«Ci siamo arresi. Per non far morire la Fornace, nonostante gli sforzi profusi, abbiamo rinunciato al ricorso a suo tempo presentato al Tar di Catania che poteva essere d’intralcio all’avvio dell’iter espropriativo. Peccato però che da quando ci è stato notificato, marzo 2022, non è successo più nulla tranne la fuga degli ennesimi investitori privati interessati e il riproporsi di una situazione di stallo che sembrava doversi risolvere».
Il barone Guglielmo Penna, 40 anni, ha trascorso infanzia e giovinezza contando le pietre dello stabilimento di laterizi di contrada Pisciotto realizzato dal trisavolo di cui porta il nome, tra il 1909 e il 1912, devastato da un incendio doloso nel 1924 e rimasto a stagliarsi sul mare della baia di Sampieri. Esposta alle intemperie, alle polemiche e ai contenziosi, la fornace conta più parole che pietre. Istituzionalmente ignorata fino al 1990, lo stabilimento per la famiglia Penna era un bene da mettere in produzione.
Così con l’obiettivo di rimettere in funzione la Fornace nei primi anni Sessanta i nipoti di Guglielmo Penna costituirono una società che tentò di far risorgere dalle ceneri il sito industriale ma chiuse cinque anni dopo. Da allora le quote di proprietà sono state trasferite ad oltre venti comproprietari. Una situazione complicata, che ha inevitabilmente inciso nei processi decisionali sul futuro dell’immobile e che, per una serie di azioni e veti incrociati (e contraddittori) da parte degli enti pubblici (Regione, Soprintendenza, Comune) ha prodotto una vera propria odissea giudiziaria che va avanti da ben 31 anni.
Anni di parole, finora sprecate, accompagnate da anni di silenzio degli eredi Penna. Perché?
«Abbiamo sempre ritenuto di essere a un passo dalla soluzione per il destino della Fornace e per il bene, oltre che privato, della collettività – dice il barone – abbiamo agito come si fa in uno stato di diritto, con il coinvolgimento degli enti competenti. Ci siamo affidati e fidati delle rassicurazioni, mai tradotte in atti concreti, dei rappresentanti istituzionali. Pensavamo fosse inutile e magari dannoso o controproducente intervenire nei tira e molla politico/mediatici. Essendo originariamente un immobile industriale, seppur meraviglioso, destinato a creare ricchezza per il territorio, e non, ad esempio, un luogo sacro, pensavamo fosse naturale immaginare per la Fornace una seconda vita che tenesse in considerazione la sua intrinseca natura».
Erre delicatamente moscia e aspetto aristocratico, Guglielmo, figlio di Francesco Penna di Portosalvo Ciarciolo e dell'ancora oggi bellissima Angela Terranova Penna di Portosalvo Ciarciolo, è il fragile anello tra il presente e un passato di gattopardiana memoria. E' anche l'interlocutore diretto di potenziali acquirenti e rappresentanti istituzionali e politici. La ricostruzione cronologica parte dal maggio del 1990 quando la Regione siciliana scopre la fornace e la ritiene un esempio di archeologia industriale degno di nota al punto di emettere un vincolo storico-artistico. Atto impugnato dal destinatario.
Nel frattempo, gli eredi che fanno? «Tra il 1995 e il 2002 il mio adorato padre strinse un accordo con un gruppo imprenditoriale che redasse un progetto di recupero della Fornace a fini turistico-ricettivi che spaccò le istituzioni. E se da un lato si ottenne il nullaosta favorevole della Soprintendenza di Ragusa (nel 2000), dall’altro il Comune di Scicli cambia la destinazione d’uso dell’immobile in socio-culturale, impedendo di fatto alla proprietà ogni intervento di messa in valore con un’attività economica privata».
Nel 2004 viene presentato in finanziaria dell'Ars un ddl che assegna 5 milioni di euro al recupero della struttura. Somma che si riduce a 500mila euro a fine anno e congelata fino al 2006 quando si dimezza a 250mila euro per poi sparire nel 2007: il capitolo viene eliminato dalla finanziaria. E il Tar? Impiega 18 anni per dichiarare nullo il vincolo storico-artistico del 1990. Ma la Regione non si arrende. E l’anno successivo appone un nuovo vincolo, stavolta storico-architettonico, sempre impugnato dalla proprietà. Ovviamente tanta è l'emergenza di un bene di pubblica utilità che ogni giorno perde un pezzo, che tra una notifica e un rinvio, il Tar non si è pronunciato mai, se non dichiarando estinto, per rinuncia del ricorso da parte della mia famiglia. Nel frattempo, la vita scorre. E nel 2014 è l'Amministrazione Susino a scendere in campo e per due anni Susino emette ordinanze per la tutela della pubblica incolumità per le quali i Penna intervengono secondo le disposizioni di legge. Ma il sasso è lanciato.
«Sull’onda emozionale dello stato di degrado dell’immobile – spiega il barone – sul quale, è bene precisare, la pubblica amministrazione ha ostacolato e rifiutato ingenti investimenti privati, sono stati notificati due vincoli che di fatto sono stati usati non a tutela dell'immobile ma ad impedimento di un legittimo diritto tutelato dall'art 41 della nostra Costituzione. Sorge spontaneo chiedersi cui prodest, ma non mi è dato conoscere la risposta». Così nel maggio del 2016 viene costituita una commissione speciale che porta al sequestro preventivo della Fornace Penna, eseguito dai carabinieri della Tutela del patrimonio Beni culturali Siracusa. Il reato contestato è «danneggiamento al patrimonio artistico e culturale» e per aver omesso interventi di recupero e restauro nonostante fossero stati stanziati fondi per tale scopo. Fondi in realtà mai erogati dalla Regione.
La Soprintendenza di Ragusa stima lavori per la messa in sicurezza in 1,5 mln di euro, li chiede al Dipartimento regionale Beni culturali ma non li ottiene. «Non è stato piacevole subire un procedimento giudiziario amministrativo e penale – afferma con amarezza il barone Guglielmo – ma siamo sempre stati fiduciosi. E nonostante il processo, abbiamo continuato il dialogo istituzionale per arrivare a un progetto di messa in sicurezza dell’immobile correlato a un successivo progetto di valorizzazione del più ampio complesso immobiliare e riqualificazione del sito su cui questo insiste per fini socio-culturali e ricettivi secondo le prescrizioni d’uso dei luoghi coinvolgendo un’area più ampia della sola fornace».
Siamo nel 2019 quando il Tribunale assolve la proprietà che nel settembre 2020, definiti i dettagli tecnici e amministrativi con la Soprintendenza, dà incarico a propri tecnici di redigere i due progetti (messa in sicurezza e valorizzazione). Intanto scopre e denuncia atti vandalici dolosamente finalizzati al danneggiamento dell’immobile. Il 4 novembre la fornace torna ai Penna a seguito dell'ordinanza di dissequestro del Tribunale di Ragusa. «All’indomani della restituzione, come accordi – spiega il barone – presentiamo a Soprintendenza e Comune di Scicli il progetto esecutivo di messa in sicurezza ottenendo il rilascio delle autorizzazioni di rito. Il 12 novembre riceviamo dalla Soprintendenza di Ragusa il nullaosta». Ognuno però sembra marciare in direzioni diverse.
E così il 17 dicembre la Giunta regionale delibera che tra gli interventi di manutenzione straordinaria si inserisca la Fornace Penna in qualità di immobile di interesse storico-monumentale e stanzia un milione di euro che però può essere utilizzato dopo l'acquisizione. «La somma si sarebbe già potuta utilizzare sul bene privato – precisa il barone Penna – in accordo con la proprietà e a supporto del progetto di conservazione. E dispiace immensamente vedere non esitato un progetto di valorizzazione su cui si era discusso e trovata un'intesa, che avrebbe potuto far diventare quel lembo di terra torturato di terra un fiore all'occhiello degli Iblei. La motivazione? E’ in contrasto con l'iter espropriativo in corso».
Bocca cucita e sguardo avanti, la proprietà presenta il progetto anche al Genio civile di Ragusa, presenta la Scia al Comune di Scicli e recinta l’area di cantiere, iniziando le fasi propedeutiche alla cantierizzazione. «Finché il 15 febbraio del 2021 – precisa il barone – non arriva la notifica dell'avvio del iter espropriativo (atto preliminare al decreto di esproprio) motivato “dall’inerzia della proprietà”. Che invero si era mossa tempestivamente, di concerto con le istituzioni, il giorno successivo al dissequestro». Da quel momento è un susseguirsi di carte, ordinanze, solleciti e incontri. Il tempo però non aspetta. E gli investitori nemmeno. La Regione avrà certo un progetto e soprattutto i fondi per realizzarlo. L’esproprio può ancora aspettare. La fornace non più.