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Veronica Panarello scrive dal carcere: «Loris non l’ho ucciso io»

Di Alessia Cataudella |

Catania – Alla vigilia della prima udienza in Appello a Catania, Veronica Panarello torna a parlare dal carcere. E lo fa attraverso le parole di una missiva affidata all’inviato del programma Quarto Grado Simone Toscano. Panarello, condannata a trent’anni con l’accusa di aver ucciso e gettato in un canalone a Santa Croce Camerina il figlio di otto anni Loris Stival, si prepara ad affrontare il processo di secondo grado che comincerà il 6 luglio. Per lei la possibilità di recarsi al cimitero dove riposa il figlio per una breve visita, ancora da concordare: la data verrà stabilita dalla polizia penitenziaria.

Il testo integrale della lettera:

Dal 29 novembre 2014 la mia vita si è fermata stravolgendosi completamente, e ciò che sto vivendo non lo auguro a nessuno. Dal ruolo di madre sono passata a detenuta con l’accusa più orribile che possa esistere. Mi sono ritrovata sola perché chi diceva di amarmi e volermi bene si è dissolto nell’ombra. Ho potuto contare sull’aiuto ed il conforto di mio padre e lo studio legale Villardita. In questo lungo periodo, ho dovuto imparare a convivere con il dolore della perdita di Loris e la sofferenza per l’allontanamento del mio unico figlio che mi rimane. Anche il mediatico ha dato il suo contributo. Ho dovuto sopportare la violenza psicologica gratuita inflittami con la divulgazione di video fatti dalla magistratura in fasi di indagini e che tali sarebbero dovuti restare. Nemmeno io mi riconosco in quell’interrogatorio e fa tanto male vedere come mi ero ridotta sospendendo degli psicofarmaci senza ridurre piano piano.

Il 17 ottobre 2016 ho avuto il primo grado. Anche se si dice che le sentenze vanno rispettate, io non la condivido assolutamente: non posso accettare che mi si accolli anche quello che non ho fatto. È vero, ho anche le mie colpe e per queste voglio pagare, ma non ho ucciso io Loris. Voglio rivolgere a Davide (padre di Loris e marito della donna, ndr) un pensiero. Comprendo il dolore e la delusione che ha vissuto e che affronta quotidianamente, ma che non usi nostro figlio, l’unico che mi rimane, per infliggermi più sofferenza di quanta già ne abbia. È da più di un anno che non so più com’è il viso di mio figlio perché non ricevo più sue foto o notizie, ma io non smetterò mai di scrivergli perché un giorno saprà che non l’ho abbandonato e che l’ho sempre pensato. Spero che il tribunale dei minori si pronunci presto dando fine a questa attesa logorante.

Pur di avere una foto, un disegno, qualsiasi cosa del mio bambino, sarei disposta a fare di tutto e questo è rivolto a te, Davide, che sai che madre sono stata. Tanti anni insieme non si possono cancellare, ma le nostre strade si sono divise il giorno del mio arresto. Voglio concludere questa lettera ringraziando chi mi sta accanto, aiutandomi in questa lunga e sofferta vicenda processuale. Ringrazio anche lei, signor Toscano, per aver letto tutta la mia lettera.

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