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Psicologia: nativi digitali pensano in modo diverso

Di Redazione |

Roma, 4 apr. (AdnKronos Salute) – I ‘nativi digitali’ pensano diversamente, rispetto alle generazioni precedenti. Sanno più cose, ma hanno anche grosse lacune e la loro modalità di ragionare li rende più liberi ma anche più fragili rispetto alle dipendenze. Il tema è al centro dell’appuntamento per il terzo incontro del ciclo Frontiere della psicoanalisi (settima edizione), organizzato dal Centro Milanese di Psicoanalisi ‘Cesare Musatti’ e ospitate dalla Casa della Cultura di via Borgogna di Milano, ore 21. Laura Ambrosiano, psicoanalista della Società psicoanalitica Italiana, dialoga con il giornalista del Sole24Ore Luca De Biase su come il diffondersi dell’uso di internet, app e community abbia modificato il modo di pensare dei nativi digitali. “Le evidenze delle neuroscienze mostrano come siano sollecitate aree cerebrali diverse”, spiega Ambrosiano. “Il funzionamento della mente dei ‘nativi’ è diverso rispetto agli ‘immigrati digitali’, come viene definito chi appartiene alle generazioni precedenti. In futuro – continua – la loro modalità di pensiero costantemente iperconnessa potrebbe portare a modificazioni importanti. Ora tuttavia possiamo provare a tracciare un identikit del nativo, sulla base degli studi disponibili”. Per esempio, c’è correlazione tra le ore di esposizione alle nuove tecnologie e l’aumento del quoziente intellettivo: significativamente, a troppe ore di esposizione non corrisponde alcun aumento. I nativi, inoltre, mostrano di possedere un sapere enciclopedico, più vasto degli immigrati, eppure meno sistematico, e a volte con gravi lacune: “Imparano ciò che è utile a loro, per condividerlo subito con il gruppo, perché è nel gruppo che si risolve spesso la loro ricerca di soddisfazione”. Infine, la velocità. “In questo continuo condividere, sembra che non vi sia tempo sufficiente alla strutturazione della tensione etica: il modello etico si fonda su quello prevalente nel gruppo, quello personale resta in secondo piano. Il concetto di privacy, come lo intendiamo noi, per loro non esiste”. “La nostra esperienza clinica con gli adolescenti – aggiunge Giuseppe Pellizzari, coordinatore delle Frontiere per il Cmp – ci porta a osservare come il pensiero dei ragazzi tenda ad abbandonare strutture logico-deduttive e strutture etiche strettamente sorvegliate (superegoiche), per prendere altre strade, in cui prevalgono modalità eccitatorie. Questo può renderli più liberi, ma anche più vulnerabili, per esempio alle dipendenze”.

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