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Coronavirus: l’infermiera dallo slum di Nairobi, ‘paura, qui sarebbe catastrofe’

Di Redazione |

Roma, 10 apr. (Adnkronos Salute) – “Sono spaventata, ma anche fiduciosa”. Lydia Muthoni Kuria è un’infermiera di Nairobi. Lavora a Kibera, uno degli “slum più grandi dell’Africa subsahariana”, quelle baraccopoli densamente popolate dove il degrado raggiunge livelli estremi. Sta per festeggiare i 40 anni. Non ha mai fatto un test per la Covid-19, ha paura, ma non perde l’ottimismo. Teme che la pandemia di coronavirus possa travolgere il Kenya e il suo “fragile sistema sanitario”, sebbene “si stia facendo di tutto per contenere la trasmissione”, e per questo “spera che tutti gli sforzi per l’attuazione delle misure di prevenzione, nonostante le gradi difficoltà” evitino al Kenya le sorti dell’Italia.

Lydia parla con l’AdnKronos dalla sua casa di Nairobi. Dal 2007 lavora per Amref Health Africa e dal 2007 lavora a Kibera. Qui la vita è una sfida quotidiana, tra le malattie più diffuse – spiega – “le infezioni respiratorie delle vie aeree superiori, la diarrea e le malattie dermatologiche”. “La sfida è ancora più grande a causa del coronavirus – dice – Per fortuna per ora non so di casi di Covid-19 a Kibera. Tre settimane fa c’è stato un caso sospetto, che è poi risultato negativo”. Ma qui ‘state a casa non funziona’. “Gli spazi sono fortemente congestionati – racconta – Per molti non è proprio possibile stare a casa. Molti non hanno un lavoro”.

Lydia è spaventata anche perché “nelle ultime settimane la sfida ‘numero uno’ sono diventati i dispositivi di protezione individuale per gli operatori sanitari a causa di una carenza globale di disponibilità”. “Abbiamo le mascherine, ma – dice – non abbastanza come vorremmo. Nei prossimi giorni dovrebbero arrivarne di più. Da infermiera temo che se non dovessimo riuscire a interrompere la trasmissione e dovessimo arrivare a numeri più alti diventerebbe un problema enorme per il nostro fragile sistema sanitario”.

Per questo, soprattutto negli insediamenti informali, è cruciale sensibilizzare la popolazione “al distanziamento fisico e sociale” e – dice Lydia – “cerchiamo di continuare a sostenere la popolazione anche durante la pandemia”. Non è un lavoro facile: scarsa igiene, sporcizia, “mancanza di acqua pulita” e condizioni di vita difficili complicano il lavoro. “Negli insediamenti informali, Kibera incluso, la popolazione non ha accesso ai servizi di base, come l’acqua pulita, ed è difficile lavare bene le mani”. “A Kibera – spiega – non hanno l’acqua corrente in casa. Usano le taniche per trasportarla”.

“Questo significa che negli slum c’è un rischio altissimo di trasmissione del coronavirus soprattutto per l’alto grado di congestione che rende difficile il distanziamento fisico e sociale – sottolinea – Per tanti poi è difficile ‘stare a casa’ perché sono lavoratori occasionali, lavorano nel settore informale, ogni giorno si guadagnano da vivere e per loro significherebbe non avere cibo da mettere in tavola. L’altra sfida sono le mascherine e la sanificazione”. Quindi gli slum sono una bomba ad orologeria? “Sì e no”, risponde Lydia. “Sì, se non verranno rispettate e sostenute le misure di prevenzione – spiega – No, se la popolazione il governo troveranno una soluzione alle tante sfide. Lavoriamo per questo. Il focus è anche sulla sensibilizzazione”.

“Il governo, la comunità di Kibera e altri soggetti coinvolti stanno facendo tantissimo per tenere le cose sotto controllo – aggiunge – Si tratta di fare sensibilizzazione, di distribuire disinfettanti e mascherine alla popolazione, di creare punti con la fornitura di acqua per l’igiene delle mani”. Ma i test sono davvero per tutti? “Sì, ma non siamo a un livello in cui si possano fare test a tappeto”, risponde Lydia, che a Kibera lavora a supporto di sette strutture sanitarie che forniscono assistenza di base e lavorano nelle comunità, anche per la prevenzione e la cura di Hiv e malattie croniche. “A Kibera alcune persone sono state sottoposte ai test per il coronavirus, ma – conclude – non sono sicura di quante siano”. Il coprifuoco notturno è tra le misure adottate dal Kenya – circa 50 milioni di abitanti – per contenere la diffusione della Covid-19. I dati confermati ieri dalle autorità del Kenya parlano di sette morti con coronavirus e 184 casi in totale.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA