Milano, 27 ago. (AdnKronos Salute) – Tracce di marijuana nel latte materno fino a 6 giorni dopo il suo utilizzo da parte della neomamma. E’ la scoperta di un team di scienziati dell’University of California San Diego che ha esaminato 54 campioni prelevati da 50 donne che hanno fatto un uso quotidiano, settimanale o sporadico di cannabis. Nello studio pubblicato su ‘Pediatrics’, i ricercatori hanno rilevato la presenza del principale componente psicoattivo della marijuana, il Thc (tetraidrocannabinolo), nel 63% dei campioni di latte materno, fino appunto a 6 giorni dopo l’ultimo utilizzo segnalato dalla mamma. L’inalazione era il principale metodo di assunzione fra le partecipanti alla ricerca.
Gli esperti hanno deciso di approfondire questo aspetto perché, spiegano, con la legalizzazione della marijuana in diversi Stati Usa è stato documentato un aumento del suo utilizzo sia a scopo medico che ricreativo anche nelle donne in gravidanza e in fase di allattamento del bebè. Sebbene le organizzazioni nazionali come l’American Academy of Pediatrics raccomandino che le madri non ne facciano uso nella fase in cui sono alle prese con le poppate, c’è stata una carenza di dati specifici a sostegno delle preoccupazioni su salute e sviluppo neurologico dei bambini a seguito dell’esposizione al Thc o ad altri componenti della marijuana attraverso il latte materno.
Gli scienziati dell’University of California San Diego School of Medicine hanno voluto dunque capire meglio quale fosse la capacità di questi composti di entrare nel latte di mamma e quanto lungo fosse il tempo di permanenza.
“I pediatri sono spesso messi in una situazione difficile quando una madre che allatta chiede informazioni sulla sicurezza dell’uso di marijuana – evidenzia Christina Chambers, ricercatrice principale dello studio, docente del Dipartimento di Pediatria dell’Uc San Diego School of Medicine e direttrice della ricerca clinica al Rady Children’s Hospital-San Diego – Non abbiamo infatti dati forti pubblicati per supportare un’avvertenza contro l’uso della marijuana durante l’allattamento e, se le donne sentono di dover scegliere, corriamo il rischio che decidano di interrompere l’allattamento al seno, attività che sappiamo essere di grande beneficio per mamma e bambino”. Com’è noto, l’Organizzazione mondiale della sanità raccomanda di nutrire i bebè esclusivamente con latte materno fino a 6 mesi.
I cannabinoidi, spiegano gli autori dello studio, si legano alle molecole di grasso che sono abbondanti nel latte materno. Ed è proprio per questo che si è ipotizzato che tali composti potessero finire nel latte materno, sollevando preoccupazioni circa i loro potenziali effetti sui bambini allattati. “Noi – riferisce Chambers – abbiamo scoperto che la quantità di Thc che il bebè potrebbe potenzialmente ingerire dal latte materno è relativamente bassa, ma non sappiamo ancora abbastanza per dire se esista o meno una preoccupazione per il piccolo a qualsiasi dose, o se c’è un livello di dosaggio sicuro”. Inoltre gli ingredienti dei prodotti a base di marijuana oggi disponibili, aggiunge, “sono ritenuti molto più potenti dei prodotti disponibili 20 o 30 anni fa”.
I risultati dello studio sono un trampolino di lancio per la ricerca futura, conclude l’esperta evidenziando la necessità di indagare ulteriormente per rispondere ad alcune domande cruciali ancora aperte: “Per esempio – elenca la scienziata – ci sono differenze negli effetti della marijuana nel latte materno per un bimbo di 2 mesi o uno di 12? O, ancora, è diverso se la neomamma fuma o ingerisce cannabis? Abbiamo bisogno di risposte”.