Ricerca: studio Cnr, ecco perché chi dorme poco ingrassa

Di Redazione / 15 Aprile 2016

Roma, 15 apr. (AdnKronos Salute) – Contro i chili di troppo, meglio posare la forchetta e soprattutto dormirci su. L’idea che l’appetito vien mangiando e chi dorme non piglia peso non è più, infatti, solo un luogo comune. Il nostro cervello mette in atto una precisa strategia affinché questo accada, mediante un meccanismo che è stato ora svelato da una ricerca scientifica tutta italiana, targata Consiglio nazionale delle ricerche. Lo studio, guidato da Luigia Cristino, ricercatrice dell’Istituto di chimica biomolecolare del Cnr di Pozzuoli, in collaborazione con Ceinge, Istituto di biochimica delle proteine del Cnr, Università Federico II di Napoli e Università Carlo Bo di Urbino, è stato pubblicato su ‘Pnas’.
Il lavoro prende spunto da una proprietà fondamentale del cervello: la plasticità sinaptica, ovvero l’abilità dei circuiti neurali di essere rimodellati in funzione degli stimoli che il cervello riceve. Questa abilità è alla base dell’apprendimento. “Quando la fame ci assale, il livello circolante dell’ormone leptina (il freno della fame) cala, mentre sale significativamente quello dell’endocannabinoide 2-AG (l’acceleratore della fame che normalmente è frenato dalla stessa leptina) nell’ipotalamo”, ricorda Vincenzo Di Marzo, direttore dell’Istituto di chimica biomolecolare del Cnr di Pozzuoli e co-autore dello studio.
“Si tratta di una piccola regione del cervello che regola molte funzioni neuroendocrine, tra cui appetito e sazietà, e riorganizza i propri circuiti per rispondere alla richiesta di cibo e produrre, tra l’altro, maggiori quantità di una piccola molecola, un peptide di appena 33 amminoacidi chiamato orexina-A. Dal punto di vista evolutivo l’orexina-A, dal greco orexis, che vuol dire appetito, promuove la veglia e il comportamento attentivo-cognitivo di allerta, garantendo la sopravvivenza dell’animale durante la caccia del cibo e consentendone la fuga in caso di pericolo, ad esempio al sopraggiungere di un predatore”.
Gli endocannabinoidi “sono piccole ‘molecole segnale’, che utilizzano gli stessi recettori di membrana a cui si lega anche il principale costituente psicotropo della cannabis, il Thc (Δ9-tetraidrocannabinolo). Che gli endocannabinoidi stimolassero l’appetito è noto da tempo, come ampiamente dimostrato dalle nostre ricerche – spiega Cristino – La novità di questa ricerca è stata scoprire che l’orexina-A è un potente induttore della sintesi del 2-AG che, a sua volta, attiva il recettore CB1 del sistema endocannabinoide nei neuroni Pomc dell’ipotalamo, spegnendo così la produzione di a-MSH, un altro ormone che blocca la fame”.
Un meccanismo complesso, che serve ad assicurare un corretto apporto di energia durante la veglia negli individui normopeso, ma diventa difettoso durante l’obesità a causa del malfunzionamento della leptina. “Ciò innesca il circolo vizioso dell’aumento di appetito e del peso corporeo, che porta al punto di non ritorno a cui il cervello non riesce a spegnere più il senso di fame”. I ricercatori ipotizzano che tale meccanismo possa verificarsi anche nell’uomo, dal momento che hanno riscontrato nel sangue di maschi adulti obesi (Bmi>36, età media 25-32 anni) una correlazione inversa tra i livelli circolanti di orexina-A e quelli di a-Msh, correlazione abbinata alla severa alterazione dei valori delle transaminasi che si accompagna a steatosi epatica.
I risultati di questo studio potrebbero spiegare anche la ben nota associazione tra privazione prolungata di sonno e obesità. “In questo scenario, lo studio individua nei recettori dell’orexina-A ottimi bersagli farmacologici da bloccare per combattere l’obesità e le sue comorbidità nell’epoca in cui la storia evolutiva dell’uomo ci ha portati dal bisogno di mangiare per sopravvivere a quello di digiunare per vivere in forma”, conclude Di Marzo.

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