POZZALLO (RAGUSA) – Morto per fame. Eppure in Sicilia era arrivato vivo, ma dopo aver messo piede sulla terraferma, un’ambulanza l’ha portato all’ospedale Maggiore di Modica, sua ultima tappa, dove un ventiduenne eritreo è deceduto nel giro di qualche ora. Malnutrito da mesi e affetto da tubercolosi, era riuscito a sopravvivere al deserto e poi alla traversata in mare. Era stato soccorso, insieme ad altri 90 compagni di viaggio, dalla nave della Ong spagnola Proactiva Oper Arms, approdata ieri nel porto di Pozzallo, nel Ragusano.
Le condizioni del ragazzo sono subito apparse disperate: accusava problemi respiratori e non si reggeva in piedi. Aveva la magrezza di un anoressico, ma la letteratura medica precisa che la sindrome di cui soffriva il giovane africano non ha nulla a che vedere con la patologia del disagio alimentare: il migrante eritreo è morto per fame, anche se il linguaggio medico copre la locuzione con il velo del lessico scientifico che parla di «cachessia», come è scritto sulla cartella clinica. I sanitari le hanno provate tutte, ma per il giovane non c’è stato nulla da fare. Ora il suo corpo si trova nella camera mortuaria dell’ospedale, in attesa che la procura decida se disporre l’autopsia.
Roberto Ammatuna, sindaco di Pozzallo e primario del pronto soccorso dell’ospedale Maggiore di Modica, dice: «Non capisco la distinzione tra immigrati che vengono da Paesi in guerra e immigrati che provengono da quelli dove c’è una situazione economica che è drammatica. Però quello che mi impressiona è che sembra di tornare a 70 anni fa, quando abbiamo visto quelle drammatiche scene di un campo di concentramento e quegli esseri umani, gli ebrei, ridotti pelle e ossa». «E questa è la sensazione – aggiunge – che io ho avuto per l’ultimo sbarco con persone malnutrite, morte di fame e di sete, alcune di loro sono decedute per stenti fisici. La situazione peggiora e ci vuole una strategia europea».
Soltanto tre giorni fa tre fratelli erano stati soccorsi nel Canale di Sicilia dalla stessa nave della Ong spagnola: fuggivano dalla Libia per arrivare in Italia e trovare un ospedale che potesse curare uno dei tre ragazzi, il quattordicenne Allah, malato di leucemia. Viaggiavano su un piccolo gommone con una scorta di 200 litri di benzina. Anche il ragazzo eritreo, probabilmente, avrà pensato che una volta in Italia avrebbe potuto ricevere le cure di cui necessitava, ma è arrivato troppo tardi.