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Nascita da utero trapiantato, tutto il percorso seguito (e partito da lontano) per l’arrivo di Alessandra

Il prof. Paolo Scollo,  ordinario di Ginecologia e Ostetricia all’Università Kore di Enna e direttore dei dipartimento Materno Infantile dell’Azienda ospedaliera Cannizzaro di Catania, racconta l'emozione e l'iter seguito per un parto considerato straordinario

Di Franca Antoci |

«Nella mia vita non so quanti parti e quanti cesarei ho fatto però stavolta le mie mani tremavano». Il professore Paolo Scollo, ordinario di Ginecologia e Ostetricia all’Università Kore di Enna e direttore dei dipartimento Materno Infantile dell’Azienda ospedaliera Cannizzaro di Catania non nasconde l’emozione provata il 30 agosto scorso nel praticare il taglio cesareo da cui è nata Alessandra. La neonata è il frutto di un trapianto dell’utero, il primo in Italia (il sesto nel mondo) espiantato a una donna deceduta, effettuato il 20 agosto del 2020, proprio dal professore Scollo e dal professore Pierfrancesco Veroux, primario di Chirurgia vascolare del Policlinico di Catania affiancati da un’équipe di professionisti. L’evento è uno di quelli la cui portata dirompente, come sempre accade per le grandi scoperte, sarà probabilmente più comprensibile ai posteri che ai contemporanei. 

Prof. Scollo perché due chirurghi per un trapianto? «Il chirurgo trapiantologo non ha le competenze ginecologiche e viceversa e in questo caso sono indispensabili le competenze dell’uno e dell’altro sia nella fase di espianto dell’organo che nell’impianto. Interventi di alta chirurgia che richiedono massima attenzione, professionalità e scrupolo».

Alessandra è nata dopo una gestazione di 34 settimane. Non presenta patologie ma, come tutti i prematuri, respira assistita in un’incubatrice e ha bisogno di 30 giorni circa per uscire dalla prognosi riservata. Albina, la mamma, sta bene. Il papà è incredulo e felice: «E’ un miracolo» dice commosso nell’annunciare che la piccola porterà il nome della donatrice. 

Un miracolo della scienza che parte da lontano e segue strade piuttosto tortuose. «L’iter del nostro programma è stato avviato nel 2016. Il protocollo è stato approvato due anni dopo e soltanto allora siamo passati alla fase organizzativa. Dal 2019 abbiamo arruolato le pazienti richiedenti che nel mondo si dividono in due tipologie di donne: un 85% senza utero dalla nascita e un 15% che ha subito l’asportazione dell’utero per motivi diversi».

Le donne candidate al trapianto di utero donato post mortem devono avere un’età compresa tra i 18 e i 40 anni, senza figli e con buona funzionalità delle ovaie. E’ inoltre necessaria l’assenza di patologie tumorali presenti o ginecologiche pregresse, di alterazioni anatomiche congenite uterine complesse, incompatibili con la funzione dell’organo, o affette da sindrome di Asherman (aderenze che impediscono l’annidamento dell’embrione). Non devono essere state sottoposte ad asportazione dell’utero per patologia benigna o in occasione del parto ed essere in possesso dei requisiti legali di accesso alla procreazione medicalmente assistita. Inoltre devono aver superato test psicologici senza evidenza di alterazioni che potrebbero compromettere il loro equilibrio psicofisico.

Superata l’ammissione, quali sono gli step successivi? «Una volta che la paziente viene immessa in lista d’attesa seguirà una terapia che prepara la coppia ad affrontare la gravidanza con l’assistenza di uno psicologo. La fase successiva prevede il prelievo e il congelamento degli ovociti pronti per il trapianto e per la fecondazione assistita. A questo punto si aspetta la donatrice che in Italia deve essere necessariamente defunta perché non è ammessa la donazione dell’utero in vita».

Un limite che attualmente riduce la lista di attesa attuale a cinque aspiranti mamme e costringe all’eliminazione di altre 11 richiedenti perché le donatrici sono poche. Cultura e informazioni carenti rendono la donazione degli organi una pratica ancora poco diffusa. 

Trovata la donatrice, come si attiva il protocollo? «Quando c’è una potenziale donatrice, il Centro nazionale trapianti invia la documentazione al Centro regionale per avviare la valutazione medica e ginecologica dell’utero da espiantare e la compatibilità con la paziente in lista d’attesa, elemento questo che determina a chi verrà impiantato l’organo (e che pertanto non può seguire un ordine cronologico) entro dieci ore dal decesso della donatrice».  Ogni passo a questo punto diventa un lavoro sinergico che non consente errori né perdite di tempo. Nel caso di Albina, la donatrice è una donna di 37 anni stroncata da un arresto cardiaco improvviso a Firenze. Il percorso che ha portato alla disponibilità dell’utero e al suo espianto, inizia alle 2 del 21 agosto 2020.

Cosa succede dal momento dell’espianto? «La paziente selezionata viene portata al Policlinico di Catania e preparata all’intervento nella sala operatoria dove siamo io, il professore Veroux e le nostre équipe. Dopo l’impianto, la paziente affronta un decorso di una decina di giorni sotto stretto controllo medico e con la somministrazione di immunosoppressori per evitare il rigetto dell’organo. A un mese dal trapianto avviene la mestruazione, segno che l’utero e l’interno apparato sono perfettamente funzionanti». I sei mesi successivi vedono la paziente sottoposta a controlli trapiantologici e ginecologici e alla biopsia del collo dell’utero.

Quando si tenta la gravidanza? «A 8, 9 mesi dal trapianto si tenta la fecondazione omologa con gli ovociti congelati e gli spermatozoi del marito. Con Albina il primo tentativo è fallito, il secondo è andato benissimo». 

Comincia quindi l’attesa che nel contesto non riguarda soltanto la coppia. «Direi di no. Siamo tutti coinvolti e dopo aver fatto quanto potevamo, abbiamo incrociato le dita e chiesto aiuto a Dio. Si tratta comunque di una gravidanza esposta a rischi e Albina è la prima donna in Italia con utero trapiantato da una deceduta, ad arrivare al parto. Finora esistevano due tipi di trapianti: quoad vitam che danno la vita o quoad valetudinem che migliorano la qualità della vita. Oggi possiamo aggiungere quoad ad vitam per la vita».

E’ possibile affrontare una seconda gravidanza? «Sì, la mamma può decidere di tenere l’utero con la costante somministrazione di immunosoppressori oppure affrontare l’espianto. Albina ha avuto una gravidanza perfetta e quando ho inciso l’utero l’ho trovato in condizioni tali da sfidare chiunque a capire che si trattava di un organo trapiantato». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA