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Scoglitti, racket delle estorsioni: accuse confermate

La moglie di un ristoratore preso di mira ha fornito la propria versione in aula

Di Salvo Martorana |

Anche la moglie ha confermato le accuse rispondendo alle domande delle parti dopo avere denunciato insieme al marito di essere vittima del racket del pizzo. Lo ha fatto davanti al Tribunale collegiale di Ragusa nel processo ai danni di cinque vittoriesi arrestati il 10 gennaio dell’anno scorso dai carabinieri di Ragusa per estorsione continuata in concorso (nella foto), aggravata dal metodo e dalla finalità di agevolazione mafiose, ai danni dei titolari di un’attività di ristorazione di Scoglitti.La parte offesa ha risposto alle domande del pm Alfio Gabriele Fragalà della Dda e del collegio difensivo. Sotto processo ci sono Rosario Nifosì, 68 anni; Titta Ventura (nella foto), 64 anni; Angelo Ventura, 38 anni, Massimo Melfi, 37 e Marco Nuncibello, 35. I due Ventura sono difesi dall’avvocato Giuseppe Di Stefano; Nifosì è assistito dall’avvocato Italo Alia; Melfi e Nuncibello sono difesi dall’avvocato Francesco Vinciguerra. Gli imputati erano collegati in videoconferenza. Si torna in aula il 12 gennaio per sentire i carabinieri che hanno svolto le indagini.

Nel corso dell’interrogatorio di garanzia i due Ventura si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, così come Nifosì. Melfi e Nuncibello, invece, hanno risposto alle domande del gip negando ogni addebito e la partecipazione al clan Ventura. I due Ventura e Nifosì sono accusati di fare parte del clan mafioso “Dominante-Carbonaro” della Stidda. A tutti gli indagati viene contestata l’aggravante di avere agito con il metodo mafioso.Secondo l’accusa i due commercianti, marito e moglie, stanchi di pagare, nel 2020, hanno denunciato i fatti facendo scattare le indagini delegate della Procura distrettuale della Repubblica di Catania.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA