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Zingaretti demolisce la casa dei moderati: «Niente Nazareno in salsa sicula»

Di Mario Barresi |

Catania. Il ginepraio delle Amministrative, compresa la tentazione di accordi gialloverdi, non è la causa. Ma l’effetto. Di un percorso che sfiora appena i ballottaggi. E va oltre le Europee. Nel prossimo autunno, al di là dei tempi di una crisi di governo data per ineluttabile, si metterà in moto. Magari proprio in Sicilia – già terra democristiana, berlusconiana, cuffarian-lombardiana e un po’ renziana – dove ribolle la voglia di grande centro.

Un «partito che nell’Isola può subito aspirare al 30%», è il conteggio nel pallottoliere dei protagonisti. Un «fronte anti-populisti» che lasci fuori non solo Lega e M5S, ma anche FdI. E, per forza di cose, anche anche il Pd che ha in testa Nicola Zingaretti. Sì, perché quello fra la parte più centrista (e spregiudicata) dei dem e i moderati del centrodestra siciliano non è soltanto un feeling fra Luca Sammartino e Gianfranco Miccichè. Ma molto di più. È «qualcosa che esiste già in natura e non solo in Sicilia», sostengono le eminenze grigie del progetto. Che ha già alcuni partner privilegiati: dai centristi Saverio Romano e Roberto Lagalla, al leader dell’Udc Lorenzo Cesa, fino agli ex alfaniani Giuseppe Castiglione e Pino Firrarello. Più freddo, al momento, Raffaele Lombardo, reduce da un viaggio ad Arcore. «L’idea mi pare assurda e impraticabile», ha risposto a chi, fra i suoi, gli ha chiesto un parere. «I due populismi si battono con movimenti autonomisti regionali alleati tra loro o piccoli satelliti degli stessi due», è la tesi dell’ex leader Mpa. Fra gli osservatori interessati c’è di certo il patron di Sicilia Futura, Totò Cardinale, anche se fra i deputati regionali non sembra essersi acceso l’entusiasmo. «L’argomento non è in agenda. E noi alle Europee siamo disimpegnati», taglia corto Nicola D’Agostino. Sideralmente distante sembra Ruggero Razza, ascoltato custode delle strategie musumeciane, che, interrogato ieri a Siracusa da molti amici, minimizza: «È una cosa che non sta in piedi».

Tutto resta congelato, però, almeno fino ai risultati del 26 maggio. Del resto anche lo stesso Miccichè resta ancorato in Forza Italia, confidando in un exploit della lista. E domani a Palazzo dei Normanni presenterà Storia di Forza Italia 1994-2018, il libro dell’ex parlamentare Fabrizio Cicchitto. Presenti, oltre all’autore, il senatore Renato Schifani e l’ex sindaco di Catania, Enzo Bianco. Nel parterre, si bisbiglia a Palermo, anche altri potenziali “inquilini” di questa «nuova casa comune».

Sammartino, intanto, prova a far capire ai suoi interlocutori che «questo è un progetto che ci chiede la gente, non una fusione a freddo in laboratorio». E non deve neanche sforzarsi più di tanto se, come ha confessato ai suoi fedelissimi ieri dopo l’ennesimo idillio mediatico con Miccichè, «basterebbero le tre-quattro telefonate di sostegno ricevute in queste ore per avere già una maggioranza virtuale all’Ars». Eppure si guarda ben oltre lo Stretto. E c’è chi è convinto che, al netto dell’olimpico distacco di Davide Faraone rispetto al flirt in corso, ci sia anche lo zampino di Matteo Renzi. Stufo di mangiare pop-corn e pronto, nonostante molteplici smentite, a uscire da un partito che non è più il suo.

E allora il Pd? Finora è stato il convitato di pietra. Nessuno, fra i big siciliani, ha rinnegato gli accordi-Frankenstein in alcuni comuni siciliani (gli unici, a dire il vero, vincenti alle Amministrative), né ha puntato il dito per un «vade retro Sammartino». Eppure a Roma le idee sono nette. E Zingaretti – consapevole di non essere di fronte a un “Nazareno con le sarde”, ma a qualcosa di ben più ambizioso – è il primo a dire «no, grazie» a scenari «fantapolitici» (così li definiscono i suoi), tutt’altro che vantaggiosi a ridosso delle Europee. Il «campo largo» lanciato dal segretario alle Europee «non prevede nuovi patti con Forza Italia». Miccichè «ragiona da tempo» con «una parte del Pd»? Per Zingaretti il dossier semplicemente «non esiste». «Quella è la Sicilia, fa storia a sé. Tanto è vero che nemmeno c’è il simbolo del Pd nei comuni a cui fa riferimento Miccichè. Noi siamo alternativi alla destra», è il refrain.

«Aiutateli a casa loro», verrebbe da dire riferendosi alla linea degli zingarettiani sul rapporto coi moderati del centrodestra. Con in sottofondo un messaggio a chi – Sammartino e non solo – sta dimostrando attivismo centrista: «Se cerca una nuova casa, esca da quella del Pd», è in sostanza il verdetto. Rafforzato, seppur indirettamente, dalle poche parole che Peppe Provenzano, il siciliano più influente nella direzione di Zingaretti ,concede a La Sicilia: «Il Pd è aperto, ma chiaramente dentro un campo di centrosinistra, lo stesso che ha ispirato le liste alle Europee e che proseguirà coinvolgendo esponenti civici e non solo». Per il dem, originario di Milena, non c’è spazio per i “famolo strano” di matrice isolana: «Il modello spagnolo è il nostro riferimento, non certo quello Aci Castello». Parola di quello che a Roma indicano come il prossimo commissario regionale del Pd.

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