Roma, 4 apr. (AdnKronos Salute) – Una settimana d’estate, a Roma, alle prese con la vita e la distrofia. La racconta ‘Che cos’è un Manrico’, il nuovo film documentario di Antonio Morabito, autore ‘Il venditore di medicine’, interpretato da Claudio Santamaria e Isabella Ferrari. Un lavoro che non vuole essere un film sulla distrofia o la disabilità, ma una commedia, un dramma, un road-movie surreale ma realissimo, con protagonista un distrofico. Morabito torna così sugli schermi ad aprile con un documentario che Istituto Luce ha riscoperto e voluto riproporre alle sale, in una versione nuova e rimontata rispetto a un lavoro di tre anni fa.
Manrico è un trentenne distrofico, che muove debolmente solo la testa e i pollici. Orfano di padre e madre, vive da solo con la nonna ormai incapace di provvedere alle sue esigenze, in totale dipendenza da operatori sociali e volontariato. Manrico è anche un ex giocatore della nazionale di hockey su sedia a rotelle, uno stonatissimo cantante, un assiduo frequentatore di social network. Manrico è sarcastico, incisivo, provocatorio, ironico e molto altro ancora. Nel film documentario sono narrate sette giornate normali per Manrico e il suo operatore, Stefano, trascorse nel cuore di Roma, d’estate, in sella ad una carrozzina a motore, a fare slalom tra le macchine, arrampicandosi per i marciapiedi ostruiti, facendo tappa nei bar di Borgo Pio, nei ristoranti cinesi, a piazza San Pietro, fra i suonatori di strada di Campo De’ Fiori, andando a vedere una partita della sua squadra di hockey per la prima volta da spettatore.
Ma Manrico non è solo questo. “Ho conosciuto Manrico qualche anno fa – racconta Morabito – Ha una situazione familiare ai limiti della verosimiglianza. Nella sceneggiatura di un film a soggetto non sarebbe credibile, qualcuno la definirebbe sicuramente eccessiva, io per primo. Invece è solo realtà. Credo che il tema della disabilità sia solitamente affrontato secondo una serie di cliché, superando raramente un’idea superficiale che da sempre accompagna l’immagine del disabile nella mente dei cosiddetti sani. Quest’idea è costruita intorno ad una concezione del disabile come vittima da compatire, eventualmente da aiutare, sicuramente con le migliori intenzioni, ma tenendo ben presente la diversità che rappresenta, quasi fosse costituito da una materia diversa dalla nostra”.
“Ciò è frutto della paura, causata a sua volta dall’ignoranza. E con le paure non si va lontano. Nell’arco di questi mesi – continua – ho visto quanto Manrico sia fatto della stessa materia di cui sono fatto io. Per ogni elemento di diversità dovuto alla malattia, ce ne sono mille di affini dovuti all’esistenza. Da tempo Manrico mi propone di fare un film basato sulla sua vita; ho pensato che un buon modo fosse quello di mostrare direttamente lui, senza facili pietismi o generiche accuse al sistema, ma limitandosi a far vedere semplicemente quella che per lui è la normalità”. Il viaggio dei due amici nella città si snoda tra strade piene di buche, gelaterie, ascensori complicati, partite di hockey, canzoni, fantasie e ricordi sessuali, traffico, sole, nonne irrefrenabili, social network, battute a raffica, confessioni fondamentali o eventuali. Come due metropolitani Don Chisciotte e Sancho Panza, Manrico e il suo scudiero ci mostrano le cose di tutti i giorni come delle inaspettate avventure. Con una crudezza armata di candore e sorriso, ci mostrano il quotidiano come non lo vediamo.