Questo traffico – spiega Ilaria Innocenti, responsabile Lav animali familiari – è esercitato sia da gruppi organizzati sia da strutture a livello familiare. La maggior parte dei cuccioli provengono da Slovacchia, Ungheria, Romania e Repubblica Ceca. Anche le modalità di ingresso sono varie: i cuccioli possono arrivare a bordo di Tir, furgoni o di auto private».
Un mercato che, a fronte di tanti animali che in Italia restano invano in attesa di essere accolti in una famiglia (sono 130mila i cani nei canili e molti di più i gatti randagi: eppure l’adozione innescherebbe un circolo virtuoso che, oltre a contrastare il traffico di cuccioli, ridurrebbe il problema del randagismo e diminuirebbe le spese che i Comuni devono sostenere per l’accudimento dei randagi), «soddisfa la richiesta di animali di razza a basso costo: se un cane che proviene dall’estero può essere venduto a 400-500 euro (prezzo finale fino a 20 volte superiore rispetto a quello a cui sono ceduti), un cane di origine italiana viene venduto a prezzi molto più alti. Questo avviene perché nel Paese di origine non ci sono controlli né cure sanitarie per le madri, che vengono tenute in condizioni al limite della sopravvivenza e fatte riprodurre anche 3-4 volte l’anno, quindi ci sono sempre cagnolini a disposizione. Il problema è soprattutto culturale, perché alla base c’è la convinzione di dovere acquistare un cane invece di adottarlo. Molto spesso le persone sono influenzate dalla moda o dal film del momento, dalla star che esibisce un cagnolino di una particolare razza: bisognerebbe comprendere che il rispetto e l’amore per gli animali non passano per il concetto di razza, ma per quello di animale in sé, individuo capace di instaurare relazioni emotive».
Bisognerebbe tra l’altro riflettere sul fatto che dietro il traffico illegale di cuccioli si nascondono vere e proprie sevizie per gli animali, sicuramente «grande sofferenza legata al fatto che questi animali sono strappati dalla mamma in età giovanissima, anche a circa 15 giorni, sono poi costretti a viaggi che possono durare anche 48 ore, talvolta rinchiusi nei bagagliai delle auto private semplicemente adagiati su cartoni o coperte. Alla sofferenza legata alle modalità del trasporto si aggiunge un gravissimo pericolo anche per la salute di questi cuccioli, in quanto la promiscuità li porta a contrarre delle patologie. E si calcola che tra il trasporto e l’arrivo in Italia la mortalità sia di circa del 50%. Ma questo ricopre ampiamente il guadagno, perché il cucciolo è acquistato per 50-60 euro e poi rivenduto a prezzi di gran lunga superiori». Ma non c’è, ci tiene a sottolineare Innocenti, la sofferenza solo dei cuccioli, «ma anche il dolore della madri, stabulate nelle cosiddette fabbriche di cuccioli, tenute in condizioni terribili, fatte riprodurre fino a 3-4 volte l’anno, per vedersi strappati dopo pochi giorni i cuccioli: e alla fine del ciclo produttivo, vengono soppresse o addirittura fatte morire di inedia».
Un inferno che non garantisce tra l’altro l’acquirente finale che, dopo avere speso tanti soldi per comprare un cucciolo di razza, che lui ritiene italiano, non ha alcuna garanzia di avere acquistato un animale in salute (in occasione della prima visita, secondo la Lav, l’81,5% dei cani provenienti dall’estero presentavano malattie infettive o infestive): «Questo lo dimostrano anche i procedimenti penali che si sono sviluppati intorno a questo traffico, molto spesso intentati da persone che si sono accorte che il cucciolo non era italiano per patologie che si sono manifestate dopo l’acquisto. Questi cuccioli, importati così giovani, non possono avere copertura vaccinale e neanche la stessa antirabbica, l’unica vaccinazione obbligatoria per poterli introdurre in Italia (che però va fatta a tre mesi, con il cane che può essere movimentato soltanto 21 giorni dopo). E basta che durante il trasporto un cucciolo abbia qualche malattia conclamata o in incubazione, che tutti gli altri sono a rischio». Per non parlare delle problematiche comportamentali, «perché a questi cuccioli manca l’importantissimo periodo di socializzazione che possono fare con la mamma e con i fratellini».
Contrastare questo traffico è molto complicato anche perché il quadro normativo comunitario e delle singole nazioni è molto complesso: per questo la Lav ha pubblicato la seconda edizione del manuale “Procedure per l’esecuzione dei controlli nella movimentazione comunitaria di cani e gatti” «al fine – sottolinea Innocenti – di offrire uno strumento ai servizi veterinari e alle forze di polizia per effettuare in maniera più efficace i controlli. Ci sono infatti sia norme di tipo sanitario sia norme da osservare durante il trasporto, norme specifiche che coloro che introducono devono ottemperare, nonché tutti i reati connessi con il traffico di cuccioli, primo tra tutti la legge 201/2010 che introduce sia il reato di traffico di cuccioli (varata grazie a una campagna Lav e che prevede la reclusione da tre mesi a un anno e una multa da 3.000 a 15.000 euro, con aggravante se cani e gatti introdotti illecitamente hanno meno di 12 settimane). Però ci sono tanti altri reati connessi che vanno dalla truffa e dalla frode nell’esercizio del commercio all’abuso della protezione veterinaria e al maltrattamento e all’uccisione di animali».
In particolare, tutto quello che riguarda i requisiti per le movimentazioni e le importazioni è disciplinato a livello europeo: «E in quell’ambito già sono stati fatti passi avanti, perché ad esempio con il nuovo passaporto introdotto dal regolamento 576 e 577 del 2013 sono state inserite protezioni che rendono più difficile contraffare il passaporto: detta brevemente, dove deve essere riportato il numero di microchip e dove c’è l’attestazione dell’antirabbica, deve essere applicata una pellicola adesiva a protezione della fustella; infine, è stata inserita una nuova pagina in cui il veterinario che rilascia il passaporto deve inserire tutti i propri dati in maniera tale da essere rintracciabile».