Quella che oggi, 31 luglio, con l’insediamento del Consiglio, dovrebbe nascere, la cosiddetta Supercamera di Commercio di Catania-Ragusa-Siracusa, di quel Sud-Est della Sicilia che tanto interesse ha suscitato a livello mediatico negli ultimi anni, è infatti la sola risposta possibile se si vuole continuare a credere in un percorso virtuoso di crescita della nostra area, e se si vuole avere il coraggio di una valutazione asettica, libera dai pericolosi condizionamenti della lotta per la governance dell’aeroporto di Catania.
Restano incontestabili alcuni dati reali che non potranno subire in futuro modifiche sostanziali. L’area iblea (e quella aretusea) sono sul piano della formazione di eccellenza e della ricerca efficaci satelliti dell’Università di Catania, tra le più antiche e gloriose del Paese; la rete infrastrutturale, certo ancora carente e comunque interessata ad oggi da puntuali progettazioni, conta su una visione di contesto interprovinciale, mettendo in rete un aeroporto di Catania con quello di Comiso, per il quale a suo tempo -a mio avviso in modo opportuno- si è scelta la complementarietà rispetto al più importante scalo etneo; un sistema portuale che deve proporre efficienza con i porti di Catania, Augusta e Pozzallo sul piano commerciale/industriale e con Siracusa e Marina di Ragusa sul piano turistico; una rete stradale che deve essere immaginata su quella direttrice che privilegia, attraverso Ragusa e Siracusa, la comunicazione tra Catania e Gela; ogni ipotesi di nuova logistica non può ignorare che da sempre i flussi commerciali che sono lo sbocco funzionale di ogni produzione agricola, artigianale o industriale, passano attraverso Catania, dove le strutture mercantili possono essere rilette al servizio di un’area più vasta.
Non persegue questa area nel suo complesso l’obiettivo di un’affermazione turistica internazionale giocata sul collegamento assolutamente unico tra il mare, l’Etna, la monumentalità della Magna Grecia e il fascino del barocco del Val di Noto assurto meritatamente a patrimonio dell’Unesco? Ci si può ancora illudere di presentarsi sulla scena del turismo mondiale, un Comune accanto o contro l’altro, con la sagra del paese o con il piccolo museo di periferia, o è invece necessario declinare in modo complessivo il mosaico di tante peculiarità?
Quando parecchi anni fa (e tra i protagonisti di quella stagione che riusciva a guardare con efficacia al futuro c’era Pippo Tumino che presiedeva la Camera di Commercio di Ragusa) si firmarono i primi documenti che proponevano l’area vasta della Sicilia del Sud-Est, poi avallata anche a Catania dal presidente Napolitano, si era guardato con lungimiranza ad un sistema vincente per una realtà agricola orticola, frutticola, cerealicola, olivicola, viticola di primissimo piano intessuta da prodotti di eccellenza che possono confrontarsi con il mercato globale solo se capaci di trovare sintesi in termini di marketing e di costose politiche di promozioni. E riuscirebbe senza i riferimenti industriali di Catania la zootecnia dell’area iblea, al di là delle contingenti difficoltà, a presentarsi vincente al consumo di prodotti lattiero-caseari sempre più selettivo?
In questo contesto a me pare che le aree economiche minori, la ragusana e la siracusana, non troverebbero nella loro unione nuova forza, ma resterebbero, in un contesto nazionale che tenta programmazioni sempre più corpose, la fragile sommatoria di debolezze. Potrebbero invece costituire, ognuna per la propria parte, lo strumento di crescita della nuova dimensione della Sicilia sudorientale, che crede anche con gli strumenti del sistema camerale, di poter dare risultati di efficienza allo sviluppo della nostra economia.