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Le donne siciliane si mobilitano:

Le donne siciliane si mobilitano: «No alla chiusura dei punti nascita»

Pronte forme di protesta eclatanti delle future mamme

Di Francesco Carbone |

ROMA – Nascere in un piccolo paese non si può più. Ed è ancora più complicato se si vive in Sicilia. Molto peggio se si abita su una piccola isola, Lipari ad esempio. Non ci sono più i “punti nascita” negli ospedali. E questo costringe molte future mamme ad una personale e spesso proibitiva “Odissea” a volte fatta addirittura di costosissimi viaggi in elicottero (6.000 euro il costo a cario del Servizio sanitario per il trasferimento da Lipari all’ospedale di Messina, sempre ad esempio). È l’effetto combinato della decisione di chiudere le maternità sotto i 500 parti l’anno perchè ritenute “pericolose” per le mamme e i nascituri in forza di quanto comunicato dall’OMS, insieme a una continuità territoriale “solo” prevista costituzionalmente ma ad oggi per molte zone dell’Isola solo su Carta. In realtà la scelta di chiudere i battenti alle piccole maternità, sostennero i molti detrattori di questa scelta, fu una decisione dettata soprattutto dalla necessità di risparmiare (erano gli anni della spending review).     Esasperate da storie personali a volte drammatiche (parti durante i trasferimenti, costi di permanenza “altrove” altissimi) e supportate delle comunità locali alcune di queste donne siciliane si stanno organizzando in una sorta di “resistenza” a questa desertificazione sanitaria, ipotizzando di ricorrere anche a forme più eclatanti di protesta. Nel frattempo comitati locali raccolgono le firme e si cerca di far rete sui social.     «Mentre i punti nascita di Licata e Bronte potranno continuare le attività pur non raggiungendo al momento i 500 parti l’anno – spiega Maruzza Battaglia di Rifondazione a Palermo – nulla da fare invece per Petralia, Santo Stefano Quisquina, Lipari e Mussomeli che dovranno chiudere i battenti. Si conclude così un lungo percorso iniziato nel 2010, quando il Ministero della Salute, il Governo, le Regioni e le Province autonome siglarono un accordo per migliorare la sicurezza nelle nascite stabilendo la chiusura dei reparti più piccoli ritenuti insicuri».     Da Petralia Sottana Eliana Polizzi spiega: «L’anno scorso a Petralia ci sono stati 124 parti e 300 (circa) interruzioni di gravidanza. Nessuno ha avuto problemi dopo la chiusura: le gestanti sono state trasferite direttamente a Termini senza complicazioni per le madri né per i bambini. Ma mi chiedo: e se fosse arrivata una partoriente con una situazione complicata e a rischio? E se, oltre la strada già lunga e dissestata, quella donna avesse dovuto anche affrontare ghiaccio e neve? L’elicottero funziona, ma chiaramente non potrebbe partire con condizioni meteo avverse. Il disagio è davvero enorme e i rischi sono tanti».     Da Mussomeli, Rosalinda Amico spiega che: «Si iniziò il 13 gennaio 2014 con l’occupazione dell’aula consiliare e l’istituzione di un comitato “Giù le mani dall’Ospedale”, creazione del gruppo Facebook e relativa pagina che esiste tutt’ora. Si è organizzata inoltre una raccolta firme a cui hanno partecipato non solo i 17 comuni interessati ma anche coloro che risiedono all’estero e in altre città con il raggiungimento di 15500 firme circa».     A Lipari da giorni si raccolgono le firme: «Quello che Lipari e le Eolie chiedono – spiega Sara Basile, una delle promotrici del Comitato “Nasciamo a Lipari” – è adeguare una struttura esistente alle esigenze di una maggiore sicurezza, non chiuderla. Basterebbe fare turnare il personale sanitario, potenziare il reparto di Rianimazione, dotarlo di una culla per terapie intensive, dotare Lipari di un centro trasfusionale vero e proprio». In questa vicenda – prosegue – «vanno considerati diversi aspetti: in primo luogo, il disagio delle partorienti, costrette ad affrontare la solitudine (mariti o compagni che lavorano spesso non possono garantire la loro presenza), la lontananza dalle famiglie (per le stesse ragioni), e i costi di un soggiorno forzato che si può prolungare per settimane, a volte anche mesi».     Infine in polemica con le scelte del ministero della Salute, Basile spiega: «Il ministro Lorenzin spieghi perché in alcuni casi (Licata, Bronte, Pantelleria in Sicilia, ma anche Ischia, Portoferraio all’Elba tra le isole minori) questa soglia (minimo 500 parti l’anno secondo l’indicazioni dell’Oms) non è stata ritenuta necessaria, e a questi reparti è stata concessa la deroga».

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