Sicilians
Amelia ed Emily, donne che a Catania “intrizzano” creatività
Catania – Intrecciare abilità, progetti, vite, sopra un tavolo da sartoria. in tempi in cui si parla di reti virtuali Amelia Alessia Cristaldi ed Emily Pellacani ne hanno costruita una fatta di persone, di donne, di relazioni. Un progetto nato con lo spirito della sartoria sociale di San Cristoforo, in cui si sono incontrate e fatte le ossa.
Nella sartoria di via Filippo Corridoni a Catania, creano, lavorano, insegnano a cucire, non solo stoffe ma soprattutto conoscenze, esperienze di vita e dialoghi fra mondi diversi. Una modalità che è un continuum in cui, di volta in volta, donne diverse portano i loro contributi.
Amelia ed Emily, due sarte, l’una catanese, una laurea in architettura, tre figli, l’altra, romana, da cinque anni a Catania, due figli e un diploma all’Accademia di Moda e costume. Insieme hanno “intrizzato” tre idee: la sartoria sociale, i corsi di cucito per grandi e bambini, la loro casa di produzione “Trizzi d’Amuri”.
Nella sartoria sociale di San Cristoforo hanno cominciato a mettere in atto la loro capacità di aggregare e intrecciare fili e relazioni. «Ritrovarsi tutte assieme a cucire è anche una terapia – dice Amelia che ha iniziato per prima -. È stato difficile all’inizio, c’era una certa diffidenza, quando poi abbiamo spalancato le porte sulla strada ne sono arrivate tante, anche dalla comunità di Sant’Egidio, a partire dalla signora Mimma (un’istituzione nel quartiere ndr) e lei si è portata dietro tutte le altre signore. Ci incontravamo due volte a settimana e nell’ultimissima parte della vita della sartoria avevamo organizzato dei workshop pubblicizzati aperti a tutta la città, l’ultimo per realizzare i complementi d’arredo del Midulla (il centro polifunzionale di San Cristoforo gestito da Gammazita ndr)». «Sono arrivate non solo dal quartiere – ricorda Emily – ma anche da fuori, c’era una partecipazione di varie tipologie di persone, anche di età diverse, poi si è interrotto tutto per il covid».
La sartoria sociale ripartirà appena possibile e tornerà a far parte di tutte quelle piccole realtà artigiane che stanno rianimando il quartiere. Ed è in quella dimensione che le “Trizzi” sognano di dare corpo alla realizzazione delle loro collezioni. Anche dell’ultima, quella che vede protagonista Alice Valenti, la “rievoluzionaria” artista che partendo dalle decorazioni dei carretti siciliani ha reinterpretato l’immaginario pittorico dell’Isola.
«Io ed Amelia ci conoscevamo già perché i nostri figli vanno a scuola assieme – racconta Alice – e mi sono subito entusiasmata del progetto della sartoria sociale che, però, seguivo con ammirazione da lontano. Poi l’anno scorso Amelia mi ha proposto di collaborare alla collezione primavera-estate 2021 con delle mie grafiche stampate su tessuto, quindi io durante le “chiusure” dello scorso autunno-inverno mi sono dedicata a questo lavoro partendo dal passato, dai miei interessi e dai miei approfondimenti con il cantiere Rodolico di Aci Trezza (gli storici maestri d’ascia con Salvatore inserito nel libro dei “tesori umani viventi” ndr) riversando nei disegni tutti gli elementi pittorici che fanno parte della decorazione tradizionale delle barche trezzote. Una grafica che si rifà agli elementi decorativi tradizionali delle barche, strumento di trasporto e di lavoro ancora più antico del carretto siciliano che è “solo” dell’Ottocento, riprendendo la sirena che rappresenta l’ambivalenza del mare tra fascino e pericolo, o il pescespada “pesci chiamano pesci”, la Madonna della Buona Nuova, co-patrona di Aci Trezza, il granchio, il polpo, tutti elementi che si ritrovano nelle barche catanesi e trezzote».
La prima camicia è “uscita”, dopo mesi e mesi di studi sulla resa grafica sul tessuto, la risoluzione, i colori, a cavallo tra febbraio e marzo. L’ufficializzazione sul mercato non ha nemmeno un mese (il battesimo è del 5 maggio). Non c’è un filo che non sia fatto a mano di questa collezione, dall’etichetta serigrafata, ai bottoni di madreperla cuciti uno per uno ed è il valore aggiunto di questo progetto “su misura”.
Certo, il prezzo non è “popolare” (una camicia costa 180 euro) ma comprende messaggi di valore se si considera che una parte del ricavato andrà a sostenere proprio il cantiere dei Rodolico, ma soprattutto che questi abiti sono la prova di un saper fare che nessuno coltiva più.
«I costi – spiega Alice Valenti – sono dovuti alla manualità e all’artigianalità di tutto il processo, ma queste stampe hanno un significato importante, sono simboli di speranza, è tutto un discorso che dev’essere compreso. Le nostre proiezioni di vendita non sono per un bacino enorme, non abbiamo investimenti da fare. Oggi la moda sta vivendo un periodo molto tragico, di rinnovamento profondo, quindi la nascita di queste piccole realtà artigianali è un elemento in controtendenza contro la massificazione della produzione e delle idee. Tornare al piccolo con una sartorialità artigianale rappresenta una concezione diversa e può essere, secondo noi, un modo per fare parte di un cambiamento già in atto anche nelle grandi maison che stanno seguendo questa scia per esempio tornando al vintage, riprendendo collezioni precedenti, guardando all’usato e al noleggio, ci sono tante cose nuove».
Per il momento a realizzare fisicamente camicie, pantaloni, camicioni, giacche con i motivi firmati da Alice Valenti sono le donne di un laboratorio sartoriale che cuciono assieme i pezzi tagliati a mano da Amelia Cristaldi. «Il nostro sogno – confessa – è riagganciare questo progetto a quello della sartoria sociale, dare lavoro alle donne che stiamo coccolando da anni, diventare una piccola azienda. Siamo pronte a farlo, spessissimo abbiamo lavorato qui le nostre commesse e la sede della sartoria sociale è qui, non avremmo alcun problema di attrezzature e poi ci piacerebbe sostenere persone come Annamaria che lavora in un B&b a 3,50 euro l’ora e che a 52 anni ha deciso di continuare a formarsi frequentando il nostro corso di cucito e carta modello, o Lella che, da quando ha chiuso l’ospedale Vittorio Emanuele non ha più guadagnato un euro con il suo girarrosto in via Plebiscito, o Francesca che durante il lockdown non ha mai smesso di fare le pulizie in casa d’altri altrimenti i suoi figli non avrebbero avuto nulla da mangiare». Sempre di intrecci si tratta. Di mani e di cuore. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA