Salute
Divieto di respirazione “bocca a bocca” in caso di annegamento? È polemica
MILANO – Respirazione bocca a bocca “vietata” se qualcuno sta annegando? “Assurdo”. Il virologo Guido Silvestri, italiano docente negli Usa alla Emory University di Atlanta, commenta così le indicazioni di Inail e Iss contro il rischio infettivo da nuovo coronavirus sulle spiagge. «Un amico – spiega lo scienziato su Facebook, in un intervento ripreso anche dal sito ‘Medical Facts’ del collega Roberto Burioni – mi ha passato una serie di articoli sulle nuove “regole” per l’apertura dell’Italia. In cui leggo questa perla: “No alla respirazione bocca a bocca. In caso di emergenza affogamento i soccorritori dovranno praticare le compressioni sul torace, ma non la ventilazione”. Spero che non sia vero – commenta Silvestri – perché se lo fosse vuol dire che qualcuno ha davvero perso il senso delle proporzioni».
In un passaggio del «Documento tecnico sull’analisi di rischio e le misure di contenimento del contagio da Sars-CoV-2 nelle attività ricreative di balneazione e in spiaggia», redatto dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e dall’Istituto superiore di sanità, in riferimento all’«attività di salvamento in mare svolta dal “bagnino” o comunque di primo soccorso nei confronti dell’utenza» si legge infatti che: «In attesa di nuove evidenze scientifiche, si raccomanda di valutare il respiro soltanto guardando il torace della vittima alla ricerca di attività respiratoria normale, ma senza avvicinare il proprio volto a quello della vittima e di eseguire le sole compressioni (senza ventilazioni) con le modalità riportate nelle linee guida» degli organismi scientifici competenti. In particolare, si citano l’Italian Resuscitation Council (Irc) e l’European Resuscitation Council (Erc).
«Se la notizia” arrivata tramite i media al virologo trasferitosi Oltreoceano “fosse vera – ripete incredulo Silvestri – chi ha scritto questa “regola” sosterrebbe che, di fronte a un annegamento, o a un arresto cardio-respiratorio, si dovrebbe lasciar morire una persona (facendo una rianimazione cardiopolmonare a metà), per evitare che un altro, il soccorritore, corra il rischio più o meno remoto di infettarsi con un virus che ha il 2-3% di mortalità (e anche molto meno se si presume, come logico, che il soccorritore sia una persona relativamente giovane e sana)».
«Assurdo! – afferma Silvestri – Peraltro, il 50% di quello che leggo in questo articolo – sempre ammesso che sia vero – è basato su evidenza scientifica minima, se non assente del tutto».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA