A Enna c’è la bottega delle “esperienze” per turisti

Di Carmen Greco / 17 Aprile 2023


Un po’ bottega un po’ cenacolo, un po’ centro di aggregazione, un po’ aula scolastica. Angelo Scalzo, restauratore del legno, da 35 anni racconta storie a chi le sa ascoltare. Non è difficile osservarlo al lavoro nella sua bottega di via Kamuth, nel centro storico di Enna, mentre “naviga” , come dice lui, all’interno di un mobile da riportare in vita. Gesti semplici ma simbolicamente potentissimi che spiegano – più di mille podcast e di mille foto su Instagram – quanto il valore della relazione, il saper fare, il guardarsi negli occhi, siano oggi più che mai l’unica vera ricchezza di cui disponiamo per tramandare mestieri preziosi a rischio d’estinzione.
Un racconto che già Scalzo ha battezzato come patrimonio Unesco dell’umanità, il titolo assegnato al Geopark Rocca di Cerere «che va onorato al 100% altrimenti non ha motivo di esistere». Nella bottega di Angelo Scalzo, ci sono delle regole precise. Da sempre.

Restauro ecosostenibile ed ecocompatibile


«Qui dentro tutto ciò che serve al restauro è ecosostenibile ed ecocompatibile al 90%. Uso prevalentemente prodotti e materiali naturali. Per esempio gli stucchi, fatti con le terre d’ombra, ottenuti da terre macinate e tritate che, sciolte con l’acqua, danno dei pigmenti. Io compro le essenze naturali e, dalle essenze, creo il colore da mettere in posa nelle opere da restaurare. Anche i mordenti, i colori che vengono usati sui legni, dalla noce, al mogano, al ciliegio, sono naturali. Usiamo le essenze della noce tostata e tritata. Con l’aggiunta di acqua calda viene fuori il pigmento che, passato sul mobile, dà la nuance del legno di noce. Anche la vernice che usiamo non è quella a spruzzo, poliuretanica, chimica. Usiamo le scaglie di gommalacca sciolte con alcol purissimo: ne viene fuori una miscela che viene usata con l’antica tecnica della verniciatura a tampone, si fanno tante passate fino a far diventare il legno lucente».


Lei non è figlio d’arte, com’è nata questa sua passione per il restauro?
«Dalla passione per il legno. Mia mamma, Emilia, mi ha sempre sostenuto in questo ed è stata la mia prima promotrice. È stata lei a iscrivermi all’Istituto d’arte senza che io sapessi cosa fosse, fra l’altro nella sezione “legno”».
Una persona cui si sente di dover dire grazie oltre a sua madre?
«Dopo 5 anni d’Istituto d’arte, al pomeriggio andavo da don Peppino, un bravissimo maestro tornitore. “Ragazzo, si guarda e ‘impara”, mi diceva solo questo, e non potevo toccare utensili. Dopo 5 anni mi buttò fuori dal suo laboratorio senza darmi alcuna spiegazione. Non capivo. Così andai a Firenze a mettere in pratica in un laboratorio di restauro, quello che quel vecchio mi diceva sempre, e lì risposi in maniera egregia. Dopo due anni e mezzo tornai ad Enna e inaugurai la bottega dove lavoro ancora oggi. Quel vecchio maestro venne a trovarmi e mi spiegò finalmente perché mi avesse allontanato. “Se non ti avessi cacciato, tu non avresti mai camminato da solo”. E aveva ragione».
Cos’è per lei questo mestiere?
«La grande capacità di poter stare in questo mondo chiamato “Arte” in cui la gente ci premia affidandoci i capolavori sui quali io ho la fortuna di mettere le mani».
Qual è il suo metodo?
«Qualsiasi opera che arriva qui viene analizzata, studiata, e restaurata per come era stata concepita all’epoca della realizzazione. L’analisi serve a capire cosa si può fare sull’oggetto affinché l’opera non venga troppo “cambiata”, bisogna mettere le mani giuste al posto giusto per evitare che il restauro sia troppo invasivo. Un mobile del Cinquecento o del Seicento non va trattato con le stesse tecniche di uno dei primi del Novecento…».

“Qui parlano le mani, questo colpisce i turisti”


Cosa sorprende di più i turisti che vengono a trovarla?
«La prevalenza di manualità li attrae tantissimo, qui parlano le mani. Una volta venne una coppia di francesi. Lei, una professoressa, mi guardava rapita mentre pitturavo una miniatura. Le misi il pennello il mano suggerendole di seguire il contorno di una foglia d’acanto e di “immergersi” dentro quella foglia. Lei prese il pennello e senza accorgersene la completò quasi tutta, io non l’ho disturbata. Quella miniatura è stata in mostra alla Torre di Federico per 8 mesi, e lei è tornata ad Enna tre volte per rifare un’esperienza di questo tipo. Questo è il turismo che dobbiamo esplorare. Il turista vuole qualcosa di diverso. Oggi la Cappella Sistina la puoi vedere anche in video bellissimi stando a casa, ma per conoscere Angelo Scalzo e vedere quello che fa devi venire in questa bottega».


Il pezzo più curioso che le hanno portato da restaurare?
«Non c’è. Qualsiasi cosa arrivi c’è l’obiettivo di riportare quell’oggetto al suo antico splendore, e la cosa bella è che quando s’inizia un lavoro, la sera si torna a casa a dormire pensando già a rimettere le mani su quell’opera la mattina dopo. Se hai la passione riesci a fare molte cose… Io nei mobili ci navigo dentro. Navigo nel Seicento, nel Settecento, nell’Ottocento… È come leggere un libro. Quando lo smonti tutto vedi delle vecchie firme, dei disegni, i bozzetti dell’artigiano che lo stava facendo sul fondo di un cassetto…».
Lei ha due figli, li immagina un giorno in questa bottega?
«Valentina ha 25 anni e studia grafica e illustrazione editoriale all’Isia di Urbino. Fino a quattro anni fa non aveva alcun interesse per la bottega di papà, oggi la vedo molto propensa, quando viene ad Enna a prendere qualche utensile, comincia a chiedermi come si fa l’intarsio e l’intaglio… Chissà. Riccardo ha 13 anni, ancora è piccolo».
Se lo ricorda il suo primo pezzo da restaurare?
«Certo che me lo ricordo, me li ricordo tutti, era una cassapanca. Se capita, vado a vedere anche come la persona “tratta” il pezzo restaurato, se è stato collocato nel posto giusto, se lo tiene bene. Noi siamo i “custodi” del bello che i nostri avi ci hanno lasciato e abbiamo il dovere di preservare queste opere d’arte sennò diventiamo mercenari, non siamo artigiani, o artisti».
La cassapanca è diventato così il suo mobile preferito…
«Ma no… Ogni mobile è una sfida, però la cassapanca siciliana era il mobile più importante della casa. Ci si conservava il corredo della dote, il grano, documenti importanti, ci dormivano perfino i bambini, e ogni famiglia faceva scolpire il piede in maniera diversa come elemento scaramantico. Io oggi realizzo delle minicassapanche con le miniature originali dell’epoca. Una l’ho donata anche al presidente Mattarella che mi ha telefonato per ringraziarmi. Il suo apprezzamento è stato un dono che ho condiviso con tutto il territorio».
c.greco@lasicilia.it

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Pubblicato da:
Ombretta Grasso