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Storie di Sicilia

A Milano ha rubato i segreti della moda ma poi è tornata a Catania per aprire il suo atelier

La catanese Giulia Scalia ha lavorato anche per Moncler in Albania. Grazie ai fondi di "Resto al Sud" è rientrata a casa

Di Francesca Aglieri Rinella |

A Milano ha rubato con gli occhi tutto quello che c’era da imparare nel settore della moda, poi è rientrata a Catania è lo ha messo nel suo atelier. È la storia di Giulia Scalia, 29 anni, romana solo sulla cartà di identità (nata nella Capitale, ma di famiglia catanese) che finito il liceo classico ha deciso di inseguire il sogno coltivato da bambina, quello della moda. Si è trasferita al Nord per poi ritornare nella sua terra «con un bagaglio pieno di esperienze».

Gli studi e la formazione

«Finito il liceo Mario Cutelli – racconta a La Sicilia – sapevo già che avrei voluto intraprendere un percorso di studi che riguardasse la moda. Sono andata a Milano e ho frequentato l’istituto di moda Marangoni dove mi sono diplomata in fashion design. È lì che ho avuto la prima infarinatura: modellistica, trend, collezioni. Ho imparato tanto. Da studenti creavamo i nostri abiti, poi trasformavamo i disegni con la modellistica e realizzavamo il capo. Ho studiato storia della moda, marketing e imparato a conoscere e apprezzare stoffe e tessuti. Finito il triennio mi sono appassionata alla modellistica e ho deciso di approfondire il modo in cui potere realizzare da zero un capo. Ho frequentato così l’istituto Secoli, scuola di alta formazione, dove ho conseguito due master: il primo in modellistica abbigliamento donna, il secondo in intimo e costumi da bagno. Durante la pausa estiva ho anche frequentato la Central Saint Martins, la scuola di arte pubblica a Londra per migliorare le mie competenze: ho seguito un corso sulle stampe sui tessuti, uno sul figurino, uno di scarpe. Tutti short courses che duravano una settimana e durante un workshop ho realizzato il mio primo capo beachwear.

L’impiego da Moncler

Agli studi Giulia affianca i primi lavori. «Già alla fine del primo master avevo cominciato a lavorare per fare un po’ di gavetta e sono finita nel settore sposa con Elisabetta Polignano, un mondo che non faceva per me. Nel 2019, sono stata assunta da Moncler che ricercava persone giovani da inserire nell’ambito di un progetto su Milano, negli uffici di via Tortona. Un concept strepitoso: ero impiegata come prototipista, eravamo 18 su migliaia di candidati e realizzavamo il primo capo in assoluto per vederne poi la resa. Sono andata a lavorare in Romania perché Moncler ha lì la produzione della linea principale e di quella sciistica, Grenoble. A Bacau, in sette mesi, mi si è aperto un mondo: 40 file di macchinari da cui passava un capo: dalla cucitura fino al controllo qualità. Dopo Bacau, Moncler ci ha fatti rientrare nella sede milanese fino al Covid quando in azienda sono rimasti solo i senior, mentre il nostro contratto a tempo indeterminato non abbiamo fatto in tempo a firmarlo».

L’occasione di “Resto al Sud”

Ma non tutti i mali vengono per nuocere. «Sono rimasta un paio di anni a Milano fino a quando un giorno parlando al telefono con mio padre lui mi disse: “Ti ricordi quando non ti sentivi pronta ad avere un brand tutto tuo? Ho letto che Invitalia sta facendo dei bandi, tra cui Resto al Sud. Perché non provi?”.E così è stato. «Nel 2022 – dice Giulia con orgoglio – ho presentato il progetto e sono stata selezionata. Adesso ho un laboratorio sartoriale tutto mio. Un atelier di moda in cui parto dal disegno, sviluppo il cartamodello, scelgo il tessuto, lo taglio, lo cucio e lo sistemo fino quando il capo non è perfetto. Adoro che tutte le mie clienti possano avere un capo su misura».

Il ritorno alle origini

In via Enrico Pantano, un anno dopo, nasce “Tags”. «Il nome è l’unione delle lettere delle persone che mi hanno sempre sostenuta. La T di Tiziana che era mia zia e che alla mia età fece un percorso di moda. Era lei, infatti, che da piccola realizzava gli abitini per noi e per le Barbie. Nel 2013 è venuta a mancare e io l’ho preso come un segno: era questo quello che dovevo fare. La A di Antonio, mio padre. La G del mio nome e La S di Sabrina che è mia madre». Più che la necessità post Covid, è stata la voglia di scommettersi nella sua città a fare tornare Giulia a Catania. «Ho voluto aprire il qui mio atelier perché volevo riportare nella mia città tutto quello che in questi anni ho imparato al Nord. A Milano ho portato la Giulia che ero, con quelle poche nozioni sulla moda che da bambina avevo imparato da zia Tiziana. Invece la Giulia che è tornata in Sicilia, a Catania, ha portato innovazione, formazione, l’esperienza di avere vissuto all’estero che ti arricchisce da tutti i punti di vista. Adesso sono in grado di realizzare un capo dalla A alla Z, cosa di cui quando sono andata a studiare al Nord non ero capace». È così che la giovane imprenditrice in fuga al Nord, ma tornata alle origini mette a disposizione delle sue clienti il suo bagaglio di crescita professionale.

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