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Il rifugio-ospedale per tartarughe marine

Di Maria Ausilia Boemi |

In questo centro, “cerchiamo di fare anzitutto ricerca e divulgazione sulla protezione delle tartarughe marine: dopo la diagnostica, cerchiamo di raccogliere dagli esemplari che arrivano tutti i dati e di sviluppare nuove terapie, trattamenti o tecniche chirurgiche per risolverne le problematiche sanitarie. Tutto questo lo facciamo grazie ai volontari che a loro spese, come me e la mia squadra, vengono a Lampedusa e dedicano gran parte del loro tempo giornaliero alle attività del centro, che sono essenzialmente quelle di pulizia, manutenzione degli spazi comuni, cambio dell’acqua e amministrazione delle tartarughe. Per i trattamenti sanitari, c’è invece il nostro veterinario”.

In questo momento nel centro sono ricoverate 14 tartarughe marine: “Otto sono state operate lunedì, 3 martedì mattina, una martedì pomeriggio, mentre mercoledì abbiamo rimesso in mare 4 esemplari che avevano terminato la convalescenza”. Le tartarughe marine sono vittime dell’antropizzazione del mare e dei loro siti di riproduzione: “La plastica ingoiata dagli animali è uno dei problemi più comuni. Ci sono poi le lenze e, in questo periodo in cui è attiva la pesca al pescespada, gli ami, oltre alle fratture dovute alle eliche o alle collisioni con le imbarcazioni, mentre d’inverno è più facile che ci si ritrovi a curare polmoniti, infezioni e catrame”.

Ma il maggiore pericolo per la sopravvivenza delle tartarughe marine deriva “dall’occupazione che abbiamo fatto nel Mediterraneo e nel mondo dei siti di riproduzione (le tartarughe marine per deporre le uova hanno bisogno di spiagge libere e al buio, mentre noi le abbiamo occupate con illuminazione, strade e turisti) e, sul fronte marino, da inquinamento, navigazione e pesca, che rappresentano importantissime cause di morte. La riduzione drastica delle nascite e l’aumento enorme delle morti fa sì che purtroppo il vaso si svuoti”. Non ci sono dati precisi sulla popolazione delle tartarughe marine nel Mediterraneo, ma i nidi si sono ridotti notevolmente e la mortalità è salita alle stelle: “Si calcola che ogni anno siano oltre un milione le tartarughe marine che muoiono a causa delle attività umane”.

Dei 4.500 animali passati dal centro negli anni, già quasi 400 sono stati recuperati una o più volte, il che ha consentito la raccolta di una serie di informazioni su questa specie solitaria e migrante: “Ad esempio, un animale marcato nel 2003 è stato ritrovato l’anno scorso a deporre su una spiaggia della Turchia; un altro esemplare che ho liberato nel 2008, è stato ritrovato nel 2012, purtroppo morto, sulle coste del Massachussets negli Usa”.

Il centro è retto dai volontari, presenti tutto l’anno, anche se in inverno “è più facile che ci siano studenti stranieri che devono magari sviluppare la loro tesi o fare un periodo di stage”. Non sono richieste particolari competenze: “Solo non avere paura di stancarsi e avere amore per gli animali, pazienza e voglia di fare. Chi vuole partecipare, ovviamente a proprie spese, può contattare il centro attraverso la email campolampedusa@gmail.com”.

Tante le storie di tartarughe salvate, qualcuna talvolta reimmessa in mare contro qualsiasi pronostico, come “un animale che per 9 anni è rimasto in convalescenza con noi perché aveva una sola pinna funzionante: noi ci siamo intestarditi a fargli fare una fisioterapia a mare per 4-5 anni e poi abbiamo deciso di liberarlo col satellitare. L’abbiamo seguito per 7 mesi, dal 26 ottobre 2016 fino al 19 maggio di quest’anno, e abbiamo visto che aveva raggiunto la Tunisia, l’Algeria, la Libia. Poi le batterie del satellitare si sono scaricate, ma siamo fiduciosi”. Un altro animale che non è stato possibile rimettere in libertà è stato consegnato all’acquario di Napoli “dove fa da ambasciatore della propria specie”. Ma ambasciatrice d’eccellenza è una tartaruga israeliana di 72 chili a cui mancavano le due pinne anteriori che è stata accettata nell’acquario di Istanbul in Turchia, Paese dove gli israeliani non possono nemmeno entrare: “Potremmo imparare dalle tartarughe una precisa lezione, e cioè che le barriere sono sempre un ostacolo e un mondo senza frontiere è sicuramente migliore”.

Il centro necessita di una nuova sede: “Quella attuale deve essere ristrutturata e dovrebbe diventare a breve stazione marittima. Noi abbiamo bisogno di uno spazio più grande, dove sviluppare non solo la parte divulgativa, di ricerca e protezione delle tartarughe marine, ma anche quella educativa”.

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