una soddisfazione, ma non si arriva mai a una meta, non significa nulla essere campione del mondo. Anzi, quello è solo un motivo in più per continuare a superarsi sempre». L’idea di intitolare la scultura vincitrice “Uno, nessuno e centomila” è stata un omaggio a Pirandello ma anche dettata dal fatto che, «guardandola e riguardandola, mi sono reso conto che in quel pezzo c’erano tanti particolari e varie sfaccettature a seconda dell’angolazione dalla quale si guardava».
Un mestiere o un’arte della quale Carmelo Carmeni non potrebbe fare a meno perché la passione arde dentro di lui: «Io ritengo di essere un artigiano, non un artista. Questo lavoro a me dà la grande soddisfazione di essere libero di pensare, di fare, di costruire, di esprimermi senza vincoli. Per me non è un lavoro: io arrivo in officina la mattina, inizio a lavorare e, quando arriva la sera, mi sembra che siano passati appena cinque minuti, per me l’orologio corre troppo veloce, perché lavoro con una tale passione che non mi pesa». E, considerato che Carmeni fa questo lavoro da 30 anni, non è una fortuna da poco né così comune…
Un lavoro che Carmeni consiglia fortemente ai giovani, perché offre tante opportunità: «Gli artigiani stanno scomparendo, i giovani sono sempre meno. E di questo attribuisco la colpa alle istituzioni: lo Stato ha praticamente eliminato gli istituti professionali, mentre all’estero i miei colleghi hanno in officina giovani che provengono dagli istituti professionali e che hanno una certa formazione. Qui in Italia, invece, non hanno nulla, qui studiano tutti per diventare avvocato o medico, ma non tutti lo possono essere. Purché qualcuno impari questo lavoro che oggi si sta perdendo, ho addirittura proposto al Comune di Randazzo di tenere corsi gratuitamente per trasmettere agli altri il mio sapere». Ma gli unici interessati, in linea di massima, sono gli stranieri: «Ogni tanto ne ospito qualcuno, perché gli stranieri sono abituati a fare esperienze da vari artigiani, in modo da tornare a casa con un nutrito bagaglio di idee, in quanto da ciascuno prendono il meglio. È la cosa che faccio ancora io stesso: vado talvolta all’estero a lavorare nelle officine di altri fabbri. Gli italiani, invece, la prima cosa che chiedono è: “Quanto mi dai?”. “E tu che sai fare?”, è la mia risposta. “Prima impari e poi ti pago”. È giusto che un ragazzo che lavora percepisca uno stipendio, però prima deve imparare a lavorare».
Ecco che quindi ai giovani Carmeni consiglia di «imparare a lavorare, perché sporcarsi le mani lavorando non è vergogna. E poi bisogna avere fame di conoscenza: io ogni giorno ho sempre più voglia di imparare, la ricerca è bella».
Tra le difficoltà che incontra un artigiano/artista, Carmeni mette al primo posto il fatto che «le istituzioni non fanno nulla per garantire gli artigiani, le tasse ci distruggono». Di contro, la soddisfazione è essere «libero di esprimermi e di fare quello che voglio». Perché, per Carmeni, per fare questo lavoro in fin dei conti «non occorre nulla, solo la volontà di lavorare. C’è soltanto un segreto per avere successo, anzi sono tre: il primo è lavorare, il secondo è lavorare, il terzo è lavorare. Fine». Anche per le donne: «Nei Paesi esteri ce ne sono tante, soprattutto nell’Est Europa, ma anche in Germania, Austria e negli Usa. Donne fabbro che fanno tutto: forgiano, battono il ferro, realizzano il lavoro e poi lo montano. D’altronde, quale dovrebbe essere la differenza tra uomo e donna?».
Prendendo forza da una terra, dalla sua Randazzo che, ammette Carmeni, «non riuscirò mai a lasciare: ci sono legato, io mi nutro da questa terra, il suo fuoco ce l’ho nel Dna e, quando sono fuori, magari anche per lavoro, mi manca il paese, l’Etna, l’officina, la forgia. Persino la domenica vengo qui in officina almeno 5-10 minuti, ne respiro l’odore e poi torno a casa. E, in qualsiasi parte del mondo vado, cerco sempre un’officina dove entrare, perché devo sentire l’odore del carbone, della forgia». Impossibile, di fronte a tanta passione, avere quindi rimpianti, pur con la consapevolezza che altrove magari Carmeni avrebbe avuto maggiori opportunità: «Però quello che fa la differenza tra una persona e un’altra è la tenacia, il credere nei progetti. È la perseveranza che premia. E io sono così».