Ricerca: papà toro Galileo in campo per salvare rinoceronte bianco

Di Redazione / 04 Maggio 2016

Milano, 4 mag. (AdnKronos Salute) – E’ noto in tutto il mondo come papà del primo toro clonato Galileo e della prima cavalla ‘fotocopia’ Prometea. E ora Cesare Galli, fondatore di Avantea, laboratorio di tecnologie avanzate per la riproduzione animale e la ricerca biotecnologica con sede a Cremona, affronterà insieme a una task force internazionale di scienziati una nuova sfida: una corsa contro il tempo per salvare il rinoceronte bianco del Nord dall’imminente estinzione, garantendogli una discendenza che, senza l’intervento dell’uomo e della provetta, non potrà arrivare.
Gli esperti hanno davanti un percorso pieno di incognite e ostacoli e in questo momento si stanno esplorando diverse vie: tecniche riproduttive avanzate, creazione di gameti in vitro partendo da cellule della cute riprogrammate in staminali, e non si esclude neanche la clonazione. La road map che gli esperti hanno stilato per arrivare alla meta e il resoconto di un vertice che si è tenuto a Vienna, in Austria, a dicembre 2015 sono riportati sulla rivista internazionale ‘Zoo Biology’. Gli ultimi tre esemplari di rinoceronte bianco del Nord si trovano nella riserva naturale Ol Pejeta in Kenya, dove sono stati trasportati dallo Zoo Dvur Kralove, Repubblica Ceca. Ed è proprio lì che volerà Galli a ottobre per tentare di recuperare ovociti dalle ultime due femmine rimaste.
“Sarà però difficile – ammette lo scienziato italiano all’AdnKronos Salute – ottenere un numero di ovociti consistente, considerato anche che una delle due è molto avanti con l’età. Una delle linee di ricerca su cui stiamo lavorando è allora quella di utilizzare il rinoceronte bianco del Sud, che vanta un numero di esemplari più alto, per verificare la funzionalità delle tecniche di riproduzione assistita che si usano oggi in animali come il cavallo, la specie che secondo gli esperti è più prossima al rinoceronte. E noi siamo leader in questo settore. Per questo siamo intervenuti per validare strategie che prevedono il ricorso a ovociti delle femmine di rinoceronte bianco meridionale che si trovano in alcuni zoo in Europa”. Il terreno su cui ci si muove “è inesplorato: nessuno è mai riuscito a ottenere un embrione in vitro” per questa specie, puntualizza Galli.
Il destino del rinoceronte bianco del Nord sembra dunque ormai segnato e quella che dovranno affrontare gli esperti appare davvero come una ‘mission impossible’. Serviranno “nuove tecnologie, nuovi approcci e capacità di problem-solving, per scongiurare l’estinzione di questo animale”, spiega Joseph Saragusty, andrologo dal Leibniz Institute for Zoo and Wildlife Research (Izw) di Berlino. Il dibattito in corso nel mondo scientifico tocca la genetica e la biologia cellulare, l’etica scientifica e l’importanza del pensiero strategico a lungo termine. Un elemento chiave è stata la necessità di mantenere banche genetiche di tessuti congelati, spermatozoi e ovociti da utilizzare come materiale di base per questa lotta contro l’estinzione.
“Risorse genetiche crioconservate” del rinoceronte bianco del Nord “sono state messe da parte a San Diego e in Europa”, dice Oliver Ryder, genetista del San Diego Zoo Global. E da qui si parte per esplorare una seconda strada: “Generare dei gameti in vitro, partendo dalle cellule di diversi esemplari morti, conservate negli anni a Berlino e a San Diego – riferisce Galli – Su questo sono al lavoro ricercatori tedeschi e americani che stanno tentando di riprogrammare le cellule somatiche in staminali pluripotenti indotte (iPS)”, quelle che sono valse il Nobel al medico giapponese Shinya Yamanaka. Sarà proprio un gruppo di ricercatori giapponesi, che ha già derivato dei gameti di topo dalle iPS, a tentare l’impresa con il rinoceronte.
“La loro idea è di fare gameti in vitro da più soggetti” e poi entrerebbe nuovamente in gioco il team di Galli: “Con le nostre tecniche – spiega – dovremmo ricavare degli embrioni per poi impiantarli su femmine di rinoceronte bianco del Sud e anche questo non è mai stato fatto prima. I rinoceronti sono animali di dimensioni notevoli, con la cute inscalfibile, e anche la via vaginale per il trapianto dell’embrione è da verificare”. Ci sarebbe anche un’altra possibilità, più complicata soprattutto da un punto di vista etico e da verificare nella sua fattibilità: “Usare la femmina del cavallo come madre surrogata, che sarebbe più gestibile vista la lunga esperienza che già abbiamo alle spalle”.
Ma la difficoltà tecnica non è da poco. “Intanto c’è una differenza nei tempi di gestazione fra le due specie: 11 mesi per il cavallo e 16 per il rinoceronte – osserva Galli – C’è poi il problema della placenta che potrebbe essere diversa e dunque sarebbe necessario manipolare l’embrione, chimerizzarlo. Si partirebbe dall’embrione del cavallo al quale verrebbe tolta la parte che forma il feto e sostituita con quella del rinoceronte”.
Anche la clonazione è “una via che viene contemplata, ma bisogna acquisire tutta una serie di informazioni che ancora mancano. E gli esperti che si occupano di conservazione di animali non sono pienamente favorevoli. Il loro obiettivo è comunque ottenere una popolazione con una base genetica più variata. Sarebbe possibile clonando una decina di animali, ma anche qui servono ovociti: o li facciamo in vitro oppure non li abbiamo, a meno a che si riesca a clonare attraverso altre specie”. Gli ovociti, continua, “potrebbero venire dal rinoceronte bianco del Sud e con questo clonare il ‘cugino’ del Nord, ma si dovrebbero prelevare, maturarli, vedere come crescono e in generale l’efficienza della clonazione non è ancora molto alta. Servirebbero più tentativi per avere successo”.
La ricerca prosegue, per dare una speranza di futuro alla specie. Dall’idea alla road map per il ‘salvataggio genetico’ “la strada è stata lunga e ora dobbiamo dimostrare che questa nuova strategia può fare la differenza”, sottolinea Thomas Hildebrandt (Izw). “Siamo ottimisti e speriamo che la ricerca dia la possibilità ai tre rinoceronti bianchi settentrionali di Ol Pejeta di vedere un giorno prole della loro stessa specie”, conclude Jan Stejskal, direttore dei progetti internazionali dello Zoo Dvur Kralove.

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