Atleta, coltivatore, allevatore di asini, esperto di giardini, di erbe aromatiche, di cucina, personaggio televisivo. È la curiosità che spinge “il barone” Andrea Lo Cicero, a vivere tante vite contemporaneamente o, meglio, come dice lui, «a riempire l’unica che abbiamo a disposizione». L’ultimo progetto in pentola dell’ex “pilone” della nazionale di rugby, è un programma tv per far conoscere la Roma più segreta, i suoi angoli e soprattutto i suoi sapori. Una sorta di guida video anche per dare una mano al mondo della ristorazione in ginocchio per la pandemia.
Da quando il cibo è entrato nella sua vita?
«Tutto parte dalla famiglia. Da buoni siciliani, anzi catanisi anche noi abbiamo un rapporto quasi viscerale con il cibo. Per i miei nonni e i miei genitori era una sorta di “codice”, mi hanno sempre insegnato a cucinare anche per tenermi a bada».
O in cucina o su un campo da rugby…
«Sì, non è che ci fossero tante cose diverse da fare, si cucinava sempre tutti insieme e, alla fine, ne sono rimasto affascinato. Poi sono stato coinvolto dal mondo dello sport e, una volta conclusa la carriera, sono tornato alle mie passioni. In questa fase della mia vita insieme con Igles Corelli (maestro pentastellato della ristorazione italiana e volto noto di Gambero Rosso Channel ndr) farò un corso da chef professionista».
È quello che vuole fare da grande?
«No, avere un ristorante non fa per me. Ti condanna a vita è un po’ come stare seduti sempre sulla stessa poltrona. Io, invece, ho una vita molto dinamica».
Meglio dietro i fornelli o dietro una telecamera?
«Dietro ai fornelli mentre ti riprende una telecamera. Per me, alla fine, si tratta di un lavoro che le comprende entrambe».
Di programmi in cui si cucina la tv è piena, però sono poche le persone ad avere la consapevolezza di quello che mettono nel piatto…
«Oggi non abbiamo più una conoscenza del cibo siamo diventati ancora di più filoamericani, ingurgitiamo tutto ciò che ci piace senza avere una conoscenza vera dei prodotti, non leggiamo le etichette e spesso non riusciamo nemmeno a interpretarle. Io dico, ritorniamo alle basi, alla semplicità. Quello che oggi la tv ha fatto è far conoscere tanti modi di cucinare, molte volte, però, non sono facilmente replicabili, io faccio dei piatti semplici alla portata di tutti, con la possibilità di recuperare delle erbe semplicissime che puoi coltivare nell’orto o sul balcone di casa».
La folgorazione per la terra quando è arrivata?
«Con i miei nonni che avevano gli aranceti, ho vissuto con loro dei momenti indimenticabile e poi quando ho capito che se rispetti la terra, se pianti un seme, se te ne prendi cura, se rispetti le stagionalità, lei ti dà tutto. È un concetto che vale anche nei rapporti con le persone, se pianti dei semi, se ti dedichi a un processo di cura, sicuramente crescerà qualcosa di buono».
A casa chi cucina?
«Sempre io, per mia moglie, mio figlio, gli amici, la cucina mi rilassa per me è come ritrovare me stesso, se tu cucini ti stai dedicando a qualcuno, lo dice anche la Filosofia che sto studiando, sono al secondo anno di università».
E come procede?
«Bene, quest’anno ho dato tre esami: 27, 24, 26».
Il filosofo del cuore?
«Kant, senza dubbio uno dei miei riferimenti più importanti, ma anche i greci, quello che mi piace della filosofia è che ti aiuta a “smeccanizzare” i ragionamenti, molte volte siamo indottrinati, dalla tv, dalla stampa, da internet che ti tartassano il cervello, invece la filosofia ti dà gli strumenti per metabolizzare, capire e fare tua un’informazione».
Che rapporto ha mantenuto con Catania?
«È la mia città, ci vive la mia famiglia, i miei genitori, mio fratello che è un operatore del 118, e poi sono devoto di S. Agata».
La prossima festa sicuramente subirà dei cambiamenti…
«Io spero di no, non so cosa succederà, ma sarò comunque presente in quei giorni fondamentali. Per me rappresentano un percorso di fede legato alla violenza subita da S. Agata e a quello che ha fatto S. Agata per me e per la mia città. Io metterò il “sacco” e farò tutto il percorso a piedi anche se non si dovesse fare la processione, con gli stessi orari».
Fra le tante attività alleva anche asini…
«Sì, ho degli asini ragusani, una me l’hanno uccisa di recente (il video di Lo Cicero in lacrime ha fatto il giro del web ndr), comprati in Sicilia a portati nel Lazio a Nepi per fare onoterapia nella mia azienda che ho chiamato “I scecchi”».
Come mai non ha pensato di allevarli in Sicilia?
«Ma la mia idea è sempre volta alla Sicilia però non posso fare tutto da solo, mi piacerebbe anche essere coinvolto, ho un mezzo progetto con l’assessore Messina (Manlio Messina, assessore regionale al Turismo ndr) poi non so cosa si farà. Io sono siciliano e ne vado orgoglioso, io ne sarei felicissimo…».
Di fare il testimonial?
«Magari! Ma, per esempio, io non ho mai ricevuto la candelora d’oro e questo fa capire che tipo di “ricettività” c’è nei miei confronti, eppure quel riconoscimento l’hanno ricevuto persone che non sanno nemmeno chi sia S. Agata».
Il piatto “madelaine”?
«La pasta con le sarde ‘a catanisi».
Ricetta?
«Parto dalle sarde a beccafico e le metto sul barbecue, inumidite con olio, succo di limone e succo d’arancia, sale e pepe. Poi alcune di queste le sfaldo e le metto nel sugo, bianco o rosso».
Non è la classica pasta con le sarde…
«Sì, la faccio a piacer mio. Una volta nel mio programma “L’erba del barone” avevo fatto un piatto siciliano e qualcuno mi fece notare che non si faceva in quel modo, ma io non li faccio secondo un disciplinare siciliano ca mancu avemu, sfido chiunque a fare un piatto tipico e tutti nella stessa maniera, non troverai una famiglia che lo fa uguale all’altra».
Vedi la caponata…
«Esatto, docu ti vuleva, ne esiste una varietà incredibile».
Un’ultima domanda: perché la salvia mi muore sempre?
«O ci runi troppa acqua, oppure la metti in un posto che fa freddo, la devi mettere al sole… e poca acqua, mi raccomando…».
Twitter: @carmengreco612