‘Zero fondi pubblici, ricerca italiana terza al mondo grazie alla moda’ ‘Buco di informazione e sessualità promiscua mix allarmante’

Di Redazione / 05 Aprile 2016

Milano, 5 apr. (AdnKronos Salute) – “L’Aids è di moda. Lo è davvero, nel senso che non è qualcosa che appartiene al passato, bensì qualcosa di attuale, presente e irrisolto. L’Hiv-Aids c’è, è fra noi ed è un problema che da medici ci preoccupa moltissimo”, perché oggi “fra i giovani eterosessuali dilaga la più completa ignoranza in materia”, a fronte di “comportamenti sessuali molto promiscui, legati più all’atto che all’affettività. Temiamo un ritorno dell’epidemia degli anni ’80, ma questa volta nella comunità etero, con effetti ancora più pesanti”.
Andrea Gori, direttore dell’Unità operativa di malattie infettive dell’ospedale San Gerardo di Monza, università degli Studi di Milano-Bicocca, membro del direttivo di Anlaids Lombardia, in un’intervista all’AdnKronos Salute difende la campagna shock scelta per l’edizione 2016 della mostra mercato Convivio (Milano, 8-12 giugno), ideata nel 1992 da Gianni Versace per raccogliere fondi a favore della lotta all’Aids. Grandi griffe della moda a prezzi scontati per sensibilizzare i cittadini, sostenere la ricerca e fermare la corsa del virus Hiv: 4 mila nuovi contagi l’anno in Italia, 120 mila persone sieropositive.
‘L’Aids è di moda’. Il messaggio che compare sotto i volti della direttrice di Vogue Italia Franca Sozzani, e della stilista Donatella Versace “è molto chiaro – ritiene Gori – e il fatto che abbia sollevato un dibattito significa che sta arrivando. L’Hiv-Aids è un problema su cui è bene discutere, è il fatto di non parlarne che rappresenta uno dei maggiori pericoli”, avverte l’infettivologo.
“Quando andiamo nelle scuole – racconta Gori – iniziamo sempre chiedendo ai ragazzi chi di loro ha mai parlato di Hiv-Aids con i genitori, e alla domanda si alzano una o due mani su un centinaio di studenti presenti in sala. E nessuna mano si leva quando chiediamo se ne hanno parlato con un esperto”. Un buco di informazione che nella società di oggi rischia di avere conseguenze devastanti, ammonisce lo specialista. Con un effetto domino ancora più grande rispetto a quello che ha sconvolto il mondo 35 anni fa: è del 5 giugno 1981 l’annuncio dei Cdc americani, di una misteriosa depressione del sistema immunitario diagnosticata in 5 giovani omosessuali. Il big bang della pandemia.
“Il virus dell’Aids si è diffuso nel mondo, rappresentando la più grossa epidemia a livello globale – ricorda Gori – poiché negli anni ’80 ci sono stati dei mutamenti sociali e comportamentali che hanno permesso e favorito una dimensione dei contagi tanto ampia”. E adesso la paura ritorna, perché “anche oggi siamo di fronte a nuovi mutamenti. Il comportamento sessuale dei giovani, in particolare della popolazione eterosessuale, sta cambiando velocissimamente e assume caratteristiche di promiscuità per noi medici preoccupanti, proprio perché ci fanno rivedere alcune delle abitudini che in passato hanno portato la comunità gay a essere così tanto colpita”.
Lo spettro riappare, ma questa volta minaccia il mondo etero. “Il 95% delle nuove diagnosi di Hiv – puntualizza l’infettivologo – oggi le abbiamo per via sessuale, ma mentre i giovani gay hanno delle informazioni, ci preoccupa moltissimo la più completa ignoranza della popolazione eterosessuale che non ha minimamente la percezione del rischio contagio”. Da qui il claim di Convivio: “L’Aids è di moda perché c’è e dobbiamo parlarne”, ribadisce Gori.
L’esperto replica alle critiche che corrono sui social: “Lo slogan della campagna non è affatto irrispettoso per i pazienti – assicura – Anzi, è un messaggio che va molto oltre lo stigma della malattia. Oggi la persona sieropositiva si nasconde, ha paura di essere in qualche modo scoperta, invece occorre dare un messaggio di normalità perché queste persone hanno il diritto di vivere una vita una normale, di lavorare, di avere una famiglia e figli sani. Le terapie lo consentono. Eppure, a fronte di un grosso miglioramento delle cure e delle condizioni di vita delle persone Hiv-positive, lo stigma della malattia e la negatività che l’accompagna in modo del tutto ingiustificato impedisce loro di vivere serenamente questa condizione”.
Ma il senso della campagna è anche un altro, prosegue Gori: “Si tratta di un giusto atto di riconoscenza al mondo della moda, un modo per sottolineare l’impegno e il ruolo che ha avuto in tutti questi anni. Senza di loro – fa notare lo specialista – non sarebbero state possibili moltissime delle attività sociali a sostegno delle persone sieropositive, e moltissime delle importanti ricerche e scoperte degli scienziati italiani in questo campo”.
“L’Italia – osserva Gori – è al terzo posto nel mondo come prestigio scientifico nella lotta all’Hiv-Aids, ma in questo momento nel nostro Paese non esiste un finanziamento specifico a questo ambito di ricerca. Non possiamo contare su un solo centesimo di fondi pubblici. Quello che è stato fatto – conclude – è stato possibile solo grazie alle raccolte fondi e ai soldi che soprattutto il mondo della moda è riuscito a reperire e a mettere a disposizione della scienza”.

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