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Il rapporto

Sanità: l”arte di arrangiarsi’ dei malati cronici fra tagli e burocrazia

Di Redazione |

Roma, 7 apr. (AdnKronos Salute) – Tagli ai servizi, burocrazia e difficoltà nel conciliare la patologia con il proprio lavoro. Alle prese con questi problemi, la vita dei malati cronici è tutta “un’arte di arrangiarsi”. E’ il quadro tracciato dal XIV Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità del Coordinamento nazionale delle associazioni dei malati cronici (Cnamc) di Cittadinanzattiva, presentato oggi a Roma. “I tagli al Ssn hanno colpito, e non poco, anche l’assistenza alle persone con patologie croniche e rare. La cronicità è la sfida del futuro per la sostenibilità del sistema sanitario, ma nei fatti sulle cronicità siamo in ritardo cronico”, dice Tonino Aceti, responsabile del Coordinamento nazionale delle associazioni dei malati cronici. Il 38,3% dei residenti in Italia ha almeno una fra le principali patologie croniche: ipertensione, artrite/artrosi, malattie allergiche, osteoporosi, bronchite cronica e asma bronchiale, diabete. Uno su cinque ha due o più malattie croniche, meno della metà (42%) si dichiara in buona salute. Oltre il 90% delle associazioni teme che tagli ai servizi e riduzione delle risorse economiche comportino un aggravamento delle proprie condizioni di salute. E ben il 76% mette in evidenza criticità legate a tagli e riduzioni: il 70% afferma che la riduzione del personale nei centri specialistici ha avuto effetti immediati sulle liste di attesa che, per quasi il 62%, si sono allungate; il 57% denuncia la chiusura di reparti, il 45,7% la riduzione delle ore o dei cicli di riabilitazione; il 37% ha visto ridurre le agevolazioni a sostegno dei malati e nella stessa percentuale la contrazione dell’assistenza domiciliare. Un’associazione su tre riscontra “la mancanza assoluta di servizi alternativi sul territorio: a farne le spese sono soprattutto i servizi socio-assistenziali, con una preoccupante ricaduta negativa sui servizi di trasporto per i disabili: quasi il 78% dei pazienti ritiene siano tagliati o ridimensionati. Così, di fronte a Centri di riferimento sempre più distanti dal proprio domicilio – denuncia un’associazione su due – o difficilmente raggiungibile (23,5%), il 47% deve sostenere costi privati più elevati per spostarsi verso strutture adeguate alla cura della propria patologia. Grandi lacune si registrano nell’assistenza domiciliare: più di una associazione su due (53%) la ritiene inadeguata. La trappola della burocrazia è sempre in agguato. Quasi il 72% delle associazioni riceve segnalazioni su tempi lunghi per ottenere una pratica, a causa di mancanza di informazione (56%), complessità delle procedure (45%), difficoltà nell’individuazione dell’ufficio competente (35%). In particolare, la burocrazia pesa nel percorso per il riconoscimento dell’invalidità civile e dell’handicap. E ancora, sottolinea il report, le misure di semplificazione introdotte dalla legge 114/2014 non sono sufficientemente applicate. Per le famiglie che assistono pazienti con patologia cronica, la prima difficoltà (per oltre il 93%) è conciliare tale assistenza con l’attività lavorativa: il 57,8% ha dovuto ridurre l’orario di lavoro, il 35,6% ha addirittura lasciato il lavoro, il 22% ha chiesto il prepensionamento. Il 42% delle famiglie ha optato per una badante. Le criticità sul lavoro non risparmiano nemmeno direttamente le persone con disabilità: il 62% ha difficoltà nel prendersi i permessi di cura, il 45,2% è costretto a nascondere la patologia, mentre il 38% rinuncia a lavorare. Infine, diagnosi incerte e troppo lunghe sono denunciate dal 73% delle associazioni di pazienti con malattie croniche, che hanno contribuito al Rapporto. Il primo ostacolo sembrano essere proprio i medici che, a causa delle complessità delle patologie, spesso ne sottovalutano o non comprendono i sintomi (86%). Il 47% rileva la difficoltà di trovare i centri di riferimento; il 36% si scontra con liste di attesa troppo lunghe per visite ed esami. Se a essere affetti da patologia cronica o rara sono i bambini, il 30,5% delle famiglie afferma di confrontarsi con un pediatra che sottovaluta o non comprende i sintomi. Una volta arrivata la diagnosi, un’associazione su quattro denuncia infine la mancanza o la lontananza del centro di riferimento per farsi prescrivere la terapia farmacologica o la limitazione della prescrizione da parte del medico di medicina generale.

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